Tratto da L’opinione, Venerdì 18 febbraio 1994
Ogni tanto mi trovo a riflettere sulla mia modalità di insegnamento: sul fatto che le mie lezioni non sono mirate, come capita a tanti colleghi, alla trasmissione di un sapere nozionistico, fatto di dogmi e di fedi teoriche, ma su qualcosa d’altro, forse di più impalpabile, che comunque riflette il mio mondo interno. Non è azzardato infatti dire che il maestro insegna soltanto ciò che egli è veramente. Cerchiamo di argomentare questo assunto: l’insegnamento ha un aspetto di superficie, facilmente comprensibile, che coincide con la trasmissione di informazioni pure e semplici. Questo però non coincide e non esaurisce minimamente il portato dell’atto educativo, dato che le nozioni possono essere ricavate in forma forse anche più corretta e comprensibile attraverso la consultazione dei libri, per esempio e una risonanza che giungono all’altro come un nutrimento.
Nel caso di un docente, per esempio, la scelta di un argomento per un corso di lezioni non è mai arbitraria ma esprime l’urgenza di mettere a fuoco una tematica che rifletta un aspetto particolare della propria ricerca. In fondo ogni lezione può essere equiparata a un test attraverso il quale un accorto studente può intuire l’interrogativo di fondo che anima la ricerca del suo insegnante. Certamente un professore di fisica non concorderebbe con le mie riflessioni, ritenendo che invece la sua lezione si fondi su una trasmissione assolutamente razionale e oggettiva di dati: ma in realtà esiste una scelta inconscia che guida a certi argomenti piuttosto che ad altri. E quando qualche volta mi chiedo fra me e me, che cosa mai ricorderanno gli allievi delle mie lezioni, l’unica risposta che sento di poter dare è che l’allievo rammenterà per tutta la vita soprattutto l’atmosfera del corso. Un clima che si può creare soltanto se si è capaci di svelarsi all’uditorio.
Del resto quando parlo in pubblico sono il più attento e feroce critico di me stesso, e quando le parole che mi giungono all’orecchio sono ripetizioni di vuoti saperi e di nozioni che mi sono estranee, mi sembra di tradire l’uditorio, e mi chiedo come si possa pretendere che qualcuno ascolti con passione se io stesso sono consapevole che ciò di cui parlo non ha alcun valore. È per questo motivo che cerco di attingere le parole dall’anima la quale, quando parla, non può che attrarre altre anime in cerca di nutrimento.
Spia senza scampo
I lapsus accadono, costringendoci a confrontarci con verità che non vorremmo riconoscere. In genere smentiamo immediatamente l’errore in cui siamo caduti e tentiamo di sostenere che dissentiamo o siamo estranei a ciò che si è rivelato. Al contrario il lapsus è un prezioso evidenziatore di un conflitto del tutto inconscio che, emerso in maniera così mascherata, costringe il paziente a confrontarvisi, dando inizio a un lungo e sofferto percorso che può portare a conclusioni forse anche molto dolorose, ma in definitiva molto più autentiche delle premesse dalle quali era partito.
Di fatto il processo di razionalizzazione delle nostre azioni ha lo scopo di celare alla coscienza quei motivi inconsci, per noi inaccettabili, che comunque ci guidano, costringendoci a cose che non avremmo mai pensato di poter commettere. Io mi confronto di continuo con queste ambivalenze e contraddizioni, e constato quante e profonde lacerazioni costellano la nostra esistenza, senza darci scampo e respiro. In fondo la tolleranza nasce dalla consapevolezza di questo karma che accomuna gli esseri viventi: così, perdonando gli altri mi illudo che anche gli altri possano comprendere le mie difficoltà.
Pedinato da lettere sconosciute
Mi capita di ricevere lettere di interlocutori sconosciuti che si sono imbattuti nella lettura di un mio libro. Sono lettere provenienti da ogni parte d’Italia, messaggi particolari – spesso di sofferenza, talvolta di gratitudine – da parte di persone che in genere non sono specialisti della materia di cui mi occupo.
Con grande soddisfazione constato che quello che mi viene detto corrisponde e conferma pienamente lo spirito con il quale io penso ad un’opera: mi pongo sempre in ascolto di un interlocutore invisibile che chiede di essere aiutato a comprendere la dura arte del vivere.
È per questo motivo che adopero un linguaggio chiaro e discorsivo, poco tecnico, e mi impongo perché il messaggio vada oltre l’apparente banalità di un suggerimento, ma nutra lo spirito di chi lo riceve e si depositi come un seme che potrà crescere e maturare nel tempo.
I problemi che affliggono gli autori delle lettere hanno un argomento comune: le difficoltà di rapporto con gli altri esseri umani. La loro sete di verità e di autenticità spesso scade nel letteralismo: indagano, spiano, pedinano pur di essere rassicurati che l’altro non menta, non tradisca, stia dalla loro parte.
Ma è un’indagine vana, massacrante. Si resta prigionieri della propria solitudine, tradendo quell’aspirazione radicata nell’essere umano a consolidare rapporti, ad approfondire la conoscenza di sé attraverso il confronto con l’altro, ognuno custodendo il sogno di un rapporto totale e di un accoglimento che ripeta quella relazione protetta e privilegiata vissuta nei primi istanti di vita.
Un’utopia necessaria, che muove l’uomo alla ricerca di se stesso, ma che spesso si traduce in un vano quanto breve reciproco rispecchiamento, che lascia entrambi più soli di prima.
Ed ecco che la lettura di un libro permette di sentirsi accolti, compresi, di riconoscersi in ciò che l’altro ha scritto, di commuoversi, anche, di un inaspettato nutrimento.
Emozione tardiva nella vita di un uomo
Un uomo della mia età si è incontrato con una donna molto più giovane di lui. Scattato immediatamente una serie di intrecci classici: si tratta di scrupoli per precedenti legami, per i figli, l’innegabile disinvestimento dagli impegni consueti che subentra quando si vive un’emozione così coinvolgente, la paura di essere scoperti.
C’è soltanto da porsi una domanda: che cosa significa una emozione così tardiva nella vita di un uomo? Si è tentati di porre fine alla storia per ritornare ad essere la “persona per bene” che tutti conoscevano. Si vive una lotta tra i rimorsi e i rimpianti.
Sarò sincero: l’esperienza clinica e le tante storie intime che ho conosciuto mi suggeriscono che non c’è esperienza più atroce del rimpianto.
L’inutile vendetta e il rancore
Il tradimento femminile mi sembra abbia una particolare caratteristica. Esso è quasi sempre fondato su una vendetta, un risentimento maturati lentamente contro il maschio, non potrei dire se basati su giuste o false motivazioni. L’impressione che me ne viene è quella di un rancore nato da una vita sacrificata forse invano.
Il segreto di una grande esistenza
La vita non può spiegare il perché di una grande opera ma certo, come diceva un celebre filosofo francese, quell’opera richiedeva per forza quel modello di vita. Quando un giovane sopraffatto dalle nevrosi siede di fronte a me, esaminiamo insieme la storia della sua vita e cominciamo a domandarci dove si cela il segreto che farà della sua esistenza una grande esistenza.
Aldo Carotenuto