This must be the place di Paolo Sorrentino

di Graziano Perillo

“This must be the place” è il titolo di una canzone dei Talking Heads, famosa band guidata da David Byrne che tra gli anni ’70 e ’80 si è posta all’avanguardia della ricerca musicale pop. La canzone è contenuta nell’album “Speaking in Tongues” del 1983 e parla di “casa” e di “amore”. “This must be the place” è il titolo di un film di Paolo Sorrentino che racconta di un viaggio, quello di Cheyenne, ricca e famosa rockstar del passato. Cheyenne è, in realtà, la maschera che John Smith indossa, con la quale si identifica e che lo rende riconoscibile a tutti. Cheyenne non passa inosservato, tuttavia è infastidito da questa notorietà. A chi gli chiede se è lui la famosa rockstar, Cheyenne si nega.

Ha cinquant’anni, ma è rimasto avviluppato in dinamiche adolescenziali, quelle tipiche di un ragazzo in conflitto con la figura genitoriale, che fa di tutto per segnare la propria indipendenza, abbracciando una moda che stabilisca una distanza e allo stesso tempo dia il senso di condivisione con una tribù. Cheyenne potrebbe rappresentare, con la sua adolescenza ingessata, qualcunque ragazzo, o qualunque adolescente non cresciuto, di ieri o di oggi, che indossi l’eskimo da sessantottino o il berretto e la felpa larga del rapper anni 2000.

La vita di Cheyenne scorre tra noia e insicurezza, appoggiata all’unico punto di riferimento stabile costituito dalla moglie di temperamento antitetico, forte ed energica, che lavora come vigile del fuoco, nonostante possa godere della grande ricchezza economica del marito.

Cheyenne è un uomo che non è a casa: vive a Dublino in una lussuosa villa, ma non ha ancora trovato il suo luogo. Cammina trascinandosi il carrello della spesa, poi un trolley, come oggetto transizionale al quale attaccarsi per avere rassicurazione e certezza. Si adopera per combinare una relazione tra due adolescenti, come un amico un po’ più grande che vuole rendere felice i suoi compagni.

Qualcosa, però, porta Cheyenne a diventare John Smith: all’improvviso riceve la notizia che il padre dall’altra parte dell’oceano, a New York, è in fin di vita. Parte. Per paura dell’aereo prende la nave e arriva quando il padre è già morto. Ne legge il diario e conosce i segreti dolori, la perdita della giovane spensieratezza che il genitore ha dovuto subire con la deportazione in un campo di concentramento nazista. Cheyenne si impossessa del desiderio paterno di vendetta e decide di catturare il criminale nazista che ha umiliato il padre nel Lager. Inizia qui il viaggio che lo porterà fino all’individuazione del criminale. Durante il viaggio Cheyenne incontra uomini, donne, bambini, incontra anche David Byrne, al quale confessa la propria ammirazione per lui e il suo senso di frustrazione per la mancanza di arte che lo ha portato a scrivere semplici canzoncine depresse per adolescenti.

Il viaggio, gli incontri, le vicissitudine sono l’occasione per Cheyenne di intraprendere un cammino più profondo verso il suo Sé adulto, verso un più maturo senso della vita.

Alla fine del film Cheyenne non c’è più, lascia il posto a John Smith. L’identificazione del figlio con il padre ha fatto nascere un nuovo uomo: cade la maschera e cadono i bisogni di aggrapparsi a qualcosa per affermare un io distinto. L’uomo nuovo ha scoperto che la più profonda distanza è in realtà la più profonda vicinanza, la vicinanza di scoprire che anche un padre ha avuto una vita carica di pesi, di umiliazioni, di sofferenze. L’uomo nuovo, però, ha scoperto soprattutto che gli ambivalenti sentimenti nei confronti del padre non si risolvono né assecondando, né opponendosi al paterno desiderio, ma con un processo di consapevolezza che porta a comprendere quanto la propria umanità sia costituita dello stesso ribollire di passioni che accomuna un padre e il figlio, così come in altro contesto accomuna un boia e la vittima.

“Qualcosa mi ha disturbato, non so cosa esattamente, ma mi ha disturbato” è la frase di commento di Cheyenne, dopo aver avuto il colloquio con il carnefice di suo padre e averlo umiliato, lasciandolo nudo, ma vivo, nella neve. Qualcosa di ignoto si è fatto strada nell’intimo di Cheyenne: è forse il vago senso per l’ingiustizia della vita, per l’irrimediabile peso che nulla possa essere riparato, oppure è il senso di compassione per un vecchio uomo non più tracotante nella sua senile infermità? Quale sia il sentimento specifico, se di sentimento si tratti, non è rilevante, perché qualcosa di più travolgente e scombussolante si affaccia ormai in Cheyenne: un ignoto, una presenza che conduce a quella casa che esiste soltanto quando non ci sono più distanze tra gli uomini e, meno che mai, tra padre e figlio, perché tutti, in fondo, chiamati a dare una risposta. This must be the place: non è uno spazio fisico, ma è lì, nel profondo del Sé, dove abita l’Altro che ci attende, il grande Altro, incarnato dal padre, che non è il luogo del senso del Bene e del Male, ma è il luogo del riconoscimento e della mancanza che ogni reale porta con sé, riconoscimento del limite del reale che interpella ogni uomo a rispondere per far nascere il Sé libero dalle paure, dalle insicurezze, dalle dipendenze che sono proprie di ogni adolescente che si affaccia alla vita.

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