Richard Sterba sulla tecnica di Ferenczi

Adattato da: Giorgio Antonelli, Il mare di Ferenczi. La storia, il pensiero, la vita di un maestro della psicoanalisi, Roma, Di Renzo Editore, 1996.

Richard Sterba, psicoanalista viennese, le cui opere non sono state tradotte in lingua italiana, pubblica, sull’Internationale Zeitschrift für Psychoanalyse (1936), un articolo sull’ultimo Ferenczi intitolato Il trauma psichico e il trattamento del transfert. Gli ultimi contributi di Sándor Ferenczi alla tecnica psicoanalitica. Sterba esordisce definendo Ferenczi il più prolifico, vitale e versatile tra gli apostoli della psicoanalisi.

Nella prima parte dell’articolo l’accento è posto sull’attività dello psicoterapeuta, ovvero su come deve essere e cosa deve fare l’analista in analisi secondo Ferenczi. Sulla falsariga del “furor sanandi” di cui aveva già parlato Freud, Sterba delinea un ritratto dell’analista ferencziano fatto di benevolenza a tutti i costi e ricettività portata all’estremo (rilassamento). Tutto ciò non sarebbe però sufficiente per il raggiungimento della “massima emozionalità nel processo analitico”. Se benevolenza e ricettività inducono nel paziente una profonda regressione, infatti, tale regressione può inaridirsi al cospetto dell’atteggiamento “rimasto” adulto dell’analista. Occorre allora che questi regredisca insieme al paziente. A tale movimento di “co-regressione” Ferenczi dà il nome di “giocoanalisi”.

Benevolenza, rilassamento e co-regressione non sono ancora sufficienti in ordine al raggiungimento di una più profonda regressione dell’Io del paziente. L’ultimo ostacolo è costituito dalla confusione delle lingue del bambino e dell’adulto. Tale ostacolo è rappresentato dall’ipocrisia professionale dello psicoanalista. Abbiamo visto come il paziente in stato di trance penetri i moduli emotivi dell’analista, ma sostituisca alla critica o all’attacco l’identificazione. All’analista spetta di non rinforzare le resistenze del paziente, la sua identificazione e, dunque, la sua menzogna. Egli deve far cadere l’ipocrita maschera della professionalità e comunicare al paziente i propri vissuti negativi nei suoi confronti. Tale comunicazione, lungi dall’indurre reazioni negative nel paziente, serve a ricomporre l’equilibrio della sua personalità.

E qui Sterba lancia la prima critica a Ferenczi: ciò che egli chiede all’analista implica una partecipazione pressoché “superumana”. L’analisi diventa in questo modo una sorta di compartecipato acting out. L’analista di Ferenczi, infatti, vizia, fa da madre, è indulgente, addirittura afferma di poter avere un solo paziente. Nella seconda parte del saggio si fa appunto questione di tale “viziare il paziente”. La critica si spinge ben oltre nel momento in cui Sterba affronta il concetto e la pratica di neocatarsi (gli stati di trance dei pazienti) che Ferenczi oppone alla tradizionale catarsi. Dietro tale pratica opera l’enfasi posta da Ferenczi sull’importanza, pressoché esclusiva, del trauma. È sulla base di questa concezione del trauma che Sterba denuncia l’ulteriore regressione scientifica di Ferenczi, una regressione tale da riportarlo ai tempi preanalitici (precedenti alle scoperte di Freud). Ferenczi insomma ritorna alla teoria, elevata potremmo dire a dogma, dell’innocenza del bambino. Al bambino appartiene soltanto la lingua della tenerezza, non la sensualità, che gli è estranea e alla quale è l’adulto a introdurlo, forzandolo, ovvero seducendolo. Col risultato che per Ferenczi trauma e seduzione finiscono per sovrapporsi. Il più prolifico, vitale e versatile tra gli apostoli della psicoanalisi diventa, in questo modo, anche il più regredito.

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Giorgio Antonelli