Il sogno di Dioniso. Psiche, Cura, Numinoso

in Giornale Storico del Centro Studi di Psicologia e Letteratura, 15, Giovanni Fioriti Editore, Roma, 2012 – Estratto

Dioniso non è solo il “signore dell’isteria”, ma anche colui che è al confine, che divide; straniero che parte da lontano e gira per il mondo a testimonianza dell’anelito dell’inconscio alla ricerca incessante della conoscenza che mette al proprio centro il corpo. Un corpo smembrato, dilaniato, diviso, sparpagliato, fatto a pezzi. Con Dioniso viene gettato il confine, nella tragedia del dolore umano, tra l’aspetto titanico e quello umano, ricordando ciò che Jung espresse con parole memorabili nel suo lavoro su Aion: “Il potere divino imprigionato nei corpi non è altro che Dioniso disperso nella materia … Dioniso, giovinezza degli dei … rinnovamento del Dio”. Le immagini violente, pertanto, acquistano un nuovo punto di vista, una nuova visione che supera la dinamica degli opposti e si addentra direttamente nel cuore dell’ignoto dell’inconscio personale e collettivo, valorizzando il numinoso nel suo epifenomeno al di là di un modello di integrazione e di comprensione razionale. È possibile allora cogliere la presenza di Dioniso negli aspetti ciclotimici, slegandoli dai legami solo con l’isteria, ma riconoscendo il divino nella scissione tra immaginazione e azione, nella depressione, nella maniacalità, negli scatti di collera esplosiva, nella tristezza euforica di una circolarità folle che produce oscillazioni senza trasformazioni. Si assiste a ripetizioni sintomatologiche che non lasciano rinnovamento, ma un senso vano di sacrificio e inutilità. Ciclotimia è malattia del sangue, ciclo del thymós: l’anima sanguigna è totalità corporea e psichica. Il thymós è un mescolamento di vitalità, rappresentata dal sangue, e di psiche, rappresentata dal respiro. In tale visione immaginale il thymós non ha a che fare con il rispecchiamento o con la riflessione, metafora di una visione romantica della follia, ma è una messa in scena dell’Anima: il thymós è vissuto come passione in connessione con il rito. Legare la ciclotimia a Dioniso significa ritenerla una malattia dell’andare e venire di vitalità, emozione e passione, accompagnato dall’incapacità della psiche di rappresentarsi nel mondo dell’azione, che risulta invalida e inferma. È nell’azione violenta priva di bellezza che la fantasia si unisce all’azione, l’immaginazione folle con l’azione disordinata, come era avvenuto nel sogno del giovane paziente. Ritroviamo mirabilmente questo tema sul piano del collettivo, per esempio, nelle Baccanti di Euripide che si concludono in modo tragico, perché viste con gli occhi di Penteo, dalla parte di Penteo e non da quella di Dioniso. Prima di venire ucciso, Penteo indossa abiti femminili e diventa bisessuale come Dioniso. Penteo a un passo dalla morte vede doppio ma proprio questo è il suo grande limite: relegare Dioniso e l’immaginazione ai margini, scissa dall’azione incapace di bagnarsi con l’energia vitale di Zoe e dell’infinito.

“Ogni cosa deve essere riportata alla luce”, dice Jung; non bisognerebbe relegare il culto di Dioniso ai suoi aspetti titanici, come avviene nella nostra società, seppellendolo in un abisso di dissoluzione spassionata dove tutte le differenze umane sono annullate nel nome della civiltà. Dioniso è il “signore dei misteri” e il mistero del giovane paziente è quello che lo porta a spostare lo sguardo verso l’alto, verso la presenza dell’Anima che sa dialogare, attendere, riflettere, fermarsi in silenzio e sedersi sulle scale prendendosi del tempo, il tempo del Femminile. Il tempo dell’Anima, che nel sogno inizia il paziente all’ascolto, esce fuori scena pur restando nella scena; resta a consolare ciò che è rimasto giovanile, vivificandolo con le parole del sentimento e non con l’azione del terrore, quella stessa azione a cui lei stessa aveva partecipato. L’Anima mette un limite, spinge il paziente a guardare in alto piuttosto che a rimanere sotto, perché sopra c’è qualcosa che è ancora vivo e che lei ha deciso di risparmiare, accogliere … perché l’Anima non è l’Io e quando l’Anima appare, è impossibile sapere cosa sta per accadere .

Abstract

L’autore mette in evidenza il ruolo e la funzione della dimensione archetipica in relazione al mito di Dioniso e ai gravi disturbi della sfera psichica, prendendo spunto dal lavoro di Jung e Hillman. Guardare gli eventi psicopatologici anche in una dimensione archetipica ed immaginale restituisce pregnanza scientifica ed empirica alla concezione del luminoso, così fortemente presente in alcune patologie gravi. In tale visione, il dolore e la sofferenza non possono essere solo rinviati ad una dimensione relazionale e genitoriale. Il mito di Dioniso rappresenta in tale lavoro il fulcro a cui fare riferimento, con l’attenzione verso la dimensione onirica, intesa come possibilità progettuale a disposizione del terapeuta per esplorare il mondo dell’inconscio personale e collettivo.

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Ferdinando Testa