La descrisse Dante, Boccaccio, ne soffrì Leopardi, Proust, Ciaikovskij, Virginia Woolf e molti altri artisti e personalità creative. Da un certo punto di vista ciò che definiamo depressione può essere considerato come un momento evolutivo molto fecondo, un momento nel quale siamo chiamati a volgere lo sguardo verso le profondità dell’anima alla ricerca del senso perduto. Un momento nel quale, attraverso quel dolore intimo e raccolto, lo sguardo assente di chi non riesce più a scorgere la via, facciamo a noi stessi una domanda fondamentale per la Vita. Una domanda disperata, che non può più aspettare la sua risposta. La depressione non è una malattia, come spesso viene considerata, ma una sofferenza colma di dignità che ci richiama verso noi stessi e grida un urgente bisogno di cambiamento e l’impossibilità di attuarlo.
Chi soffre di questo male dell’anima ha una ferita aperta e un conto in sospeso con la Vita. Soffre perché ha rimosso, abbandonato la propria intima verità. All’origine di questa ferita c’è sempre una grave offesa all’immagine di sé e un profondo, inconscio sentimento di non essere stati amati dalle persone più importanti e significative della propria vita. Quindi, per poter sopravvivere senza esporsi ad ulteriori ferite, il bambino, e l’adulto che è diventato, ha imparato a soffocare i sentimenti, con tutto il dolore che ne consegue, il senso di inadeguatezza, il “vuoto interiore”.
Come ci ricordano i saggi d’Oriente il Vuoto non è un vuoto, come siamo abituati a intendere, ma un serbatoio traboccante di potenzialità ed è proprio per rispondere a questa chiamata che la persona sofferente cerca dentro di sé, in un mondo sepolto, ciò che di sé non è stato ancora espresso, l’affetto smarrito, le proprie emozioni, che sono l’essenza e il nutrimento della vita interiore. Questo mondo riscoperto ha un immenso fascino e un suo linguaggio, il linguaggio delle immagini e dei simboli, attraverso il quale possiamo comunicare tutto ciò che non può essere mai completamente tradotto in parole.
Nelle pieghe del carattere di una persona è presente una vocazione all’unicità, la sua voce è flebile ma persistente.
sostiene Jung. Vocazione che chiede di essere vissuta. Compito del terapeuta è assecondare e promuovere nell’analizzando questo percorso individuale verso la propria interiorità/unicità, comprenderlo e contenerlo nel suo doloroso “scrollarsi di dosso tutto ciò che non gli appartiene”, attraverso il dialogo con le proprie immagini interne, i sogni, l’immaginazione al fine di favorire l’evoluzione del disagio verso una modalità esistenziale più autentica e significativa. Questo percorso può trascendere i confini di una terapia analitica individuale, verso spazi esterni di auto espressione (le “piccole arti” di tutti i giorni). Come Picasso usava “colori arbitrari” per esprimersi con maggiore forza e gli impressionisti esasperavano le pennellate per esprimere “l’ineffabile mistero…” così anche noi possiamo esprimere attraverso svariate forme i nostri vissuti interiori: nella recitazione, nella poesia, nel disegno, nella pittura.
Virginia Salles