Filosofia in pratica – discorsi sul Counseling Filosofico

L. Berra – A. Peretti (a cura di), 2003, Filosofia in pratica – discorsi sul Counseling Filosofico (a cura di Valentina Cannavacciuolo)

Questo volume raccoglie gli Atti del Primo Convegno Nazionale della Società Italiana Counseling Filosofico.

Secondo l’impostazione della SICoF, il Counseling Filosofico non si contrappone alla psicologia e alle psicoterapie, ma ne accoglie le esperienze, portandole oltre.

“Counseling e Psicoterapia a orientamento filosofico: considerazioni metodologiche e campi di intervento” – Lodovico Berra

A volte il Counseling filosofico viene visto in antagonismo con le psicoterapie. L’autore auspica invece integrazione e completamento tra queste, così pure come con la psicoterapia ad orientamento filosofico.

Il dibattito di fine ottocento ha portato alla divisione tra le scienze della natura (per le quali secondo Jaspers si utilizzava la spiegazione) e le scienze dello spirito (per le quali si doveva operare con la comprensione); con lo svilupparsi dell’esistenzialismo, la filosofia riprende il suo ruolo di conoscenza superiore rispetto alle scienze.

Il Counseling ad indirizzo filosofico è definibile come “una relazione di aiuto in cui vengono facilitati e stimolati attraverso strumenti filosofici, processi decisionali e chiarificatori in grado di risolvere e rispondere a specifiche domande dell’esistenza”.

Come Socrate con la maieutica si occupa di fare venire alla luce contenuti già presenti negli auditori, il counselor filosofico è una sorta di facilitatore, di catalizzatore di processi decisionali e chiarificatori.

Nel rapporto tra consultante e consulente si sviluppa il dialogo filosofico, alla cui base vi sono problemi concreti. Importante è l’atteggiamento, vale a dire una disposizione mentale relativamente costante di osservare e rispondere in certi modi particolari alle situazioni del mondo, che nella filosofia si ha con tendenza alla trascendenza.

Poiché prerogativa della filosofia è la piena libertà e creatività del pensiero, è difficile immaginare una metodologia per la consulenza filosofica: questa potrà dipendere dalla formazione e dalle predisposizioni del counselor. Per affermarsi come professione occorre però che abbia una struttura di riferimento. Sicuramente la pratica è volta alla ricerca della tranquillità, della chiarezza, quindi attorno alla complessità dei temi analizzati occorre porre un involucro che limiti l’infinità del pensiero speculativo, che risulterebbe troppo vasta per l’analisi di problemi concreti.

Si possono riconoscere alcune fasi della consulenza, che non debbono necessariamente presentarsi tutte, nell’ordine, o separatamente, e che possono durare anche più di una seduta: 1. Fase empatica o del rapporto; 2. Fase dell’identificazione del problema all’interno della personale visione del mondo e del progetto esistenziale; 3. Fase dell’analisi concettuale e filosofica; 4. Fase di reintegrazione e reinserimento nella personale visione del mondo e nel progetto esistenziale.

Si è detto spesso che il Counseling Filosofico non è terapia, ma lo strumento filosofico può essere usato in senso terapeutico, alla presenza di situazioni patologiche, all’interno della psicologia ad orientamento filosofico, che si propone di utilizzare, accanto agli strumenti classici della psicoterapia anche la conoscenza filosofica e il metodo filosofico, nella cura dei disturbi psichici.

La psicoterapia ad orientamento filosofico si rivolge ai sintomi, mentre il Counseling Filosofico si rivolge ai problemi. Nella psicoterapia, in generale, per comprendere un sintomo lo si inquadra in un modello teorico di riferimento. La filosofia tende invece a liberare da forme preconcette di pensiero, per questo nella psicoterapia ad orientamento filosofico non vi è un unico modello di mente di riferimento, nell’intento di rimanere aperti a quante più vie è possibile.

Secondo Heidegger, l’uomo è immerso in un circolo ermeneutico dove tutto si trova inserito in un apparato di preconcetti, presupposto indispensabile per la comprensione. Di questi preconcetti fanno parte anche le interpretazioni degli psicoterapeuti, che consentono di abbozzare preliminarmente una spiegazione per metterla alla prova. La coscienza dell’esistenza di questi pre-concetti è fondamentale per superarli e per lasciarsi dire qualcosa dalla persona che ci è di fronte, dal cliente, per creare insieme a lui nuovi modelli, che possano poi causare o guidare un cambiamento.

Vi sono opinioni contrastanti sul fatto che il Counseling Filosofico sia o meno una terapia. La filosofia è stata vista come terapia nel passato (si pensi ai filosofi ellenisti, visti come medici che alleviavano la sofferenza dell’uomo).

Sicuramente, anche se l’incontro con un filosofo può avere effetti terapeutici, l’intenzione di prendersi cura è diversa rispetto a quella delle psicoterapie. Anche il contratto, il setting e le aspettative sono necessariamente diversi.

Il Counseling Filosofico in generale si concentra su un numero ristretto di problemi, mentre la psicoterapia ad orientamento filosofico estende il problema ad altri campi della personalità, tende a dirigersi verso una diagnosi. La psicologia ad orientamento filosofico ha lo scopo di intervenire su sintomi rappresentativi di un sistema mentale gravemente disturbato per portare a guarigione; il Counseling Filosofico agisce su problemi privi di caratteristiche patologiche, occupandosi di rielaborare più che di risolvere.

Il Counseling Filosofico si occupa quindi di soluzioni di problemi legati all’individuo e non generali, propri dell’esistenza e non patologici come i problemi esistenziali, i problemi decisionali, problemi religiosi, problemi etici e morali, esigenze intellettuali di ricerca e conoscenza. Alcune situazioni di confine come la depressione esistenziale, le crisi d’età di transizione, crisi di valori e significato possono trarre beneficio sia dall’approccio di Counseling sia da quello psicoterapico.

Il Counseling Filosofico e la Psicoterapia ad orientamento filosofico hanno punti di contatto ma sono chiaramente distinguibili per alcuni elementi.

“Prendersi cura del lavoro: il Counseling Filosofico per aiutare a ridare un senso e una dignità al nostro fare quotidiano” – Alberto Peretti

Il lavoro è stato considerato in ambito filosofico solo a valle della rivoluzione industriale.

Il lavoro può essere definito come azione umana operante sulla realtà e trasformatrice di essa. Questa definizione trascura di vedere il lavoro come un’esperienza attiva che possa agire anche sull’uomo. Il lavoro si sviluppa intorno a logiche produttive proprie, che poco tengono conto dei bisogni della vita umana. Il Counseling Filosofico lavorativo si propone di ricostruire l’alleanza tra il lavoro e l’uomo.

Pur non misconoscendo le domande ultime sul significato e il fine del lavoro, il Counseling Filosofico lavorativo si chiede come facilitare, attraverso una relazione di aiuto mediata dal dialogo, l’instaurazione di alleanze seppur contingenti, incerte e revisionabili, tra chi concretamente lavora e il suo concreto lavoro (lavoro “incarnato”).

Tentare di favorire l’instaurazione di alleanze con il lavoro significa aiutare chi lavora a mettere il lavoro all’interno della propria vita, a dargli un posto significativo e coerente all’interno della propria esistenza; significa rendere la dimensione lavorativa non un ostacolo, ma un’opportunità per dare significato alla propria vita.

Nella percezione attuale il lavoro può stordire rivendicando importanza sulla vita dell’uomo o umiliare e generare rancore, perché non alimenta la dimensione spirituale dell’uomo.

Il Counseling Filosofico mira a dare alle persone nuovi orizzonti di senso, e questo è vero anche in ambito lavorativo, cercando di aprire nuovi scenari di significato nell’attività lavorativa. Sorge il dubbio se in un contesto in cui l’organizzazione ha delle sue regole e dei suoi obiettivi, abbia poi senso agire per la ricerca di significato su di una persona o se non occorra piuttosto agire sull’intero sistema.

Accanto al Counseling lavorativo individuale deve trovare posto un’attività di consulenza filosofica organizzativa che aiuti le organizzazioni a progettare e implementare condizioni e contesti lavorativi che favoriscano la riappropriazione del lavoro da parte di chi vi lavora, con l’obiettivo di renderle organizzazioni a conduzione umanistica, che pur mirando ad obiettivi di efficacia, efficienza e qualità dei prodotti e dei servizi, si impegnino a raggiungerli esaltando il ruolo e la dignità delle persone che vi lavorano.

Lo scopo del counselor filosofico lavorativo è sempre di aiutare la qualità della vita lavorativa di persone, cercando di intervenire sì su dinamiche interpersonali o organizzative, senza illudere le persone rispetto a cambiamenti organizzativi a volte irrealizzabili, ma avendo sempre in mente che il suo fine è la relazione di aiuto alle persone che lavorano.

Non si può svolgere un lavoro con senso senza proiettare su di esso un’idea. Per riallacciare l’alleanza con il lavoro, il counselor filosofico può ispirare la ricerca di nuove visioni, al limite immaginative, o che richiamino anche un rapporto ludico ed estetico con il lavoro.

“Dialogo socratico o colloquio filosofico?” – Silvana G. Ceresa

Il dialogo in filosofia è il modo privilegiato in cui si può esprimere il discorso filosofico, perché non chiude il filosofo in se stesso, ma è un conversare tra persone associate dal comune interesse per la ricerca.

Il principio del dialogo, esaltato da Socrate, implica la tolleranza filosofica vissuta come un riconoscimento della pari legittimità.

Il colloquio è un metodo di indagine, uno strumento utilizzato dalla psicologia perla ricerca, per la diagnosi che per la terapia, con vari gradi di strutturazione. Nel colloquio si distingue un intervistatore e un intervistato. Nel colloquio viene meno il requisito della pari legittimità.

Il Counseling Filosofico concerne nell’impostare una conversazione che sia un dialogo tollerante e dialettico.

Un buon counselor deve avere le qualità elencate da Carl Rogers, come empatia, rispetto, congruenza, consapevolezza dei chiari confini emozionali, autostima ed interesse non giudicante, abilità interpersonali nel formare relazioni operative con i clienti e non ultima una dose di ironia “socratica”.

Un esempio di come il Counseling Filosofico possa essere utilizzato in ambito aziendale nasce anche dall’esperienza dei recenti scandali finanziari, in cui i manager non si sono mossi o non hanno gestito un sistema di regole nel pieno rispetto dell’etica (a parte il dolo stesso). Attualmente l’università forma la classe dirigente in maniera monodimensionale, trascurando la componente umanistica e trascurando la visione ampia che consenta di interagire nel nostro unico mondo economico che è invece formato da tante culture diverse e difficili da accettare e comprendere. L’Università Bocconi cerca di sopperire a questa formazione piatta proponendo conferenze dedicate all’etica, corsi extracurricolari dedicati all’arte, cinema e letteratura.

In relazioni agli aspetti della leadership, il Counseling Filosofico riesce ad essere efficace quando, in accordo con l’azienda, è finalizzato ad elaborare dei comportamenti che inducano un progressivo miglioramento e quando tiene conto della complessità degli elementi che interagiscono, come lo stile di guida e le personalità all’interno del team.

Alcuni processi si presentano regolarmente nei gruppi, come il calo della motivazione individuale, te tensioni intragruppali legate a problemi con origini più nascoste, la conflittualità intragruppale. La soluzione si ha quando il Counseling riesce a non lasciare problemi insoluti e a non sollevare antagonismi.

Sul versante più vicino alla psicologia, il counselor affronta con la tecnica del dialogo problematiche non patologiche ma di tipo esistenziale ed emotivo, aiutando il cliente a dipanare i propri nodi, con tecniche di analisi e separazioni. Il counselor fa poche domande e molto ascolto, aiuta a riformulare proposizioni, è attento al linguaggio non verbale.

“Aspetti problematici del Counseling Filosofico” – Giuseppe Giordano

I principali aspetti problematici del Counseling Filosofico sono tre.

Il primo problema è costituito dal rapporto con altre discipline, in particolare la filosofia in generale e le psicoterapie. Il Counseling Filosofico non può ignorare quanto è stato approfondito dalle psicoterapie in termini di relazione, setting, contratto, colloquio. Inoltre, per quel sottile confine tra patologico e non patologico, le varie discipline si muovono sullo stesso terreno.

Da investigare è anche il rapporto con l’antropologia culturale, anche perché sia il consultante che il counselor si muovono in un particolare ambito culturale di modi e significati. Il cliente si muove sostanzialmente in un ambito interdisciplinare, che il Counseling Filosofico deve tenere in considerazione.

Il secondo problema è che manca un approfondimento sui fondamenti della disciplina, manca una mappa di riferimento che, lungi dal diventare un rigido incasellamento accademico, possa dare ordine e riconoscimento alla costituente disciplina.

Il terzo problema è costituito dal rapporto con le istituzioni accademiche, i Dipartimenti di Filosofia, che spesso non riconoscono il Counseling Filosofico. In questo modo, però, si corre il rischio che il Counseling non possa fecondarsi delle nuove idee provenienti dalla ricerca interna ai dipartimenti, correndo il rischio di fossilizzarsi, prima di potere sviluppare un proprio piano di ricerca autonomo.

Questi problemi possono essere risolti solo tramite l’istituzione di appositi comitati scientifici.

“In tempi di Guerra e di terrore: Counseling Filosofico o terapia per: PTSD? ” – Schlomit C. Schuster

A valle degli attentati del World Trade Center di New York, l’American Counseling Association (ACA) ha iniziato una massiva campagna di sensibilizzazione della popolazione, implicando che gli attentati avevano colpito gli americani in modo totale, rendendoli vittima di Post Traumatic Stress Disorder, trasformando quello che sicuramente è stato una tragedia per tutti gli americani e non solo, necessariamente in un trauma da cui essere curati.

Secondo l’autrice, molte persone sono in grado di affrontare tali eventi traumatici mediante le proprie risorse etiche, filosofiche e religiose, mentre nelle pratiche di cura utilizzate il lavoro viene svolto esclusivamente sui sentimenti.

Come filosofa, l’autrice lavora in un centro di ascolto telefonico istituito in Israele nel 1990, ispirandosi ai principi della consulenza filosofica ideata da Achenbach, un intervento alternativo alla psicoterapia, ma che può avere effetti terapeutici. Questo si basa su una comunicazione sincera fra i due interlocutori, l’importanza del dialogo come ciò che sgorga dalla persona, la ricerca congiunta di spiegazioni e l’elemento di meraviglia e novità che scaturisce dal dialogo filosofico.

La consulenza filosofica ha permesso di rispondere a domande etiche ed esistenziali durante la guerra del Golfo.

L’assunto è che, come osservato da Jaspers, Biggins e altri, esista una certa dose di angoscia esistenziale nella vita che, se non affrontata o se denotata come forma di ansia patologica e quindi medicalizzata, non viene presa in carico dalle persone come dovrebbe essere.

Forme di conforto possono giungere anche dalla lettura di vite di filosofi che hanno affrontato esperienze simili, come la guerra, e come hanno interpretato questo evento sconvolgente e traumatico, inquadrandolo nella loro riflessione teorica, a volte modificandola (Marco Aurelio, B. Russell).

I filosofi della prima metà del 20° secolo hanno vissuto una guerra e hanno compiuto una rielaborazione che ha consentito loro di non essere vittime indifese della loro sofferenza. Attraverso i loro sistemi filosofici, hanno compiuto una rielaborazione collettiva, mostrando che in situazioni tragiche è comunque possibile la ricerca di senso. Il fatto che la ricerca di senso sia possibile in circostanze estreme, può essere d’aiuto per chi vive in momenti drammatici della storia collettiva.

“Avere cura dei sani: filosofia, pedagogia, logoterapia” – Mario D’Angelo

L’autore fa riferimento alla sua esperienza di Counseling che svolge come libero professionista: data la sua formazione si declina in Counseling Filosofico, pedagogico e logoterapeutico.

La pedagogia a cui si fa riferimento è quella scientifica, il cui campo di studio è l’educazione la quale copre tutto l’arco della vita umana e si estende a sedi diverse dal mero ambito scolastico.

La logoterapia è una forma di Counseling esistenziale fondato a Vienna da Frankl dopo la seconda guerra mondiale, è una cura attraverso il logo che ad esempio aiuta a trovare il senso della vita. Il logoterapeuta si rivolge ai malati solo se è anche psicoterapeuta.

Queste tre forme di Counseling (filosofico, pedagogico, psicoterapico) vengono in aiuto di persone sane (quindi individui nella loro interezza e non malati) per evidenziare le loro potenzialità da realizzare, come individui unici, o per rispondere ad interrogativi e disagi esistenziali, che sono comuni all’esperienza umana, e quindi non si inscrivono nell’ambito della malattia.

Tutte e tre le forme di Counseling aiutano l’uomo nel suo naturale stimolo alla ricerca di senso, offrendo al fruitore dell’intervento l’opportunità di scoprire ed esplorare i propri schemi di pensiero per raggiungere una consapevolezza maggiore ed utilizzare meglio le proprie risorse. Vengono messi a fuoco i valori che orientano la vita del cliente, gli scopi che da alla sua vita e cerca di far scoprire nuove possibilità di senso.

Questa relazione di aiuto cerca di affrontare dilemmi esistenziali e morali, eventi luttuosi della vita, con lo scopo di raggiungere l’autonomia e l’autostima e si incentra sul progetto di vita.

Il counselor non è un consulente esperto di una materia, ma uno che aiuta il cliente ad aiutarsi, agendo da catalizzatore di risorse, facilitando il processo di problem solving.

Le caratteristiche del counselor efficace sono quelle già elencate da Rogers: accettazione, empatia, genuinità (sincera apertura verso il cliente), comunicazione efficace, ascolto attivo (non direttivo).

Molto importante è la relazione tra counselor e cliente, in cui il counselor non deve fornire le proprie risposte ma partire dalle domande del cliente.

Lo scopo è educare la persona, tirare fuori da essa, mediante un processo maieutico, le energie che possano trasformare possibilità in capacità. Il Counseling può essere utilizzato come sostegno durante il trattamento della patologia da parte di altre figure professionali.

L’inconscio psichico non è oggetto di indagine e nell’analisi degli atteggiamenti degli obiettivi non ci si focalizza sulle cause passate che li hanno generati, quanto sul significato e lo scopo della loro esistenza nel presente e nel futuro.

“Pratica Filosofica e contesto sociale: i luoghi, le attese, gli obiettivi” – Marcello Marino

Una delle critiche poste alla filosofia è quella della sua presunta incapacità a valutare adeguatamente gli stati d’animo, dando prevalenza alla speculazione. Il Counseling Filosofico ha contributo a riportare la filosofia sul terreno della pratica, sulla spinta anche di due esigenze molto presenti nel mondo moderno: la necessità di recuperare una istanza etica, un ritorno ai valori, e la necessità di recuperare la dimensione del pensiero nell’individuo, che viene troppo spesso identificato con il suo comportamento manifesto, il suo ruolo, dalla società.

Il Counseling Filosofico si offre come strumento per ripercorrere il processo di formazione del pensiero e ricollocarlo nella dimensione soggettiva ed esperienziale.

La pratica del Counseling Filosofico va inserita nel contesto sociale attuale. Di fronte ad un disagio esistenziale intende non considerarlo patologico ed offrire una apertura di senso ulteriore.

La pratica filosofica è un esercizio del filosofare che ha bisogno della relazione, che si apre all’altro. L’offerta ai clienti deve essere chiara e onesta, con una propria dignità che si allontana dalle logiche delle psicoterapie, soprattutto alla definizione di malattia e di categorizzazione rispetto ad una norma.

“Teologia pratica e filosofia pratica: considerazioni su possibili analogie” – Ezio Risatti

La Teologia pratica è una scienza nata all’università di Vienna nel 1774. L’autore si propone di applicare alcuni aspetti studiati dalla Teologia Pratica alla Filosofia Pratica.

Il primo punto analizzato è quello delle diverse finalità: la filosofia speculativa ha come scopo l’approfondimento teorico della realtà, punta ad una spiegazione ultima, l’ortodossia è la sua meta; la filosofia pratica mira a migliorare concretamente la vita, cercando soluzioni pratiche per migliorare la vita, l’ortoprassi è la sua meta.

Tra le due scienze deve essere costruita una relazione di alimento reciproco, e devono procedere in maniera parallela: l’una non può avanzare a lungo senza che avanzi anche l’altra e i suoi risultati non si riversino nella prima: vi è una dipendenza reciproca, ma anche un servizio reciproco.

La filosofia speculativa offre i seguenti servizi alla filosofia pratica:

– fornisce il quadro di riferimento della realtà, con cui il singolo individuo può confrontarsi

– fornisce le indicazioni di metodo all’azione, affinché il metodo sia congruente con la finalità dell’azione stessa

– fornisce la meta da raggiungere, indicando scopi e gerarchie tra le mete

La filosofia pratica offre i seguenti servizi alla filosofia speculativa:

– rileva i problemi reali della vita dell’uomo

– determina la validità delle risposte che la filosofia speculativa dà, verificando se migliorano o meno la qualità della vita dell’uomo.

L’ortoprassi si manifesta e sostiene l’ortodossia in quattro campi:

1) Pensare: nell’uomo è innata la necessità di filosofare, quindi ogni pensiero di un singolo uomo alimenta il pensiero filosofico speculativo.

2) Fare: si fa riferimento a tutto l’agire dell’uomo, che la filosofia pratica, con l’aiuto dei principi della filosofia speculativa, programma in modo coerente nella causa iniziale, nella causa efficiente, nel modo e nelle finalità.

3) Relazionarsi: le relazioni sono fondamentali nella vita dell’uomo, il loro numero e la loro intensità fa crescere l’essere della persona; la filosofia pratica, secondo i dettami di quella speculativa, verifica il numero e la qualità delle relazioni

4) Celebrare: è un meta agire in cui si rivela il significato profondo e ultimo di tutte le altre azioni dell’uomo; la filosofia speculativa determina i significati profondi della vita e i simboli che celebrano tali significati; ma è la filosofia pratica che rileva se i gesti simbolici sono realmente significativi del senso ultimo dell’agire dell’uomo.

“Filosofia e psicologia analitica” – Vittorio Piccioni

L’autore intende ricercare il ruolo della filosofia nella pratica della psicologia analitica. La filosofia interviene sicuramente quando ci si domanda cosa si fa (metapsicologia) e quando vengono poste domande sul significato dell’esistenza.

Per Jung la filosofia ha perso il suo significato quando è diventata accademica e ha smesso di aiutare l’uomo.

Vi sono alcuni livelli di ambivalenza nella psicologia del profondo. Ad esempio, la limitazione causata dalla sovrapposizione dell’osservatore con l’oggetto di osservazione, che genera non una sola verità ma tante verità individuali.

Un’altra ambivalenza è quella di volere dare senso al sintomo invece di eliminarlo (ad esempio a quello depressivo, considerato come un fenomeno compensativo il cui contenuto dovrebbe affiorare alla coscienza).

In una interpretazione del sogno avvengono molte distorsioni, il ricordo, il racconto, la scrittura in lingua italiana; per l’autore non è importante una ricostruzione fedele quanto un’apertura agli interrogativi che vanno al di là del sogno, ad esempio perché è stato raccontato in quel momento e non in un altro.

L’autore si domanda se Jung può essere considerato un fenomenologo, visto che i fenomeni della psiche sono soggettivi, vengono esaminati a distanza, ma sono dei quasi-oggetti.

I tipi psicologici sono assimilabili a tipi ontologici: il primo a parlarne è stato Kant, che chiarisce la differenza tra introversione e estroversione. Inoltre Kant introduce due concetti che diverranno fondamentali per la psicologia analitica: la distinzione tra le cose come appaiono e come sono e la nozione di categorie a priori.

Jung segue in concetto kantiano che la conoscenza trae origine dall’esperienza, ma non tutta la conoscenza deriva dall’esperienza, le cose in sé sono inconoscibili.

La nozione di categoria a priori indica strutture della mente non osservabili nel mondo che però la mente umana non può fare a meno di esperire: l’intuizione è come una percezione di patterns più generali che si cristallizzano attorno all’archetipo.

Nel Counseling è utile cercare di fare cambiare al paziente il punto di osservazione. Il paziente va accompagnato ma non guidato alla ricerca di senso nel vuoto esistenziale.

In Jung si ritrova il motivo gnostico di un dio buono ma non onnipotente perché limitato da un antagonista, da un demiurgo. Dio non impedisce il male forse perché il dono della libertà deve essere preservato al di là della sofferenza.

La domanda di senso dei pazienti depressi per un lutto non può quindi trovare una risposta, se non che la sofferenza va affrontata quando se ne è capaci, e che la terapia, la consulenza ci devono rendere capaci di guardare la sofferenza.

Filosoficamente la depressione è un non riconoscersi, è un sentire la mancanza, ci si sente tagliati fuori dal proprio mondo, con un sentimento di oscurità e solitudine. Ma è necessaria una discesa agli inferi, un confronto con l’Ombra e una successiva integrazione di parti che prima erano così lontane e temute. Per Jung, occorre colmare la separazione dall’Ombra per avere l’individuazione.

L’individuazione è lo sviluppo di una nuova personalità con l’unificazione degli opposti all’interno della psiche. L’individuazione è un processo che avviene nel corso della vita e può essere facilitato dall’analisi.

“Il Counseling Filosofico tra psicoanalisi e terapia clinica (riflessioni in un tempo di povertà)” – Elisabetta Zamarchi

L’autrice riferisce della sensazione di povertà simbolica del nostro tempo, da lei esperita nella pratica professionale di assistenza ad adolescenti ed adulti istituzionalizzati e non. Si nota la mancanza della capacità di dare nome ai dissesti emotivi e della progettualità: in questo territorio di limite, che non è patologia, si può muovere il Counseling Filosofico.

Nell’esperienza dell’autrice, non conta solo il divario economico degli esclusi, ma anche la loro estromissione dal piano della produzione di significati. Gli adolescenti crescono in una povertà di linguaggio tale da non essere in grado di rappresentare a se stessi e agli altri le proprie inquietudini.

Il primo segno della miseria del tempo presente, in cui essere sicuri è apparire sicuri e possedere oggetti che ti rendono sicuri, è la perdita dell’”anima” che si manifesta come apatia, mancanza di vitalità, perdita del coinvolgimento personale e dell’attaccamento nei confronti del sé.

Il secondo segno della miseria è che questo insieme di significati presentati dalla società non prevede una partecipazione soggettiva, non permette di iscrivere la propria esistenza.La società attuale richiede di abbandonare definitivamente la propria individualità, quindi si atrofizza la capacità di ascolto di sé stessi.

Il terzo segno della povertà si manifesta nel naufragio del linguaggio. Il linguaggio viene definito da Heidegger un bene perché è un possesso dell’uomo che gli consente di partecipare agli altri esperienze, attraverso il colloquio, il cui presupposto è l’ascoltare. Attualmente il linguaggio è strutturato come un monologo, manca completamente la fase di ascolto dell’altro.

La filosofia, attuata come prassi di ascolto e dialogo, può intervenire nel superamento di questa mancanza della società attuale. La filosofia ha la sua peculiare ricchezza nell’indipendenza da preoccupazioni funzionali. Nasce dal desiderio di conoscere, ed in questo modo risulta più aperta a nuovi modi di pensare e immaginare le cose. Se si coniuga all’ascolto di se stessi, può configurare un viaggio nei propri significati o in quelli di altri.

Il Counseling Filosofico si può collocare tra psicanalisi e terapia clinica in un tempo di povertà simbolica, che di per sé non è una malattia in senso stretto, ma intacca la capacità di realizzazione di sé.

L’autrice non vede una necessità impellente nel differenziare il Counseling Filosofico dalle discipline di cura psicoterapiche e psicoanalitiche, riconoscendo anche il percorso di queste ultime che le porta attualmente ad essere meno finalistiche (in senso di ricerca di guarigione) rispetto al passato.

L’ambito in cui può agire la filosofia, come pratica di relazione d’aiuto, è il territorio della narrazione, del racconto e della riattivazione della funzione dell’ascolto.

“Counseling Filosofico versus Psicoterapia? Identità e confini delle relazioni d’aiuto” – Enrico Frola

L’autore propone una definizione dei termini in uso nell’ambito della nuova disciplina del Counseling Filosofico.

Il Counseling Filosofico può essere definito come “Attività di Counseling tramite metodologie ed argomentazioni di origine filosofica”.

Fino ad una quindicina di anni fa, il Counseling era definito come una forma di psicoterapia, dall’opera di Carl Rogers, che aveva così definito una attività di tipo relazionale di aiuto, per distinguerla nell’America degli anni ’50 dalla psicoanalisi, praticata da medici.

Dagli anni ’90 c’è stata un’evoluzione e oggi il counselor può essere definito come una figura professionale che grazie alle sue competenze è in grado di favorire la soluzione ad un quesito che crea disagio esistenziale e/o relazionale ad un individuo o ad un gruppo.

In questo ambito, è possibile distinguer tra Pratica Filosofica (PF) e Counseling Filosofico (CF).

La Pratica Filosofica è assimilabile ad una Relazione di Aiuto (RA), che è un modo di relazionarsi di una o più persone che hanno funzione di helping, più o meno sviluppata a seconda delle capacità personali e professionali. La relazione di aiuto può essere svolta ad esempio un medico che abbia capacità empatiche nel trattare con un paziente, mentre la sua attività rispetto al paziente rimane quella medica. Anche un filosofo potrà incontrare persone con cui si relaziona per argomentare filosoficamente, con un intento pratico di ricaduta sulla vita delle persone, non facendo per questo Counseling Filosofico.

Un filosofo fa attività di Counseling se, attraverso la filosofia, sviluppa la capacità di addentrarsi nell’evento relazionale, di cogliere e gestire aspetti salienti e di facilitarne la soluzione.

Il Counseling Filosofico è altro rispetto alla psicoterapia, in quanto il Counseling Filosofico tratta prevalentemente di situazioni di disagio/malessere psicologico non patologiche, con il focus sulla crisi esistenziale. Però il counselor deve essere in grado di riconoscere, come esperto di relazione, se un individuo non ha un semplice malessere psicologico, ma ha un disturbo di natura psicologica o mentale.

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