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Respirare la vita

Stasera voglio parlare con voi di un argomento che solo apparentemente non riguarda la psicologia, ossia il nostro corpo. Generalmente, quando pensiamo alla psicologia, tendiamo a credere che questa disciplina si occupi di come funziona la nostra mente, di come pensiamo, sogniamo, desideriamo. Ma ci sono stati molti psicologi che si sono interrogati invece sul corpo e sul rapporto che esiste fra la nostra mente e il nostro corpo, nella salute come nella malattia.

Uno di questi era uno psicoanalista tedesco, allievo di Freud, di nome Wilhelm Reich. Vi racconto questo breve aneddoto. Durante una seduta con un suo paziente, che chiameremo Jim, Reich si accorse ad un certo punto che Jim, improvvisamente, aveva smesso di parlare nel mezzo di una frase. Secondo la tecnica psicoanalitica classica, Reich avrebbe dovuto, a questo punto, chiedere al paziente se c’era qualcosa nella frase che stava dicendo che lo metteva a disagio, se, come si dice in gergo psicoanalitico, stava “resistendo” a qualcosa che tentava di emergere dall’inconscio.

Reich però non fece questo: si fermò, per un attimo, a contemplare il corpo di Jim, e si accorse che non aveva solo smesso di parlare, aveva anche smesso di respirare! Per cui, ci pensò e disse: “Jim, tu non stai respirando. Respira!”, e Jim, sorpreso da quest’annotazione, ricominciò a respirare, e subito apparvero una serie di emozioni molto profonde, che lo portarono a piangere e a sfogarsi del dolore che fino a quel momento non era riuscito a contattare dentro di sé.

Veniamo così al titolo di questo mio intervento, che chiama in causa proprio la respirazione. Tutti quanti noi, è banale ma vero, respiriamo. Ma non tutti ci rendiamo conto che stiamo respirando, e per la maggior parte o la totalità del tempo pensiamo che il respiro, semplicemente, avvenga, che ci sia indipendentemente dalla nostra volontà. Tuttavia, tutti sappiamo allo stesso tempo che possiamo volontariamente interrompere la respirazione, per un periodo variabile, e andare in apnea.

Quello che scoprì, quel giorno, Reich, fu qualcosa di molto semplice e importante allo stesso tempo: il corpo può influenzare la mente, e viceversa, la mente può essere influenzata dal corpo. La respirazione è uno degli strumenti attraverso il quale questa connessione si rivela, e può essere stabilita o interrotta. In particolare, quando non vogliamo sentire un’emozione per noi troppo sgradevole, di solito ciò che facciamo, senza accorgercene, è di interrompere temporaneamente la nostra respirazione. Quando, invece, respiriamo più profondamente del solito, le emozioni tornano a farsi presenti in tutta la loro forza.

Forse è per questo, fra l’altro, che gli innamorati, quando pensano alla persona amata, sospirano? Il cuore è da sempre stato ritenuto la vera sede dei sentimenti umani. Nel parlare comune, si dice di una persona che è una “persona di cuore”, per intendere che dà molta importanza ai propri sentimenti per prendere le decisioni importanti della sua vita. Ora, secondo alcuni psicologi, questo non è solo un modo di dire, ma corrisponde a una realtà ben precisa: il nostro corpo registra le emozioni nelle sue varie parti, che possono anche diventare fonte di dolore o di malattia, quando non vengono ascoltate al momento giusto. E il momento giusto è proprio quando l’emozione è presente, è vitale e pulsante dentro di noi: anche se può essere un’emozione difficile da ascoltare, come la tristezza, la paura, l’angoscia, non va mai trascurata, in quanto essa è portatrice di un messaggio molto importante per noi in quel momento della nostra vita.

Pensiamo anche al rapporto tra il cuore e i polmoni, che oltre a essere vicini nel corpo, sono i due organi ai quali noi dobbiamo costantemente la nostra esistenza. Possiamo vivere senza altri organi, ma non possiamo mai smettere di respirare o il nostro cuore non può mai fermarsi, senza che la nostra vita non sia messa gravemente in pericolo. L’urgenza di respirare, è molto più intensa dell’urgenza di mangiare, bere, dormire, e non può essere rimandata oltre un certo tempo.

Per imparare ad ascoltare meglio le nostre emozioni, quindi, dobbiamo imparare a respirare. Sì, proprio così, imparare a respirare di nuovo, più e meglio di come ci siamo abituati a fare nel corso della nostra vita, durante la quale tutti noi, chi più chi meno, ha cercato di limitare la propria capacità naturale di respirazione.

Abbiamo limitato la nostra respirazione perché pensavamo che non saremmo stati in grado di sopportare un determinato carico emotivo, che sentivamo come troppo intenso e sgradevole, e così abbiamo smesso, per così dire, di buttare benzina sul fuoco, e bloccando la nostra respirazione, la voce delle emozioni è diventata sempre più debole, fino a non poter essere più ascoltata.

Questo meccanismo perverso può, a mio parere, essere invertito: possiamo ritrovare una modalità respiratoria più naturale e meno inibita, e insieme ad essa tutte le emozioni che sono state “messe da parte”. Ci sono vari modi per farlo: il più semplice, è quello di cominciare a rivolgere la nostra attenzione alla respirazione, in tutti gli ambiti della nostra vita, e di prendere coscienza di quando, per qualche motivo, blocchiamo la respirazione o ne limitiamo la portata.

Potremmo trovare difficile, inizialmente, dare ascolto alla nostra respirazione, o pensare che non vi sia nulla di interessante in essa, o che lo sforzo per rimanere concentrati sulla respirazione è troppo faticoso. Superato, però, questo ostacolo iniziale, potremmo fare delle scoperte interessanti: ecco, magari una determinata persona è entrata nella stanza, e… abbiamo smesso di respirare! Perché è successo questo? Cosa rappresenta per me questa persona, in presenza della quale non posso provare nessuna emozione? Forse è il mio capo al lavoro, dal quale mi sento oppresso? O qualcuno nella mia famiglia, che mi ha educato troppo duramente? Sta a noi scoprire il significato di questi eventi collegati alla respirazione.

Oltre all’osservazione diretta dell’atto respiratorio, possiamo praticare delle discipline sportive, come la corsa, la ginnastica in stile pilates o simili, oppure imparare a danzare, fare yoga o meditazione, o delle lunghe passeggiate in montagna o in un ambiente naturale… sono infiniti i mezzi attraverso i quali possiamo tornare ad ascoltare il nostro corpo e la nostra respirazione, ognuno può scegliere quello che ritiene più vicino alla sua inclinazione personale.

Per quanto mi riguarda, posso dirvi di aver tratto a suo tempo molto giovamento dalla corsa, dal ballo, e da una tecnica di respirazione che si chiama “respirazione olotropica”, che ho praticato e continuo a praticare da molti anni, della quale voglio parlarvi per concludere questo mio breve intervento.

 La respirazione olotropica è una tecnica di esplorazione di sé stessi che è stata inventata negli anni 70 da uno psichiatra ceco, naturalizzato americano, di nome Stanislav Grof, e da sua moglie, Christina. Secondo i coniugi Grof, e io sono d’accordo con loro, la respirazione può essere utilizzata, in un contesto preparato all’occorrenza, per contattare delle parti di noi stessi che, per qualche motivo, abbiamo trascurato nel corso della nostra vita.

Combinando una respirazione più frequente e più circolare del solito, con una musica d’atmosfera e varie forme di lavoro sul corpo, possiamo assistere e sperimentare come le emozioni per così dire rapprese nel corpo vengano liberate e lasciate libere di fluire nuovamente. Ci possiamo rendere allora conto che le emozioni, per quanto fossero di segno negativo, non erano però così terribili, e possono essere affrontate e vissute fino in fondo.

Quando vengono vissute fino in fondo, le emozioni, semplicemente, passano. Possiamo paragonare forse questo passaggio ad un amico che continua a bussare ad una porta, finché non gli viene aperta: a questo punto, dopo un breve giro dentro casa e dopo che gli abbiamo offerto una tazza di tè, l’amico è pronto per salutarci. Nel frattempo, ci avrà anche raccontato del motivo per cui è venuto a trovarci, del significato della sua presenza, ossia, per uscire di metafora, del senso di quell’emozione.

Personalmente, ritengo che riuscire ad aprire quella porta e far entrare un’emozione che è rimasta fuori per molto, troppo tempo, sia un gesto estremamente importante per ciascuno di noi, un gesto al quale abbiamo rinunciato magari perché, nella nostra cultura, vivere le emozioni spesso è considerata un’impresa contraria alla costruzione di una facciata rispettabile dagli altri e dalla società in generale.

Il prezzo che paghiamo, però, per mantenere questa facciata, è sempre molto elevato, e consiste nella perdita della capacità stessa di provare qualsiasi emozione, negativa o positiva che sia. Possiamo quindi arrivare ad avere una vita che giudichiamo rispettabile e conforme alle regole sociali, ma non riuscire più a sentire che stiamo veramente e interamente vivendo la nostra vita, che per quanto riguarda gli uomini è fondata soprattutto sulle emozioni e sul significato.

Non voglio con questo affermare che non sia giusto rispettare anche le norme della società nella quale siamo cresciuti e viviamo. Dico però che bisogna anche essere consapevoli di ciò a cui si è rinunciato, ed essere pronti a ricontattarlo non appena se ne presenta l’occasione.

Tutti voi probabilmente conoscete il mito di Procuste, il brigante greco che obbligava le sue vittime a sdraiarsi su un letto, amputando gli arti delle persone troppo lunghe per il letto e stirando quelli delle persone troppo corte, finché tutti non raggiungevano la stessa lunghezza. Ecco, si potrebbe dire che la società tenta di fare lo stesso con gli individui: propone un modello unico e invariabile per tutti, amputando le parti di chi straborda rispetto al modello, o allungando le parti di chi è insufficiente. Come individui, noi possiamo però ricontattare le parti che sono andate perdute nel processo di adattamento alla società, e riconoscerle come parti nostre, vere, ricostituendo così la nostra identità più profonda e restituendo dignità e senso alla nostra esistenza.

Ogni vita è infatti unica e irripetibile. Ciò che la rende unica sono soprattutto le emozioni che vengono vissute dall’individuo. Senza emozioni, le vite sembrano tutte uguali. Se rinunciamo alle emozioni e a respirare, quindi, in fondo rinunciamo alla vita nella sua più piena essenza.

(Trascrizione dell’intervento nella rubrica di Radiostuni “Psiche e le sue voci”  del 16 dicembre 2014)

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L'autore
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Luca Sarcinelli
Psicologo, in formazione come psicoterapeuta, è un cultore della psicologia del profondo ed è particolarmente interessato al filone teorico della psicologia transpersonale. È inserito nel programma di formazione del Grof Transpersonal Training per conseguire la certificazione di facilitatore di gruppi di respirazione olotropica ed è founding contributor della Stanislav and Christina Grof Foundation. È allievo dell'Istituto di Psicoterapia Atanor di Scoppito (L'Aquila). lucasarcinelli@gmail.com lucasarcinelli.it