Margaret Little sulla propria analisi con E. F. Sharpe
Margaret Little, che ha scritto della sua analisi con E. F. Sharpe, ci fornisce un ritratto poco lusinghiero dello stile analitico della sua psicoanalista. In termini ferencziani (e Ferenczi viene espressamente citato) Margeret Little rimprovera la Sharpe di confusione delle lingue: “sapevo che i miei veri problemi non erano mai stati toccati; invece dell’empatia c’era stata una confusione delle lingue”. Un esempio di confusione viene espressamente fornito dalla Little nei termini seguenti: quando la Little non si trovava sul divano, la Sharpe cambiava modo di fare, trattava la sua paziente come fosse un'”ospite”. “Allora” continua la Little “era molto gentile e cordiale, amichevole e generosa…Per me quel comportamento riproduceva esattamente la confusione e l’ambivalenza che avevo sperimentato con mia madre, cosicché nelle mie aree psicotiche Ella Sharpe divenne identica a mia madre. Nei termini di M. Little, la confusione è tra nevrosi di transfert (secondo la psicoanalista Sharpe) e psicosi da transfert (secondo la paziente Little). Un presupposto teorico di quanto precede può essere rinvenuto nell’assunto che sostiene gli scritti della Sharpe sulla tecnica della psicoanalisi. Nelle parole di M. Little il modo di lavorare di E. F. Sharpe era “basato sull’idea che la psicoanalisi riguardi essenzialmente la sessualità infantile in tutte le sue forme, legata cioè al complesso edipico, e le fantasie rimosse sui genitori, che possono essere rivissute soltanto attraverso la nevrosi di transfert.”
Dall’analisi con Winnicott
“Alcune settimane dopo, passai un’intera seduta in preda a ricorrenti attacchi di terrore…Afferrai le mani di D. W. e gliele strinsi finché gli spasmi non scomparvero. Alla fine mi disse che pensava che stessi rivivendo l’esperienza della nascita: mi tenne la testa per alcuni minuti, dicendo che immediatamente dopo la nascita, per un certo periodo, il bambino può avere male alla testa… da quel momento Winnicott prolungò la durata delle sedute fino a un’ora e mezzo, allo stesso onorario, fino quasi alla fine dell’analisi… letteralmente, per molte lunghe ore mi tenne le mani strette tra le sue, quasi come un cordone ombelicale, mentre stavo distesa, spesso nascosta sotto la coperta, in silenzio, inerte, ritirata, presa dal panico e dalla rabbia, o in lacrime, addormentata e talvolta sognando.”