in Quaderni di Psicologia Archetipica, nr 1, Il linguaggio della psiche, Portofranco Editore, L’Aquila, 2012
Il luogo dell’usignolo
Un usignolo, la cui bocca minuta contiene tutta l’arte del flauto, si posò a cantare sulle labbra dell’infante e futuro grande lirico Stesicoro . Sostiene Plinio che si trattò di un manifesto e favorevole presagio: la dolcezza di quel canto avrebbe preso dimora nella poesia di Stesicoro. L’episodio è raccontato anche dal poeta Cristodoro di Tebe. Secondo la reimmaginazione di Cristodoro, Apollo, il dio nel cui nome risuona la distruzione, avrebbe insegnato a Stesicoro l’arte della lira mentre il poeta si trovava ancora nel grembo materno. Successivamente, alla sua nascita, un usignolo si sarebbe posato di nascosto sulle labbra dell’infante cantando . Da quali luoghi era venuto quell’usignolo? Cristodoro lo ignora e scrive ékpothen, da qualche luogo. Non ci racconta neanche, Cristodoro, dove l’uccello si sia recato dopo aver sostato sulle labbra del poeta. Cosa significa, però, porre la domanda sui luoghi? Significa forse ancorarsi alla letteralità del corpo e godere della centralità dell’Io? È questa la promessa che s’annuncia in quella domanda? Dove l’Io conosce i luoghi sa di potersi collocare in un presunto centro rispetto a essi. Il luogo e il succedere di luogo a luogo compongono per noi il mistero. Ciò vale, analogamente, per l’evento trasformazione, da intendere come passaggio di forme che si realizza in un passaggio di luoghi. Pensiamo ad esempio alla parola che nomina il dirsi della morale: ethos. Nell’ethos risuona il dimorare. Heidegger, ripensando un famoso frammento di Eraclito, sostiene che l’uomo dimora presso gli dèi. C’è un modo del luogo, dunque, che dice la vicinanza dell’uomo al dio. Proseguendo la reimmaginazione di Heidegger si potrebbe anche dire che la dimora, il dimorare, è un demone per l’uomo. L’uomo è il complemento di termine di un demone che gli si dona dimorando. Ciò significa che possiamo pensare alla morale dal punto di vista del dimorare e dentro l’orizzonte dell’immaginare. Se gli uomini hanno voluto partire dall’ethos per dire dell’etica, ciò è dovuto al fatto che l’ethos è dimora e come dimora si è imposto nelle trame del loro pensare. Se, dunque, l’ethos è dimora, l’etica deve essere ripensata e può essere reimmaginata a partire dalla dimora. Dimorare è atto etico per eccellenza. Noi possiamo intanto immaginare che l’usignolo si sia recato là da dove era venuto. Possiamo anche presumere che il suo movimento abbia avuto luogo in un attimo, come nell’apparire e disapparire di un’immagine. Perché possiamo presumerlo?
Inlocalis
Scriveva Claudiano Mamerto verso la fine del quinto secolo che tre sono i moti: stabile è il moto divino, locale il moto del corpo, inlocalis quello dell’anima . Pensiamo dunque al movimento disegnato dall’usignolo come a un movimento inlocalis o, anche, immaginale. Se, come afferma Claudiano Mamerto, l’anima vivifica il corpo inlocaliter, pensiamo che tanto sia avvenuto nel caso di Stesicoro. Al cospetto dell’anima, infatti, quale corpo non è infante, quale corpo non è impossibilitato a dire? Pensiamo quindi all’usignolo come a un’immagine d’anima. Pensiamo anche a questo serbarsi tra moto stabile e moto locale come alla condizione propria dell’anima, alla condizione in virtù della quale l’anima espropria i corpi. Ispirandosi a platonici e neopitagorici, oltre che ai Padri della Chiesa, Claudiano Mamerto compose i suoi tre libri sull’anima per illustrarne l’incorporeità. L’incorporeità non è Dio, e non è corpo, ma immagine. L’incorporeità è fatta della stessa aerea sostanza dell’attraversabilità. Perché Gesù morisse in croce occorreva che la divinità di Cristo abbandonasse inlocaliter il corpo. Ciò equivale a dire, ma non è Claudiano Mamerto a dirlo, che Cristo è immagine. Nei testi eretici dei primi secoli della cristianità non casualmente si fa questione del corpo di Cristo come di un corpo attraversabile. Nel breve testo dedicato da Cristodoro a Stesicoro il segno di un’incorporea presenza figura là dove si dice che l’usignolo si posò di nascosto sulle labbra del poeta. L’anima, come del resto sa Claudiano Mamerto, non soggiace alla quantità. Il corpo locale si troverebbe inlocaliter nell’anima così come il mondo localis si troverebbe inlocaliter in Dio. Pensiamo allora all’anima come al nostro demonico orizzonte. Esiste un rapporto tra ethos e demone. Siamo evidentemente parlati da un peculiare modo del dimorare. Si dà un dimorare del demone e si dà all’uomo. Il quale può non cogliere quel darsi. Il darsi delle cose non è un’evidenza per l’Io. Che l’apparire delle cose costituisca il vero miracolo l’Io lo ignora. Etico è allora che l’uomo faccia proprio il dimorare del demone. Ma come dimora il demone? E in quale luogo dimora il demone? E come è possibile che l’anima sia presente nel luogo e allo stesso tempo non sia localis?
Le due cecità
Secondo Antipatro l’anima che fu d’Omero sarebbe tornata ad abitare nel petto di Stesicoro . Anche per questo Eliano sosteneva che fosse giusto da parte di Stesicoro sollevare gli occhi in direzione di Omero. Si deve forse a quella traslazione se anche Stesicoro vituperò l’amore di Helena e Paride. Perché, infatti, Omero fu reso cieco? Lo spiega Filone a Sophia nei cinquecenteschi Dialoghi d’amore di Leone Ebreo. Afferma Filone che Omero perse la vista per aver cantato contro Amore . Per lo stesso motivo a Stesicoro sarebbe stata inflitta la medesima pena. Antipatro pensò la traslazione dell’anima di Omero nel petto di Stesicoro secondo la nozione pitagorica di metempsicosi. Secondo quanto sostiene Tzetze, al fine di confutare l’affermazione di Aristotele che voleva il poeta figlio di Esiodo, Stesicoro sarebbe stato contemporaneo di Pitagora . L’anima, dunque, transita. L’anima, come voleva Senocrate, discepolo e successore di Platone all’Accademia, è dotata di movimento. L’anima non è mossa, si muove da sé e muove altro e altri. Il moto le è proprio e abbiamo iniziato a vedere di che problematico moto si tratti. Come è mosso il corpo dall’anima? E, soprattutto, in quale luogo si fa evento per noi il mistero, la sincronia, di quella congiunzione? Domandare, giochiamo così adesso con questa desiderante parola, significa mandare in qualche luogo. L’atto del domandare è per ciò stesso atto del guardare al luogo della risposta. Per questo domandare è già rispondere e rispondere è domandare ancora. Domandare, poi, è domandare ancora perché i luoghi succedono ai luoghi e mai c’è dato di dimorare saldamente quella successione. La successione dei luoghi, infatti, è il regno dell’immaginazione. La lettera non può dimorare nella successione dei luoghi. Potremo mai essere attivamente, cioè assolutamente immaginanti? E, poi, cosa significa essere assolutamente immaginanti? Significa serbare il mondo. Non arriva ancora a questa conclusione Berkeley, il filosofo e vescovo irlandese, per quanto il suo pensare possa essere letto in tale salvifica, diciamo anche profetica, prospettiva. Il suo esse est percipi vale infatti un esse est fingi: essere è essere immaginato. Del resto è lo stesso Berkeley a scrivere che certamente noi stessi creiamo in qualche modo ogni volta che immaginiamo. Sostiene inoltre Berkeley che l’uomo potrebbe pervenire alla conoscenza dell’intera verità, con o senza l’impiego di segni, se possedesse una memoria e un’immaginazione molto forti e capaci . Qui capace significa un fare spazio, un rendersi attraversabili. Immaginare significa veramente creare il mondo. Abbracciare una concezione del mondo significa letteralmente diventarne il padre e la madre. Ciò implica l’assunzione di una radicale responsabilità, una responsabilità che fa di noi dei demoni nei confronti del mondo, non diversamente da come il Socrate del Simposio, che pure aveva il suo demone, faceva da demone a Alcibiade. La questione si pone nel modo seguente: perché l’uomo è responsabile del mondo in cui vive? Perché lo ha creato e lo crea ogni qual volta lo immagina. Per questo ne è responsabile. Prima di tale responsabilità non c’era nulla. Per questo motivo racconto la vicenda del poeta Stesicoro, di Helena e dell’Anima che li attraversa.