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IL MIO NOME E’ CAINO. Monologo di un killer a teatro.

Recensione di Alessandro Uselli

Sono passati solo pochi anni da quella serata in cui Ninni Bruschetta ha amichevolmente conversato con noi sulla psicologia del non protagonista, partendo dal libro brillante che aveva appena pubblicato (qui il video della serata).

Un libro che adesso, come scherzosamente ci ha confessato, andrebbe quantomeno riveduto.  Perché da qualche mese Bruschetta è la figura centrale di Il mio nome è Caino, lavoro teatrale tratto dal libro di Claudio Fava, per la regia di Laura Giacobbe.

Sulle note suonate dalla sublime pianista e compositrice Cettina Donato, in un ambiente buio e minimale, Bruschetta diventa Caino, uomo di mafia spietato, ironico quanto cinico narratore di morte.  

Atmosfera noir d’altri tempi, voce roca, Caino ci rivela la banalità del male, le passioni fin troppo umane che risiedono persino in un mostro, in grado di ingannare e far uccidere colui che per lui era come un fratello. Non c’è redenzione in Caino, se non quella che può riconoscergli lo spettatore sedotto dal suo racconto: seduzione mortifera, come quella che subisce la preda del serpente a sonagli.

Lo spettacolo non punta secondo noi a una forma di empatia col protagonista – molto di moda in questi anni – ma reifica il suo esistere, ci mette in braccio la visione di un uomo come noi, non diverso, non folle, ma con un sistema valoriale e un assetto psicologico in grado da rendergli consuetudinarie azioni per noi repellenti. Come il boia del macello che per mestiere sgozza animali ogni giorno, se non per il fatto che la personalità di Caino si basa sull’essere Caino:  non è un attitudine, è il fondamento del suo stesso stare nel mondo. 

Qual è la psicologia dell’uomo mafioso? Un sociopatico, un narcisista? Non ci avventureremo nella risposta a queste domande, ma è utile ricordare i lavori del prof. Girolamo Lo Verso, che per lunghi anni ha studiato la psicologia della mafia, degli uomini d’onore e delle loro famiglie,  mostrandoci come abbisognino di categorie interpretative a se stanti.

Il monologo è un piccolo gioiello e Bruschetta è un protagonista eccellente. Un protagonista che ipnotizza la sala, un protagonista in grado di attingere da tutta la propria sicilianeità ma anche di prendere il microfono e diventare Chet Baker in My funny Valentine.

Lo spettacolo che ha chiuso da poco al Brancaccino di Roma, farà ancora tappa in varie regioni. Allo spettatore il consiglio di non perderlo, a Ninni Bruschetta l’augurio di poter essere ancora protagonista.

Come si dice in questi casi: buona la prima.

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L'autore
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Alessandro Uselli
Specialista in Psicologia clinica e Psicoterapeuta. alessandro.uselli@gmail.com