Tratto da: Giorgio Anotnelli, “Creare nemici, creare mondi”, in Giornale Storico di Psicologia Dinamica, 53, Roma, Di Renzo Editore, 2003
Nel corso della sua carriera di psicoanalista Ferenczi ha progressivamente ridimensionato la speranza nella possibilità che le analisi trovino compimento, termine. Nessuno degli psicoanalisti, dal suo punto di vista, ha veramente terminato un’analisi. E ciò in relazione al fatto che nessun analista è stato compiutamente analizzato, non Freud, per ovvi motivi (e nonostante lo stesso Ferenczi abbia ripetutamente cercato di farne un paziente), non Jung, non Ferenczi. A Freud, che aveva messo in relazione l’esplicitazione delle tesi sostenute ne Il trauma della nascita con il fatto che il suo autore non era stato analizzato, Rank aveva replicato con malcelata irritazione che, visti i risultati delle analisi degli analisti (e alludeva, in particolare, ad Abraham e Jones), si riteneva fortunato che le cose fossero andate così.
Le analisi dunque non terminano. E come potrebbero terminare se nessun analista fa il morto, si toglie dalla scena, si ritira nel vuoto fertile, sogna l’analisi mentre l’analisi avviene? La psicoanalisi, se ne erano resi conto per tempo i suoi pionieri, non può mantenere tanta promessa. Le guerre, dunque, continuano. I confini si fortificano. Le analisi non li sciolgono. Oltre cento anni di psicoterapia, ha scritto Hillman, non hanno evitato al mondo di andare sempre peggio. Le analisi non terminano e ciò significa che quel rifiuto della femminilità di cui ha parlato Freud persiste. Le analisi non terminano e dunque gli uomini continuano a combattere contro la passività, continuano a sentirsi sconfitti se vengono sottomessi, non si arrendono, non si lasciano vulnerare. Dal canto loro, le donne, stando sempre all’originario dettato psicoanalitico, non hanno cessato di avanzare la loro protesta virile. Anche le donne mancherebbero, in una misura diversa e secondo una diversa modalità, al principio femminile.