in Giornale Storico del Centro Studi di Psicologia e Letteratura, 16, Giovanni Fioriti Editore, Roma, 2013
Frequentazioni
L’analista è un frequentatore abituale della crisi.
Anzi, potrei dire in accordo con Aldo Carotenuto, che l’analista nasce dalla crisi dei primissimi rapporti significativi che genera la ferita iniziale: quella che – cicatrizzata e tramutata in feritoia – spesso determina la scelta di questo mestiere non semplice.
Una feritoia attraverso cui guardare l’Altro, il Mondo, e comprenderne il dolore. L’analista da tale feritoia si affaccia e cerca – aiutando il paziente – di aiutare anche se stesso
Al di là dell’essere punto d’origine, o uno dei punti d’origine di questa scelta professionale, la crisi è presenza costante nel temenos analitico.
Il paziente che si determina alla scoperta di sé è spesso motivato proprio dall’essere arrivato ad una fase di vita percepita come critica, come guado difficile da attraversare.
L’analista è lì, almeno nelle aspettative del paziente, per aiutare a comprendere i nodi immersi nel profondo, trasformando quindi acque cupe e minacciose in acque adeguatamente chiare e quindi attraversabili.
Pur nella grandissima varietà dell’esperienza umana, la crisi è quindi elemento pressoché sempre presente nella quotidianità del lavoro analitico: crisi spesso oscura all’inizio, man mano più comprensibile, augurabilmente sfociante in un nuovo assetto della vita e/o delle relazioni del paziente.
Crisi non solo come momento topico ma anche come percorso.. l’analista ha, a mio parere, il compito di far vedere al paziente che una fase di impasse può diventare evento propulsivo e/o percorso da intraprendere e seguire… agendo.
Ma al là della stanza d’analisi, in presenza di una crisi che si definisce globale, cosa può dire (e fare) l’analista?
Nella stanza d’analisi.
In circa trenta anni di lavoro clinico ho visto che – pur nella vastissima gamma dell’esperienza umana e della tipologia – allorquando i pazienti in corso d’analisi afferrano e fanno proprie alcune acquisizioni, i momenti critici vengono affrontati con minor rischio di distruttività, e/o più agevolmente.
Stanti i limiti editoriali che ci siamo dati, accennerò soltanto sinteticamente alle sopradette acquisizioni, che potrei anche chiamare strumenti, o metodi, o modalità.
Comunicazione chiara
Distanza emotiva che consenta migliore visione dell’oggetto
Relativizzazione
Sdrammatizzazione
Senso del limite
Investimento non totalizzante sull’oggetto.
Nello svolgersi del percorso analitico, proprio in quanto talking cure, la comunicazione verbale assume una posizione centrale e sta all’analista cogliere gli eventuali nodi che talvolta rendono ardua, a volte inibiscono sino talora a impedire, una comunicazione chiara e diretta. Per ricostruire o costruire la possibilità di un dialogo attendibile e di una parola chiara, occorre attenersi ad alcuni fattori basilari: fiducia, rispetto, correttezza, attendibilità. Sono questi i mattoni per costruire – nel paziente e con il paziente – una fiducia che consenta l’affidamento, la possibilità di dirsi, la potenzialità della trasformazione grazie anche al Noi che si è andato strutturando attraverso il rapporto Io-Tu.
Se l’analista riesce a situarsi ad una distanza adeguata nel rapporto con il paziente, ha già posto le basi perché tale distanza sia non soltanto interpersonale ma anche intrapsichica. In questa distanza che consente l’avvicinamento ma esclude la fusione, il paziente potrà imparare a guardare i propri contenuti profondi ed il Mondo vedendone man mano le dimensioni reali.
Spesso, infatti, una impasse nei percorsi della vita è costituita dall’aver perso, o non aver acquisito mai, il senso della misura. Fantasie e aspettative, successi e fallimenti, soltanto per fare semplici esempi, assumono talvolta dimensioni sproporzionate e l’eccesso della misura percepita crea nuovi ingorghi emotivi.
Imparare a relativizzare confrontando la propria percezione con l’esterno, ascoltando ed elaborando opinioni diverse dalla propria, consente di non sentirsi più – a seconda dei casi ed estremizzando per esemplificare – vittima impotente o onnipotente salvatore.
La relativizzazione accompagna per mano la sdrammatizzazione.
Guardare dentro e fuori di sé, relativizzando i propri accadimenti, storicizzando e confrontandosi, permette di non percepire più come catastrofico e/o distruttivo l’elemento che prima era terrifico o paralizzante.
Queste acquisizioni consentono man mano di non investire più in modo totalizzante su un solo oggetto, bensì – ridata ai diversi elementi una connotazione chiara e adeguata – permettono la costruzione di una rete interdipendente di valori e rapporti, di spazi e di tempi in cui muoversi con sufficiente agio.
Abstract
La crisi è elemento pressoché sempre presente nella quotidianità del lavoro analitico: crisi non solo come momento topico ma anche come percorso. l’analista ha il compito di far vedere al paziente che una fase di impasse può diventare evento propulsivo e/o via da intraprendere. Ma al là della stanza d’analisi, in presenza di una crisi che si definisce globale, cosa può dire (e fare) l’analista? L’Autore riflette sulle possibilità d’azione nel collettivo allargato che si configura nel nostro tempo e ipotizza che ogni azione è opportuno parta dall’osservazione della dimensione clinica, dalla quale trarre elementi eventualmente esportabili.