Variazioni sul tema

in Giornale Storico del Centro Studi di Psicologia e Letteratura, 10, Giovanni Fioriti Editore, Roma, 2010 – Estratto

Ci sono molte strade per affrontare l’esperienza del morire e ognuna di esse rispecchia la nostra vita appena trascorsa. Anche se oggi la cultura occidentale tende a non parlare della nostra morte ma di quella degli altri, per l’arte, la religione, la filosofia, la scienza di ogni tempo è stata uno dei punti focali della ricerca umana, e ogni persona che si è occupata di quest’argomento l’ha fatto con una prospettiva peculiare. Da Platone a Sant’Agostino, da Heidegger a Jankélévitch, da Freud a Bataille, a Girard, quasi tutti gli artisti, poeti, scrittori, musicisti, pittori, autori cinematografici hanno voluto esprimere il loro punto di vista su questo evento così inquietante.

Inizio questa breve esposizione da uno dei più antichi scritti della cultura sumera, l’Epopea di Gilgames, in cui si narra della ricerca d’immortalità da parte dell’eroe, che, in questo caso, finisce miseramente con la morte improvvisa del suo inseparabile amico Enkidu, e getta Gilgames in una profonda crisi perché lo costringe a confrontarsi con la propria mortalità. Anche Heidegger rileva che l’esperibilità della morte avviene attraverso quella degli altri: “Il passaggio al non Esser-ci-più sottrae all’Esserci la possibilità di esperire questo passaggio e di concepirlo come esperibile. Un’esperienza siffatta è impossibile per ogni Esserci nei confronti di se stesso. Tanto più importante è perciò la morte degli altri. Essa ci fa vedere oggettivamente la fine dell’Esserci.”

La maggior parte degli esseri umani non può concepire la morte senza considerare quella dei propri cari, e non può pensare alla morte delle persone amate senza riflettere sulla propria. Il problema più angosciante non è la nostra fine, ma quella degli altri. Tutti noi arriviamo alla coscienza della possibilità di morire partecipando alla morte di una persona con cui abbiamo avuto un legame affettivo.

Ogni morte prelude comunque, per chi sopravvive, a un cambiamento, prima psicologico, e poi anche concreto nel suo modo di rapportarsi con la nuova vita senza la persona amata. Al principio è coinvolto affettivamente dal ricordo del proprio congiunto e si concentra sull’accaduto, ma dopo qualche tempo, se non ne rimane travolto, è pronto per ricominciare, ed è proprio la morte dell’altro a ridargli una nuova vita. Mi ricordo di un sogno che ho già riportato in un mio precedente articolo : un’auto è immobile su una strada lunga e diritta, dietro alla macchina è legata una roulotte e dietro a questa è legato un cadavere, ogni cosa è statica, il tempo si è fermato. Questa immobilità è foriera di mutamenti, la macchina deve ripartire invitata dalla strada, la roulotte deve diventare una casa, il cadavere rappresenta la staticità, la morte, ma è anche simbolo di trasformazione e del cambiamento che deve realizzare chi continua a vivere. Chi è stato legato a una persona deceduta si modifica, diventa un altro uomo cui è stata tolta una parte di sé che rimane nel defunto.

Abstract

La morte è stata uno dei punti focali della ricerca umana e chi si è occupato di questo argomento lo ha fatto con una prospettiva peculiare. Ogni uomo arriva alla coscienza della propria caducità attraverso la morte di una persona cara, e questa fine prelude a un cambiamento in chi sopravvive. Anche psicologicamente per cambiare bisogna lasciarsi alle spalle un vecchio modo di essere che ci condiziona. Tutte le opere dell’uomo sono state un tentativo di rimuovere la presenza della morte dalla vita. Al contrario delle persone amate il rapporto con persone sconosciute che stanno morendo tende a rimuovere il pensiero della nostra fine. Mentre alcuni sono confortati da religioni e filosofie, per altri l’idea della propria morte risulta inaccettabile.

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Giorgio Mosconi