DURATA N.40 DEL GIORNALE STORICO
DURATA N.40 DEL GIORNALE STORICO

“Se, per eternità s’intende non infinita durata nel tempo, ma intemporalità, vive eterno colui che vive nel presente”
(L. Wittgenstein, Tractatus Logico-philosophicus, 6.4311,
Giulio Einaudi Editore, Reprints, 1974, p.80)

Editoriale


Chi di noi non ha un cuore ferito, o almeno qualche scheggia dovuta all’inevitabilità dei traumi che accompagnano, e condizionano la nostra vita? Ebbene è proprio la ferita a dirmi che sono vivo, e la memoria di ciò che l’ha procurata, ci accompagna durante tutto il nostro percorso esistenziale. Non sappiamo se la memoria, con tutti i suoi contenuti (vissuti), può andare oltre il limite, quel confine della vita ‘terrena’, o incarnata. La morte ci conduce in quell’Altrove Assoluto e ci libera da ogni legame con la fisicità del corpo, e, come sostengono alcuni, restituisce ogni nostra particella all’Infinito delle particelle cosmiche.
Durare, termine polisemico, si presta tra le molte possibili letture, a quella di essere iscritti nella principale regola del Tempo, nella percezione di qualcosa che scorre, consumandosi. Nella durata viene esaltata la resistenza alla consumazione, fino a quel momento in cui viene decretata l’interruzione del processo, dall’evento-morte.
La morte sancisce la fine della durata biologica.


Siamo abituati a chiedere soccorso alla Scienza dalla quale troppo spesso aspettiamo risposte alle quali non è possibile dare seguito. Le risposte della Scienza nascono dall’osservazione, e dalla sperimentazione attuate secondo parametri ben definiti di fenomeni naturali, umani, anche mediante l’uso di strumenti, che misurano e verificano il ripetersi, la durata nel tempo, cioè, dei fenomeni stessi. Questa ripetizione diventa legge.


La Scienza, però, si occupa di fenomeni osservabili, e il termine fenomeno, dal greco antico φαινόμενον, fainòmenon, “che appare”, participio sostantivato di φαίνομαι [fàinomai] “mostrarsi, apparire”, genericamente in filosofia indica “ciò che appare, che quindi può non corrispondere all’oggettività, e che si manifesta ed è conoscibile tramite i sensi.
Vi è una disciplina filosofica fondata da Edmund Husserl, il quale tra il 1859 e il 1938, nel 1913 formulò i principi della dottrina fenomenologica nell’opera “Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica”. In Italia la prima edizione comparve nel 1950. [1]
Dove troviamo che:

Il mondo sensibile non è del tutto evidente alla nostra coscienza, quindi è giusto dubitarne; ma il mondo sensibile appare (fainomai) alla nostra coscienza, questo è indubitabile. In altre parole, il metodo fenomenologico si basa sulla “sospensione di giudizio” (epoché), ovvero viene messa “tra parentesi” l’esistenza del mondo: non si deve cioè accettare alcunché come scontato, ma avvolgere ogni cosa nel dubbio (col paradosso cartesiano per cui “posso dubitar di tutto ma non del fatto che sto dubitando“), sapendo che quello che percepisco coi sensi è quello che appare, non necessariamente quello che è. Non posso però dubitare né di me come soggetto dubitante né delle percezioni che ricevo: l’atteggiamento fenomenologico si configura, quindi, come un “puro guardare“, o come “ritorno alle cose stesse“.
Ci soccorre, a questo punto, L. Wittgenstein, il quale, nella proposizione n. 7 del suo Tractatus Logico-Filosoficus dice:” Su ciò, di cui non si può parlare, si deve tacere.” E sembra chiudere, con essa, un’antica questione che pone la filosofia: può il linguaggio dire ciò che non è rappresentabile? E, ancora: “Noi sentiamo che, anche una volta che tutte le possibili domande scientifiche hanno avuto risposta i nostri problemi vitali non sono ancora neppur toccati…[2]”


Un altro aspetto della durata è quello relativo al desiderio e/o l’aspettativa che nutrono tutti quelli che vivono una storia sentimentale. In questo caso la durata assume un valore fondamentale per il senso di sicurezza e di solidità, e stabilità, dell’Io. Qui ci soccorre il pensiero di Elena Pulcini [3] che nel suo Amour Passion e amore coniugale, dice: ”L’amore non tollera il cambiamento. Esso raggiunge la perfezione solo nell’immobile incontaminatezza del momento iniziale, nel quale si raccoglie tutta la felicità possibile.” E qui sorge il problema del possesso, come possedere nel tempo, quella felicità?… “Quello stato di perfetta felicità che può venire solo dall’intensa comunione dell’anima con l’oggetto amato, dal sentimento amoroso allo stato puro, non ancora soddisfatto. [4]” E, ancora, ”Il tempo è il vero nemico dell’amore, poiché ne provoca un’alterazione, che comporta inevitabilmente una sottrazione” … in fondo … “La paura più profonda è che l’amore si alteri, si impoverisca, non duri”. E quando un soggetto precipita in quella, che nel corso del tempo, diventa una vera e propria ossessione della durata, che, unita alla mancanza del possesso, produce una insostenibile angoscia della perdita. Una perdita che si traduce in uno svuotamento del valore del soggetto, e in una vera e propria frantumazione dell’Io. Tutto quello che la semplice presenza dell’altro confermava, si sgretola, mettendo in luce non solo i limiti delle capacità affettive, ma soprattutto la caduta delle proiezioni illusorie fatte sull’altro. Quello sarà il momento più pericoloso, poiché l’amore viene trasformato in odio e necessità di vendetta. Non semplice desiderio di vendetta, ma acuto bisogno: necessità. Diventa forte, a quel punto, la tentazione di ‘fissare’ per sempre quel tempo della felicità con un gesto violento e risolutivo: uccidere l’oggetto d’amore: un’azione attraverso la quale il soggetto si illude di interrompere la durata dell’angoscia che ormai lo pervade, ma anche, nella folle idea di impedire che l’altro possa essere felice altrove. Quanto è piena la cronaca dei nostri giorni, di queste perversioni dell’amore!

Amato Luciano Fargnoli

In questo numero il lettore troverà numerosi, e diversificati punti di vista, nello spirito che guida le prospettive culturali del Giornale Storico di Psicologia e Letteratura, da sempre impegnato a fornire una lettura il più possibile allargata sui temi che di volta in volta scegliamo.
Infine, abbiamo aggiunto, agli articoli pervenuti, un saggio sul tema della Durata per la particolare e approfondita ricerca, scritto dal Presidente del Cspl, Francesco Frigione.
*Colgo l’occasione per ricordare a tutti i lettori, i soci, collaboratori, e sostenitori che quest’anno ricorre il ventennale della scomparsa di Aldo Carotenuto, fondatore sia del Centro Studi di Psicologia e Letteratura che del Giornale Storico di Psicologia e Letteratura. Il CSPL sta organizzando un convegno per testimoniare quanto ancora sia vivo e fruttuoso il suo pensiero. Inoltre, è in preparazione una pubblicazione ‘strenna’ nella quale verranno raccolte le testimonianze di quanti, a vario titolo, lo hanno conosciuto e/o hanno collaborato con lui.

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1 Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica, traduzione di e cura di Enrico Filippini, Collezione Biblioteca di cultura filosofica n.13, Torino, Einaudi, 1950-1965).
2 L. Wittgenstein, Tractatus Logico-Filosoficus, 6.52, pp. 80-81).
3 E. Pulcini, Amour passion e amore coniugale, Marsilio Editore, Venezia, 1990, p. 74).
4 Elena Pulcini, op. cit.

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