Non è mai stato facile incontrare citazioni di Aldo Carotenuto nei testi di psicoanalisi, fatta eccezione per la letteratura a lui molto vicina. La spiegazione potrebbe risiedere da una parte in quello che potremmo definire lo “stigma degli junghiani” cioè la constatazione che il pensiero junghiano trovi poco spazio nelle trattazioni psicodinamiche, come si evince da vari e importanti trattati che saltano a piè pari il pensiero di Jung. Ciò è probabilmente dovuto – oltre che a mere logiche corporative – al fatto che il pensiero di Jung da un punto di vista tecnico appare asistematico e poco manualizzabile. Lo stesso vale per il pensiero di Aldo Carotenuto: chiunque si sia confrontato con i suoi scritti sulla psicoterapia sa che il discorso si svolge sull’impronta della narrazione, con incursioni frequenti nel campo dell’arte. Anzi che è l’arte a spiegare la psicoterapia. L’ineffabilità di questo stile rende ragione del fatto che possiamo ritracciare in Carotenuto dei punti di riferimento nodali ma non una teoria dello sviluppo psichico e meno ancora una teoria della tecnica.
Tuttavia se pensiamo alla letteratura psicoanalitica contemporanea, chi ha conosciuto Aldo Carotenuto non può non ritrovare dei concetti teorici che, benché sistematizzati in una chiave differente, riflettano i punti di vista che egli aveva sempre rimarcato. Pensiamo in particolar modo alla corrente nota come psicoanalisi relazionale, nata in America a cavallo tra gli anni 70 e 80 che ha posto particolare enfasi tra l’interno e l’esterno, su quello scambio tra paziente e terapeuta che, partendo dalle relazioni oggettuali e interpersonali, vede la chiave del trattamento nel rapporto che mette in gioco i due protagonisti dell’incontro analitico.
Questa corrente, che per lunghi tratti rappresenta oggi il mainstream del fare analisi, include tutta una serie di punti chiave che vedono nelle vicissitudini dello scambio paziente/terapeuta le possibilità trasformative del paziente, ma anche del suo curante. Proviamo a sintetizzare alcuni di questi punti chiave: empatia, mutualità, soggettività dell’analista, possibilità da parte dell’analista di rivelare propri punti di vista e pezzi della propria storia (self-disclousure), impasse analitica (enactment) come momento importante per comprendere meglio ciò che succede nel paziente, nel terapeuta e in quel terzo fondamentale che è il setting analitico.
Una visione che è divenuta trasversale a diverse concezioni terapeutiche, un tempo in opposizione e diatriba.
Sarà chiaro a chiunque abbia approfondito il lavoro di Carotenuto, che nei concetti che abbiamo appena riportato si condensa il discorso sull’analisi che egli ha esplicato lungo tutto il corso della sua vita, una visione totalmente incentrata sulla diade paziente-terapeuta, sui movimenti interni che questo speciale rapporto sviluppa, movimenti che coinvolgono sia il paziente che il terapeuta, tanto che per enfatizzare questo punto chiave, Carotenuto ha sempre ritenuto opportuno non parlare tanto di “transfert” e “controtransfert”, quanto di transfert del paziente e transfert dell’analista. La fondamentale attenzione al rapporto analitico gli ha permesso inoltre di non considerarsi mai uno junghiano, anzi di rifiutare tale etichetta, dicendo di se stesso di essere solo uno psicoanalista, senza alcuna apposizione. Da questa tendenza laica, derivava anche il suo rapporto fecondo con colleghi di altri approcci e altre vedute, in quanto per lui di uno psicoterapeuta quello che più contava era la dimestichezza con l’inconscio, ovvero la propensione e l’attenzione al rapporto terapeutico, al di là di quale che fosse la sua scuola di appartenenza.
Quindi, con riferimento alla presenza attuale di Carotenuto nel pensiero psicologico contemporaneo, ci sentiamo di dire che è un autore che potrebbe contribuire molto a irrorare le nuove tendenze che la pratica terapeutica sembra stare abbracciando, specie se consideriamo che in qualche modo ne sia stato precursore. Sarebbe forse anche questa l’opportunità per rendere attuale il pensiero carotenutiano nel lavoro degli analisti e nella formazione degli allievi.
L’articolo integrale può essere letto sul n. 20 (Aprile 2015)
del Giornale Storico del Centro Studi di Psicologia e Letteratura