Intervista con Ezra Pound, Roma, Minimum Fax, 1997
Se un grande poeta parla di tecnica, allora uno psicoterapeuta deve ascoltare. Se si parla di tecnica, si parla anche di tecnica analitica. Ogni téchne riguarda lo psicologo del profondo.
Nel corso di questa intervista rilasciata dal poeta dei “Cantos” a Donald Hall nel 1962 si fa anche questione di tecnica, ovviamente. La tecnica, dice Pound, è la prova della sincerità.
L’affermazione fa da pendant a quella riguardante l’impiego del verso libero. L’intervistatore chiede a Pound se ritiene che il free verse sia una forma tipicamente americana. Così la pensa William Carlos Williams, aggiunge per avvalorare l’assunto.
Così sembrerebbe, aggiungiamo noi, se volgiamo la nostra attenzione a “Foglie d’erba” di Walt Whitman, col quale Pound non casualmente, dopo anni di avversione, ha dichiarato in una sua poesia di voler stringere un patto. (Ma possiamo forse dimenticare che su suolo europeo hanno operato, ad esempio, Blake e Rimbaud? Perché altrimenti avrebbe quest’ultimo definito meschina l’alessandrina forma delle poesie di Baudelaire?).
Pound, per tutta risposta, cita una frase di Eliot al quale aveva risistemato la “Waste Land” e dal quale si era visto conseguentemente apostrofare come il miglior fabbro. La frase di Eliot è categorica. Non esistono versi che siano veramente liberi per chi voglia fare un buon lavoro. Il che mi fa pensare a una frase pronunciata da Jung in occasione del suo seminario sull’analisi dei sogni.
Per interpretare i sogni, disse lo psicologo svizzero nell’occasione, e nella lingua di Pound, occorre un metodo serio. Ci sarebbe da domandare, dopo le rivisitazioni haroldbloomiane dei concetti psicoanalitici, quale sia il corrispettivo analitico del free verse.
Ma è ancora un altro il pensiero che mi suggeriscono le parole di Pound. Il poeta dice di aver iniziato a scrivere i “Cantos” nel 1904. In principio aveva in mente diversi schemi e il problema, ovviamente, era quello della forma, la forma di un poema epico del novecento che deve contenere la storia.
Nel 1962 l’opera non è ancora ultimata. All’intervistatore che gli chiede quali siano le intenzioni relative ai “Cantos” che restano Pound risponde che è difficile scrivere un paradiso quando è evidente che si dovrebbe piuttosto scrivere un’apocalisse. E di aver tentato di scrivere un paradiso terrestre Pound lo scrive proprio nei “Cantos”. E gli psicologi del profondo? Cos’è il paradiso per uno psicologo? Come costruisce il paradiso lo psicologo? Non potremmo pensare ad esempio alla situazione reimmaginata da Milton nel “Paradiso Perduto”, Adamo ed Eva che lasciano l’Eden mano nella mano per andare nella solitudine, come l’archetipo della relazione analitica?