Irigaray Luce, Speculum. L’altra donna, 1974.
Su questo libro – Speculum de l’autre femme del 1974, (trad. ital. Speculum. L’altra donna, Feltrinelli, Milano 1975), della psicoanalista e filosofa di origine belga, ma francese di adozione, Luce Irigaray – è stato scritto tantissimo: costituisce una delle pietre miliari del pensiero femminista europeo.
L’opera, che era la tesi di dottorato dell’autrice, le costò l’espulsione dall’Università di Vincennes e decretò la rottura con Lacan e l’Ecole Freudienne de Paris, dove Luce Irigaray si era formata.
Il titolo Speculum, che fa riferimento allo specchio concavo con cui in ginecologia si guarda all’interno del corpo femminile, è, infatti, anche un evidente polemico richiamo allo specchio di Lacan, (vd. saggio Stadio dello specchio del 1937, reso noto al grande pubblico nel 1966),
Protagonista del libro è la differenza sessuale, ed in particolare la ‘mancata esperienza di alterità’ da parte di filosofia e psicoanalisi. Queste discipline, partorite da menti maschili e quindi espressioni di una cultura fallocentrica, hanno, secondo l’autrice, omologato, sintetizzato, nell’Uno, nel Medesimo ogni differenza, ogni dimensione che rimanda all’alterità della sessualità femminile: il mondo femminile viene considerato, e quindi rappresentato e narrato, come copia di quello maschile. Una storica parola-chiave introdotta da Irigaray è, infatti, fallogocentrismo con cui viene chiamato il discorso dell’uomo, rivolto a se stesso, ed espressione del suo fallocentrismo.
Rilette a distanza di più di trenta anni, le argomentazioni dell’autrice non perdono nulla del loro fascino e della loro forza originaria.
Nel libro, costituito da tre parti, Luce Irigaray pone le basi per la creazione di una nuova teoria della differenza sessuale attraverso una analisi critica prima della psicoanalisi (freudiana e lacaniana), e poi dell’intera tradizione filosofica occidentale, da Platone a Hegel.
Nella prima parte Il luogo cieco di una antica simmetria, l’autrice ripercorre criticamente la teoria freudiana sulla sessualità femminile, a partire dal celebre scritto La femminilità in Introduzione alla psicoanalisi. Il testo, uno degli ultimi scritti di Freud, riassume posizioni disperse e sviluppate in più pubblicazioni. Al termine dell’analisi, ironica e sagace, Luce Irigaray dimostra come Freud e la psicoanalisi abbiano contribuito a delineare i tratti della femminilità solamente come mancanza di tratti maschili, lasciando così la sessualità femminile nel vuoto di rappresentazione, visto che non esiste nessun linguaggio o sistema di segni in grado di simbolizzarla: la donna per Irigaray, non dispone di immagini.
Nella parte centrale del libro Speculum, l’autrice apre un dialogo con alcuni classici della filosofia (Platone, Aristotele, Plotino, Cartesio, Kant, Hegel) analizzandone i presupposti logici e ontologici per concludere come, in tutta la storia del pensiero occidentale, la donna non abbia mai avuto un posto, una collocazione, una rappresentazione che non fosse ordinata secondo parametri maschili.
E’ necessario fondare un nuovo mito dell’origine che contempli pienamente e renda giustizia finalmente all’alterità femminile, l’altra donna del titolo.
Per questo Luce Irigaray introduce la metafora dello specchio concavo, lo speculum, che polarizza la luce per esplorare le cavità interne (come il sesso femminile), che deforma e non rimanda una copia del Medesimo, dell’Uno (maschile) piatta e uguale a se stessa, ma è in grado di rappresentare la femminilità, scardinando la struttura del discorso fallogocentrico.
Nella terza e ultima parte del libro, l’hustèra di Platone, la filosofa propone un’interpretazione del mito della caverna di Platone, basata sul parallelismo tra caverna e utero, ritrovando in questo mito proprio l’origine simbolica dell’esclusione del femminile e del materno da tutto il pensiero filosofico occidentale.
Il mito descrive “… uomini chiusi in una specie di dimora sotterranea a mo’ di caverna, avente l’ingresso aperto alla luce e lungo per tutta la lunghezza dell’antro, e quivi essi racchiusi sin da fanciulli con le gambe e il collo in catene, sì da dover star fermi e guardar solo dinanzi a sé, ma impossibilitati per i vincoli a muovere in giro la testa…”, come un feto nell’utero materno. Per poter far parte della società è necessaria una nascita violenta che si lasci alle spalle, dimenticandola, l’origine materna, corporea, femminile (simboleggiata dalla caverna) in favore di una nuova genesi, più nobile di quella carnale, ma dolorosa, che brucia gli occhi, (rappresentata dalla fuga verso il mondo esterno, illuminato dal sole) mediata solo dal pensiero.
Ma tutto ciò che viene rimosso, resta, e continuamente riaffiora, così anche il l’alterità femminile dimenticata, mortificata, da una cultura che non la sa più vedere, e quindi non la può più spiegare… E’ l’altra donna che bussa alle porte dell’inconscio in cui è stata relegata chiedendo giustizia. E Luce Irigaray gliela rende con questa opera lucida , appassionata, alla quale ogni lettore, soprattutto se donna, non può non aderire dal profondo. Dopo questo libro la cultura occidentale non è stata più la stessa: l’altra donna ha trovato finalmente voce per parlare di sé e immagini per rappresentarsi. Non più solo un’immagine riflessa del modello maschile di riferimento, cui dover necessariamente tendere, rivendicando una uguaglianza che è impossibile, innaturale, e nemmeno tanto desiderabile o vantaggiosa, ma l’alterità femminile che è finalmente libera e consapevole di affermare con fierezza la intrinseca diversità della sua natura a partire dalla differenza sessuale. Irigaray restituisce così a ogni donna la libertà e l’orgoglio di essere bambina, sorella, figlia, compagna, moglie, madre, …Donna.