Freud, Jung e la vocale “i”

Tratto da Giorgio Antonelli, “Lapsus di psicologi”, in Rivista di Psicologia Analitica, 47, Roma, Astrolabio, 1993

Forse è anche colpa della lingua tedesca e del fatto che la psicoanalisi porta alla luce l’elemento malvagio che si annida in ogni uomo, se Jung, in una lettera inviata a Freud nel dicembre del 1912, ha scritto “Ihrigen” invece di “ihrigen”. All’apparenza il fatto sembra banale, la differenza minima: lo scambio malaugurato non d’un fonema (che è significante, ovvero suono, suono che declina differenze, opposizioni) ma d’una lettera maiuscola con una minuscola. Può una “I”, in luogo d’una “i” ingenerare tanto rumore? Decisamente sì: nello scambio maiuscola-minuscola ne va dell’appartenenza di Jung al gruppo di Adler, già dichiarato eretico e ampiamente sconfessato da Freud, o a Freud stesso, ovvero alla psicoanalisi.

freudjueIn italiano “Ihrigen” significa “i Suoi”, “ihrigen “i loro”. Se Jung scrive “Perfino gli adepti di Adler non vogliono riconoscermi come uno dei loro [ihrigen]” il significato che passa è: Jung non si confonde col gruppo degli adleriani, Jung non è un eretico, Jung appartiene al movimento psicoanalitico. Ma Jung non scrive “ihrigen”, scrive “Ihrigen” e la maiuscola lo inchioda a un lapsus penoso che diventa occasione d’un alterco per corrispondenza, prodromo della sua separazione da Freud. Jung scrive “Ihrigen” e allora il significato che passa è: gli adleriani non vogliono riconoscerlo come un freudiano, uno dei “Suoi” (suoi di Freud). Forse è colpa della lingua tedesca, forse è semplicemente enorme che il destino di due uomini possa giocarsi nel luogo d’una opposizione grammaticale. A Freud, in ogni caso, non sfugge il lapsus di Jung. L’esibizione del quale, nel finale d’una lettera inviata in data 16 dicembre 1912, scatena l’ira di Jung, ira che si riversa nella risposta che egli invia a Freud appena due giorni dopo. In essa “suoi” (suoi di Freud) sono gli allievi che Freud tratta, appunto, come “suoi” pazienti, abbassandoli “al livello di figlio e figlia”.

Jung ha scoperto il trucco, trucco del quale si sono impadroniti anche Adler e Stekel, e non vuole più saperne di continuare un gioco che egli stigmatizza come prodotto della nevrosi irrisolta del maestro. Nel lapsus dunque opera una verità. E’ vero che Jung non è freudiano, semplicemente. In altri termini è vero che non è più figlio di Freud e, dunque, che sa vedersi, anche, come figlio. Ma mentre è irato e inveisce contro Freud, Jung ne sa meno sul proprio conto del proprio lapsus, lapsus la cui verità lo abbraccia e ne accompagna, sostenendola da altri luoghi e da altre distanze, l’impetuosa argomentazione. Argomentazione cui avrebbe dato maggior forza un lapsus analogo di Freud, un lapsus calami, se Freud non l’avesse corretto nel modo che vedremo. Per quanto ci abbia insegnato la quantità e qualità di sapere contenuta nei lapsus, nondimeno Freud ne commetteva in buon numero, in buona parte vi dedicava un’accanita attenzione per poi tradurli in racconti di personale psicopatologia. Come nel caso, famoso, di “Signorelli”, il pittore il cui nome Freud, per quanto si sforzasse (ma è ovviamente la dynamis del lapsus a prevalere), non riusciva a ricordare.

In una lettera inviata a Jung in data 11 novembre 1909, poco tempo dopo i festeggiamenti negli Stati Uniti, Freud, nuovamente esasperato dal comportamento dei suoi seguaci viennesi (in particolar modo Stekel e Adler), scrive, ricavando lo spunto, sadico oltre che omoerotico, dall’imperatore Caligola: “…in questi tempi i miei viennesi mi fanno arrabbiare così spesso, che Le auguro di avere un sedere solo per poterli sculacciare tutti in una sola volta.” Anche in questo caso si tratta della tenue differenza tra un “ihnen” (= loro, i viennesi) e un “Ihnen” (= Le, Jung). Jung, non i viennesi, Freud vuole sculacciare. Peter Gay, biografo di Freud, ritiene che il lapsus di Freud tradirebbe il suo “segreto disagio” nei confronti di Jung. Che si tratti di lapsus appare evidente, ma Gay tralascia di ricordare che, come appare nel poscritto alla fine della lettera, Freud si è accorto di quel lapsus. Se n’è accorto e, tuttavia, lo ha mantenuto. Perché? Nel poscritto si legge che il lapsus costituisce una rivincita nei confronti di un analogo lapsus commesso da Jung in una precedente lettera inviata a Freud in data 8 novembre 1909. In essa Jung aveva scritto di dover lottare penosamente con i suoi allievi per far loro intendere che la psicoanalisi “è un lavoro scientifico-metodico e non soltanto un tirare a indovinare intuitivo.” Ma invece di “ihnen (= a loro, ovvero “far intendere agli allievi”) Jung scrive “Ihnen” (= Le, ovvero “far intendere a Freud”). Il che tradotto significa che Freud non ha una comprensione adeguata della psicoanalisi e Jung deve faticare non poco per fargli capire cosa sia.

Il lapsus racconta che le cose stanno diversamente. Intanto Jung è in preda ai propri lapsus, è da loro raccontato, mentre Freud sa leggerli. Non solo. Ma si consente anche l’ironia di citare il lapsus di Jung e di chiosarlo nel poscritto con un “Non è divertente?”.

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Giorgio Antonelli