Articolo completo in formato PDF
in Giornale Storico del Centro Studi di Psicologia e Letteratura, 2, Giovanni Fioriti Editore, Roma, 2006 – Estratto
Il mio omaggio a Carotenuto ad un anno dalla sua partenza dalla tribù di amici e di discepoli che ancora gli vogliono bene è dedicato al futuro della sua psicologia ed è diviso in tre capitoli. Nel primo capitolo mi soffermo sul mio rapporto personale con lo stregone, al quale devo la riconoscenza per i tre pilastri della sua psicologia, basata sull’azione della propria diversità. E cioè l’interiorità –la confidenza con i segni dell’inconscio– la produttività –intesa come un proporsi creativo nelle relazioni con gli altri e con il mondo– e soprattutto l’indipendenza –il coraggio del tradimento dei valori non più significativi. Il secondo capitolo si centra sul rapporto fra Carotenuto e Jung e più in generale fra la psicologia ‘narcisistica’ di Carotenuto e il suo sabotaggio dei principi etici tradizionali. Il terzo ed ultimo capitolo tratta dell’attualità della psicologia ‘senza radici’ di Carotenuto in relazione all’attacco al relativismo etico da parte delle autorità di rappresentanza dell’Occidente Cristiano. Uno scontro aperto che deciderà l’identità della nostra cultura.
….
Gli telefonai la prima volta dopo la lettura di un suo libro, che giudicavo entusiasmante in alcune pagine e blando e annacquato in altre. L’alterna qualità delle ultime fatiche editoriali del mio stregone dipendeva dal metodo di composizione: ‘sbobinamento’ delle lezioni da lui tenute all’Università (anche generosamente al di fuori degli orari previsti) e successiva ‘impolpatura’. Questo sistema a catena imprimeva un ritmo di produzione che egli stesso giudicava talvolta più legato ad una sua necessità psichica che ad una reale esigenza di divulgazione di nuovi contenuti.
Accettò di incontrarmi il giorno successivo all’interno della sua casa-biblioteca popolata da segretarie, tirocinanti e filippini.
L’incontro con Carotenuto –iniziato con un “ma che cazzo ci fai tu in una farmacia?”- ha avuto il merito evidente di porgermi l’entità e la natura del mio disagio. Da bravo terapeuta ha poi saputo additarmi le vie di uscita per la differenziazione, spronandomi a percorrerle: la sensibilità verso i messaggi della psiche, le relazioni significative e la produttività nei campi che appassionano.
Ma soprattutto Carotenuto gonfiava l’Io. La sua terapia era supportiva. Di più ancora: inflattiva, megalomanica. I costrutti winnicottiani di holding, di maternage, di fiducia di base, o il concetto di alleanza terapeutica non rendono l’idea del rapporto privilegiato con l’Ego del paziente che quello stregone di Aldo sapeva far maturare.
La nevrosi è un segno di nobiltà, diceva, più che una psicopatologia. Il nevrotico è una individuo che anticipa un mondo nuovo. Il suo grido di protesta è il dono della sua sensibilità per indicare le contraddizioni che ancora gli altri non vedono.
Una delle storie preferite nel setting era la spiegazione del “complesso di Leonardo”, il genio che lasciava incompiuta ogni sua opera. Come se al creativo per antonomasia l’ordito di una trama fosse più soddisfacente della sua pedissequa e completa realizzazione. Anzi quasi come se la finitudine di un’opera mal si addicesse all’infinitudine del pensiero creativo che l’ha colta. Quando gli dicevo che fra i miei buoni voti del corso di laurea non ve ne era uno che era stato ottenuto con i quiz, mi rispondeva che il dettaglio ossessivo di quella forma di valutazione non poteva interessarmi. Ero fatto per altro. E la dimensione psicotizzante di disancoramento insieme ai miei sentimenti d’inferiorità che allora mi preoccupavano diventavano all’improvviso una leccornia al sapore di miele per il palato del mio Io.
Creare apoliti era l’arte del mio amico stregone.
Forse a causa di questa ipertrofia dell’Io, sembra che la maggioranza dei suoi analizzati e dei suoi allievi prediletti abbiano uno stigma, una cicatrice, un marchio di fabbrica comune e riconoscibile: l’ipersensibilità verso i confini istituzionali. Un’indomabile riluttanza per i luoghi chiusi a chiave. Una propensione alla fuoriuscita dal greto. Nei termini provocatori di Carotenuto: una vocazione al tradimento per ciò che ha perso o non ha mai posseduto un significato.
Paradigma del suo tradere, del suo andare oltre, della sua allergia ai confini interpretati eminentemente come barriere, è la storia delle dimissioni dall’AIPA. Divenuta una trama orale dell’immaginario collettivo questa vicenda analitico-sentimentale –di cui Carotenuto non parlava ma portava i segni– si è arricchita con il tempo attraverso il ridondare di dettagli inediti e improbabili, come ogni fabula che è vera al di là del suo fondamento cronachistico, perché pesca in una dimensione simbolica.
La rottura fra l’Associazione di Psicologia Analitica e Carotenuto ha polarizzato gli opposti etici di legge endopsichica e legge eteronoma, innestandosi come la declinazione di un mitologema nella storia della psicologia dei nostri giorni. Da quella diaspora la punta di diamante dello junghismo italiano ha freneticamente accelerato le sue attività individuali in un modo che egli stesso definiva simil-nevrotico. Ma soprattutto l’isolamento ha motivato il didatta nell’opera di discepolato fino a creare un gruppo di lavoro, ancora operante, che è quello al quale devo l’inizio della mia carriera di aspirante stregone. Quelli che si erano prematuramente privati delle eresie del loro battitore libero, si sono, al contrario, allontanati dalla possibilità di aprire il cenacolo delle loro sicurezze dottrinarie ad esigenze di minor formalismo.
L’attacco allo stregone dissidente è stato violento. Di fronte alle accuse di inopportunità deontologica –come si fa ad analizzare ciò in cui si è emotivamente collusi?– e di immoralità –non è lecito al terapeuta approfittare sessualmente del dislivello della relazione!– il mio stregone ha difeso il suo diritto di manifestare i propri vissuti di controtransfert. Apertamente, coraggiosamente e coscientemente Senza mai citare quell’avvenimento, si può dire che la maggior parte della produzione libraria relativa ai temi dell’analisi sia stata dedicata al diritto d’esistere del sentimento del terapeuta. E anzi all’essenzialità delle manifestazioni del pathos e dell’eros, al gioco in prima persona, senza deleghe, dell’analista. Anche laddove il perbenismo delle regole comune pone i suoi veti.