Il mistero dell’analisi di Jung

tratto da: Giorgio Antonelli, “L’immagine di Jung negli epistolari freudiani”, in Giornale Storico di Psicologia Dinamica, 36, Napoli, Liguori, 1994

kjung4Nell’infuocata lettera inviata a Freud il 18/12/1912 Jung contrappone all’autoanalisi di questi (“Lei sa bene fin dove arriva un paziente con l’autoanalisi: non viene fuori dalla nevrosi, proprio come Lei”) la propria analisi (“Io” scrive “non sono assolutamente nevrotico…infatti mi sono fatto analizzare”). Si tratta qui, ovviamente/freudianamente, d’una proiezione. Così ne parla Jones (introdotto da Jung nel milieu psicoanalitico) in una lettera inviata a Freud il 5/12/1912, sulla quale dovrò ritornare. Sembra che Jung vada dicendo anche ad altri della grave nevrosi di Freud. Non glielo ha detto Brill? domanda Jones a Freud. E aggiunge: “un’altra bella proiezione”. Come tale la considera anche Freud, che oltre a definire, in una lettera a Ferenczi, “nevrotico-abietto” il comportamento di Jung (lettera del 5/1/13) gli rivolge le seguenti parole di congedo: “Chi, pur comportandosi in modo anormale, non la smette di gridare che è normale, risveglia il sospetto che gli manchi la coscienza della propria malattia” (lettera del 3/1/13). Da chi si sia fatto analizzare, comunque, Jung non lo dice, né in questa né in altre occasioni. Si potrebbe sospettare che, nella circostanza, stia mentendo. Sul nome dell’analista di Jung, però, Freud ha un’ipotesi che trasmette a Ferenczi e Jones.

Nella lettera a Jones del 26/12/1912, oltre a riferire dell’insolente comunicazione inviatagli da Jung, Freud ipotizza che l’analisi Jung l’abbia fatta con la signorina Moltzer. A ciò fa seguire il commento “Può immaginare che analisi è stata”. Stessa indicazione la si ritrova in una lettera inviata a Ferenczi il 23/12/12. Nell’occasione il commento di Freud suona ancora più irridente. Freud scrive di poter padroneggiare la propria nevrosi, laddove è Jung quello che si comporta “come un pazzo e un uomo brutale, quale egli è.” Il “maestro” che ha analizzato Jung, ipotizza Freud, può soltanto essere la signorina Moltzer. E cosa pensa Freud della Moltzer? Che è una “donnetta”. Jung “è abbastanza stolto da andare fiero dell’opera di una donnetta con la quale ha una relazione.” Freud suppone che sia stata anche questa “donnetta” ad aizzare Jung dopo il suo ritorno a Zurigo. Che le donne o le “donnette” possano aizzargli contro i suoi allievi psicoanalisti Freud lo penserà anche altre volte, ad esempio nel caso di Ferenczi. In quell’occasione l’accusata di turno sarà la psicoanalista Clara Thompson.

Ma chi era la signorina Moltzer? Maria Moltzer (1874-1944) era la figlia del proprietario della fabbrica di liquori olandese Bols. Si sa che fu analizzata da Jung, di cui fu anche traduttrice, e che lavorò come psicologa analista a partire dal 1913. La stessa Moltzer aveva avuto in analisi una ragazzina di undici anni il cui caso Jung aveva ripreso nella sua conferenza Über Psychoanalyse beim Kinde in occasione del primo congresso internazionale di pedagogia tenuto a Bruxelles nel 1912. Il testo della conferenza confluì poi nel Saggio di esposizione della teoria psicoanalitica, pubblicato l’anno seguente. In esso Jung parla della signorina Moltzer come d’una sua “assistente” e ne introduce il trattamento analitico con le seguenti parole: “Premetto che questo caso, per durata e per decorso, è altrettanto poco tipico della psicoanalisi quanto poco un singolo individuo lo è di tutti gli altri.” Il saggio fu tradotto in inglese da Montague David Eder (convertitosi al freudismo dopo un’analisi con Ferenczi), dalla moglie Edith e, appunto, da Maria Moltzer.

Quanto alla notizia d’una relazione di Jung con la Moltzer, essa è confermata (sebbene per sentito dire) da Jolande Jacobi. Jung avrebbe conosciuto la Moltzer (che era diventata infermiera, si dice, per protesta contro l’alcolismo) al Burghölzli, prima di incontrare Toni Wolff. Freud deve essere stato al corrente della vicenda (non sappiamo come) e a riguardo ha modo di assestare un altro colpo a Jung in una lettera inviata a Ferenczi il 2/2/1913 nella quale parla della Moltzer (che non nomina) come della “sua Egeria”, la ninfa con cui aveva un rapporto amoroso e intellettuale il re Numa Pompilio. Un’allusione (a rigore non si può essere certi del fatto che Egeria stia per Moltzer) che lascia comunque trapelare un vissuto: agli occhi di Freud, Jung appariva come un re (laddove Ferenczi fu da Freud promosso soltanto a gran visir). Del resto nella lettera dell’8/9/1910 Jung scrive a Freud che tra “sorella Moltzer” e Martha Boeddinghaus, un’altra junghiana (il cui marito era amico di Jung), “regna una gelosia amorosa” che ha Jung come oggetto. Nella lettera del 29/8/1911, poi, Jung ha modo di comunicare a Freud che, in occasione del terzo congresso dell’Associazione Psicoanalitica Internazionale (che si sarebbe tenuto a Weimar il 21 e il 22 settembre) avrebbero presenziato, tra le altre, “Sorella” Moltzer, la dottoressa Spielrein e una sua “nuova scoperta” la signorina Antonia Wolff (oltre a – last not least – sua moglie). Una lista (di amanti) davvero interessante e resa tale anche dal fatto che Freud era perfettamente a conoscenza del coinvolgimento di Jung con Sabina Spielrein. Nella lettera inviata a Freud il 26/12/1912, Ferenczi, che soffriva nei confronti di Jung, per sua stessa ammissione, di un complesso fraterno (o forse dovremmo dire che Jung era capace di costellare il suo complesso fraterno), rincara se possibile la dose. A differenza di Freud, Jung non è capace di padroneggiare alcunché. Egli ha semplicemente trovato la psicoanalisi bell’e pronta senza verificarla. Al che segue il commento (tra parentesi): “Un’analisi a opera della sig.na Moltzer non è, a mio parere, del tutto valida.” Giudizio, questo di Ferenczi, così come quello riportato sopra di Freud, non suffragato da alcuna cognizione di causa. L’analisi di Jung resta comunque un mistero, anche se forse, siamo riusciti, nei luoghi degli epistolari freudiani, a catturare il nome della sua analista.

Dal luogo degli epistolari freudiani emerge anche il nome dell’analista della signora Jung. A rivelarlo a Freud, in maniera strettamente privata, è Jones in una lettera del 18/9/1912. Si tratta di Leohnard Seif, che di Jones è in quel periodo amico. Seif opera a Monaco come neuropatologo e psicoanalista. L’analisi ha luogo nell’autunno del 1911 e, secondo Jones, avrebbe reso Emma Jung edotta delle manchevolezze del consorte. Jones spera che Emma eserciti sul marito una influenza benefica per la causa della psicoanalisi. Per un intrigantedivertissement del destino lo psicoanalista di Emma sarebbe in seguito passato tra le fila degli adleriani.

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Giorgio Antonelli