Per una psicologia della crisi globale – Come l’assetto economico modifica le identità e le regole del setting

in Giornale Storico del Centro Studi di Psicologia e Letteratura, 16, Giovanni Fioriti Editore, Roma, 2013

I LA CATASTROFE

La crisi che dal 2008 ad oggi ha coinvolto gran parte dei paesi ‘ad economia di mercato’ viene definita come una perdita globale di fiducia nel sistema. Una catastrofe, secondo il significato etimologico della parola greca. Kata-strefo, cioè mi volgo verso il ritorno, definisce nella trama della tragedia l’episodio luttuoso in cui il protagonista scopre che la sua felicità è stata solo un’illusione. Ogni catastrofe prelude dunque alla necessità di una ‘conversione’.

Nella catastrofe globale si è capito che niente è ‘too big to fail’ . Niente è eccessivamente grande per non fallire. Anzi più estesa è l’istituzione, minori sono le sue garanzie per il cittadino.

Ma che cosa è realmente fallito? Il concetto stesso di ‘globale’? Oppure no? Oppure, come dicono alcuni , è solo la ‘prima’ globalizzazione ad aver fallito, quella dell’onnipotenza dei mercati finanziari? E che cosa deve essere ‘convertito’?

Non si può negarlo. I due pilastri del mondo interconnesso sono inamovibili. E cioè: le ‘tecnologie della velocità’ e la ‘fine della geografia’. In sintesi: il varo di una terza dimensione, chiamata cyberspazio, il Web, in cui il tempo per coprire le distanze si va restringendo alla ‘misura zero’ dell’istante. ‘Con l’interazione fra i terminali dei computer e i video, la distinzione fra ‘qui’ e ‘là’ non significa più nulla ’

La mobilità delle informazioni è diventata un valore distintivo, il segno di appartenenza ad un circuito planetario perennemente in contatto.

E allora su che cosa si è abbattuta la catastrofe? Sulle economie, è stato concordemente risposto. Le economie degli Stati-sovrani e soprattutto le economie reali, della gente. In Eurolandia tutto è cominciato da quando nella terra di Omero si è scoperto che il ‘debito sovrano’ era stato taroccato dagli stessi governi. E poi falsamente certificato dagli organi ufficiali di controllo. A pubblico ludibrio, le nazioni meno virtuose (oltre alla Grecia, anche Portogallo, Irlanda e Spagna) sono state accorpate con l’acronimo infamante di PIGS, maialini. Fra di esse – con la semplice aggiunta di una doppia ‘I’– è stata malevolmente annoverata l’Italia.

Abbiamo imparato ad avere confidenza con termini come lo ‘spread ’. E non ci stupiamo che si giudichi il benessere di una nazione dalla aderenza a parametri ‘di mercato’. I parametri dei Trattati con cui -da Maastricht (1992) in poi- l’Unione Europea ha voluto vincolare i bilanci degli stati aderenti.

Anche a causa del debito pubblico, il rating del nostro paese ha raggiunto livelli di progressiva insufficienza (BBB+). Mai prima d’ora Standard&Poor’s aveva posto la credibilità della nostra nazione sullo stesso piano del Perù e del Kazakhstan. E non è una questione di voti ma di qualità della vita ordinaria. La conseguenza è che la disoccupazione nell’UE è più del 10%. Quella giovanile, in Italia, superiore al 30% .

Tutto sembra essere fermo, in attesa di soluzioni che non arrivano.

Ma in che modo la psicologia può rispondere alla esigenza di ‘concretezza’ dettata dalle conseguenze socio-economiche della crisi? In che modo la scienza della psiche può intervenire senza rischiare di apparire stereotipata o fuori tempo? Se ogni epoca ha la psicologia che si merita, quale modifica sarà necessaria alla psicologia del post-crisi? In funzione di quale individuo e di quali rinnovate richieste? Insomma: che connotati e che ruolo assumerà la psicologia all’indomani del fallimento della prima globalizzazione?

Nel presente contributo si cerca di dare risposta a tali interrogativi, in due sezioni. La prima è la catastrofe, relativa alla analisi – da un vertice psicologico – dei fondamentali della crisi. In particolare ci soffermeremo sulle qualità ‘volatili’ del ‘soggetto subprime’. Neologismo con il quale intendiamo l’organizzazione di personalità tipica del periodo prima della catastrofe. La seconda parte sarà dedicata al ritorno, il nostos. In essa si cercheranno di individuare le nuove coordinate identitarie del post-crisi. Ci soffermeremo su due costrutti: quello della resilienza e del localismo. Due attributi psicologici recenti ma ‘tradizionali’, relativi alla tenacia di fronte alle avversità e alla sintonia con il proprio habitat fisico e affettivo.

In seguito –in base anche alle personali esperienze cliniche – si ipotizzano le modifiche che i cambiamenti globali potrebbero apportare alle regole del setting. A motivo delle ridotte disponibilità economiche e del carattere più ‘focalizzato’ dell’individuo post-crisi si postula uno sviluppo delle psicoterapie brevi. Fra di esse maggior credito verrà qui dato alla psicoterapia dinamica integrata, di breve durata.

Abstract

La crisi che dal 2008 ad oggi ha coinvolto gran parte dei paesi ad ‘economia di mercato’ viene definita come una crisi di fiducia nel sistema. Nella crisi globale ciò che è in default è proprio la dimensione della globalità. Niente è too big to fail. Anzi, maggiore è l’ampiezza dell’istituzione – assicurazione, banca o Stato – minori sono le sue garanzie. L’individuo pre-crisi è un soggetto sub-prime, volatile, ad alto rischio d’insolvenza, che compra la sua dimora senza credenziali, né fatica, né attaccamento. Simbolicamente: è un perenne occupante. Secondo la tesi di questo contributo l’individuo post-crisi sarà prudentemente ‘ergonomico’, cioè le sue esigenze si dimostreranno più ‘incarnate’e stanziali. Con il rischio di diventare talvolta autarchiche. Il presente contributo cerca di favorire una riflessione per lo statuto di una psicologia della crisi globale. Il lavoro si divide in due sezioni. Nella prima si propongono i bilanciamenti – resilienza e localismo – che la crisi sembra richiedere alla personalità di coloro che ne vivono il tempo. Nella seconda sezione si individua nelle psicoterapie brevi una possibile modifica del setting in funzione delle mutate disponibilità economiche e di identità.

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Antonio Dorella