Tratto da G. Antonelli, Schizzi genealogici psicofilosofici, in Giornale Storico del Centro Studi di Psicologia e Letteratura, 6, Giovanni Fioriti Editore, Roma, aprile 2008
Nella Pasqua del 1955 Lacan insieme a Jean Beaufret (che era entrato in analisi con lui quattro anni prima) si reca in visita a Heidegger a Friburgo. Heidegger non conosce il francese e Lacan non parla il tedesco. Nondimeno, attraverso i buoni uffici di traduttore di Beaufret, Heidegger pone a Lacan una domanda sul transfert.
L’episodio è riferito da Elizabeth Roudinesco nella sua biografia dello psicoanalista. Lacan risponde che il transfert non è quello che si pensa di solito, ma qualcosa che inizia nel momento in cui si decide di rivolgersi a un analista. Beaufret ritraduce la risposta di Lacan in termini più congeniali a Heidegger: il transfert non è qualcosa di interno alla psicoanalisi, ma una sua condizione a priori, nel senso in cui Kant parla di condizioni a priori dell’esperienza. Al che Heidegger, presumibilmente soddisfatto dalla riformulazione di Beaufret, risponde: “Ach so!” Non un granché come dialogo tra il più grande dei filosofi e il più grande degli psicoanalisti.
Quando, sette anni dopo, Lacan invierà a Heidegger una copia degli Scritti con dedica, questi scriverà a Boss una lettera nella quale definirà barocco lo stile dello psicoanalista francese. In una lettera successivamente inviata a Boss Heidegger scriverà di Lacan che “lo psichiatra ha bisogno di uno psichiatra”