Mela mangio – Le storie del simbolo del malum

in Giornale Storico di Psicologia Dinamica, 55, Roma, Di Renzo Editore, 2004

Malum è il nome della mela in lingua latina. Esso indica allo stesso tempo il frutto dell’albero del melo e ‘male’: male in quanto tentazione, trasgressione e peccato. Ma soprattutto la mela è stata per lungo tempo un simbolo di seduzione da parte di Eros.

Il nome della mela si compone di un innesto semantico fra un giudizio etico e l’indicazione di un frutto, la cui storia sembra coinvolta con l’evoluzione psichica dell’Occidente. L’utilizzo del simbolo della mela -nei miti biblici, nell’epica omerica, nelle fiabe, nell’anedottica scientifica o nella narrativa pubblicitaria- sembra poter ricapitolare la tappe del disagio della nostra morale collettiva nei confronti delle pulsioni. Secondo la nostra prospettiva la storia del simbolo del malum ripercorre lo sviluppo del rapporto dell’Io dell’Occidente con il suo lato Ombra.

La mela si presenta come un frutto saporito, zuccherino e facilmente accessibile. Seducente, come il seno o i glutei delle giovani donne alle quali è paragonato in tutta la fiorente letteratura erotica, laica e religiosa. La mela e il melograno, suo equivalente simbolico, invitano ad essere colti e mangiati, subito, senza impegni o prove da superare; la forza della mela è la sua semplicità, la sua disponibilità ad offrirsi, la sua prodigalità che chiede solo di non essere lasciata per non marcire.

La seduzione del simbolo della mela sembra legata alla dimensione del tempo: l’origine della colpa della mela agli occhi dell’Io nasce dalla sua velocità di fruizione e di decadimento, il suo facile donarsi e la sua rapida decomposizione. La mela è l’effimero, ciò che cade, il transeunte, il riassunto di tutto il male che l’eroe solare contrasta non tanto sotto le spoglie combattenti di un drago infuocato o sotto le forme subdole di un serpente tentatore quanto per la sua umile, quotidiana, oblativa ma temporanea presenza. Per cogliere la mela l’Io deve accettare di spogliarsi dell’armatura, deve sospendere la difesa dei grandi ideali e delle metanarrazioni e deve sottomettere l’ideologia della battaglia ad una riscoperta delle dolcezze che non durano.

La mela perturba le fantasie dell’Occidente. Essa è il simbolo stesso della dimensione dell’eros, spesso interpretato e condannato in maniera unilaterale come godimento sessuale. Non è un caso che la rivalutazione dell’Eros, avvenuta agli inizi del Novecento grazie alla psicoanalisi, sia ripartita proprio da un’accezione letterale dell’eros come pulsione, e sia invece pervenuta ad una connotazione più ampia e metaforica di eros come energia psichica solo dopo molti contrasti e molte divisioni, grazie soprattutto al contributo della psicologia analitica. E in particolare grazie al contributo di Jung, il quale nel libro di distacco da Freud, Libido e simboli della trasformazione, opera una metamorfosi concettuale del termine libido: da energia sessuale, appunto, a energia psichica.

Lì dove i Padri della teologia in nome del ‘contemptus mundi’ hanno confuso e condannato la vitalità della psiche come concupiscenza, i Padri della psicologia del profondo hanno recuperato il valore dell’inconscio prima come personale e sessuale e solo in seguito anche come collettivo e archetipico. Con la differenza che mentre i Padri della Chiesa condannano l’Eros nelle sue versioni esopsichiche -Demonio, donna, serpente, mela- in quanto nemici di Dio, i Padri della psicologia del profondo lo riabilitano in nome della funzione endopsichica di segnalatore del vero Sé verso il processo di individuazione.

La sessualità e la vita fantasmatica dell’inconscio, simbolizzate dalla mela, sono state dunque le due facce con cui l’eros è stato messo al vaglio del giudizio dell’Occidente. All’inizio, a dispetto dei veri dettami gesuanici, per escluderlo dai principi di una giusta condotta etica perché ‘chi ama le cose di questo mondo non può amare le cose di Dio’, e poi, dal XIX° secolo in poi, per reintrodurlo definitivamente come “la via regia” verso la salute psichica.

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Antonio Dorella