Il mare di Ferenczi. La storia, il pensiero, la tecnica di un maestro della psicoanalisi, Roma, Di Renzo Editore, 1997 – Estratto
Una summa ferencziana che non ha eguali nel panorama psicologico contemporaneo. In appendice al testo compaiono un lessico ferencziano (il primo del genere a essere pubblicato) e una bibliografia ragionata.
L’inconscio si sente, per dirla con Alexander, come se fosse a casa sua in corrispondenza del venir meno dell’atteggiamento critico superegoico, atteggiamento che Ferenczi si ripropone di eliminare col discendere al livello dell’inconscio stesso, il che avviene, ad esempio, nella giocoanalisi.
Ora, l’atmosfera di libertà che si viene a creare nel setting analitico di Ferenczi è un’atmosfera che gode dell’illusione “senza tempo”. E l’illusione, come si sa, corrisponde all’entrare in un gioco. Essa imita il “senza tempo” dell’inconscio e, per ciò stesso, lo attrae nel setting analitico così costituito, lo produce nel senso letterale del termine, lo porta fuori, allo scoperto.
Dimensione, questa, dell’eternità che Ferenczi riprende, come vedremo, anche là dove si tratta di fare il punto sul termine dell’analisi. E dimensione che si lascia più d’ogni altra assimilare a quella della seduzione materna, ovvero dell’amore tout court. Per Ferenczi sembra proprio che l’amore abbia la capacità di sedurre l’inconscio.
Una libera associazione praticata alla lettera, del resto, comporta necessariamente, secondo l’esperienza maturata da Ferenczi, il prodursi di stati di estasi, talvolta profonda, di Entrückung, termine nel quale il prefisso “ent” misura la presa di distanza dalla coscienza, la sua sospensione, stati che Ferenczi sarebbe portato a chiamare “autoipnosi”, per via dei comportamenti allucinatori cui danno luogo, e che i suoi pazienti preferiscono chiamare di trance.
E la trance, come la concepisce, la osserva e la pratica Ferenczi, equivale a un’immersione in presenza di un’altra persona, è uno stato di sonno durante il quale permane la possibilità di comunicare con l’analista, una “conversazione in stato di semi-veglia”.
Ciò si rende possibile solo a condizione d’una incondizionata fiducia nell’analista, dal momento che il “tempo dell’immersione”, come lo chiama Ferenczi, è perfettamente assimilabile a una, per impiegare ancora terminologia ferencziana, “morte parziale” mentre il paziente è una persona abbandonata da tutti gli dèi, un corpo abbandonato dallo spirito.
Con la neocatarsi Ferenczi spinge ai limiti estremi, psicoanaliticamente parlando, e direi fino al paradosso la pratica della libertà associativa. Pratica la cui “oltranza” Ferenczi è il primo, mi sembra, a pensare così a fondo, anche ridefinendo in positivo la condizione di impasse cui essa era costretta dal preteso esercizio di libertà dei pazienti ossessivi. La libertà, portata al luogo della sua oltranza, pensa Ferenczi, è dunque estasi, rapimento, quasi morte.
Il prodursi di stati di trance (paragonabili agli stati ipnoidi di Breuer) pone il paziente in condizione di debolezza (ingenerando una temporanea e generalizzata mancanza di difese) e di massima influenzabilità. Non è un caso che Ferenczi ne parli ne “Le analisi infantili sugli adulti”.
La massima influenzabilità fa del paziente adulto, privo di difese e non disposto a resistere, un bambino e un bambino esposto all’arbitrio dell’analista. C’è una parte di noi che resta comunque ipnotizzabile, dal momento che la ferita del bambino (il trauma) è qualcosa che comunque l’uomo porta sempre dentro sé. In situazioni analoghe (le situazioni traumatogene dell’infanzia) lo stesso bambino soggiaceva, come scrive Ferenczi, “completamente al potere del male”.
Potrebbe l’analista, secondo il neologismo impiegato da Ferenczi e della cui protestata scarsa eleganza egli si scusa, “insuggerire”, ovvero “imporre l’ipnosi dall’esterno all’interno”. L’analista deve al contrario “essuggerire”, ovvero “favorire gli sbocchi dell’ipnosi dall’interno all’esterno”. Si tratta in altri termini di accompagnare il processo che si è prodotto nel setting analitico.
Ora, nella neocatarsi non si tratta soltanto di eruzioni spontanee (assimilabili ad altrettante esplosioni isteriche spontanee), ovvero di quello che il paziente offre spontaneamente all’analista in fatto di entrata nello stato di trance, o anche, come la chiama Ferenczi, di “spontanes Versinken in Trance”, caduta spontanea in trance. La trance, insomma, avviene, semplicemente. L’analista deve essere pronto ad accogliere il suo farsi evento.
Nel momento in cui il paziente, profondamente rilassato, entra o cade in trance, sta semplicemente indicando all’analista il punto da dove iniziare l’ulteriore indagine. Per l’analista si tratterà allora di insistere presso il paziente per ottenere da lui più informazioni, non attraverso quella che Ferenczi chiama “Inhalt-Suggestion”, “suggestione di contenuto” (che corrisponde alla classica forma di suggestione), ma attraverso la cosiddetta “Courage-Suggestion”, “suggestione di coraggio”, una suggestione formale, aspecifica, non legata a questo o quel contenuto e che prende la forma di un incoraggiamento del paziente a pensare fino in fondo “eventi psichici traumaticamente interrotti”.
Nell’essuggerire, dunque, come lo chiama Ferenczi, l’analista accoglie la trance spontanea del paziente e la approfondisce con un incoraggiamento aspecifico.
L’incoraggiamento aspecifico non è fine a se stesso, ma inteso a sostenere quello che Ferenczi chiama “Frage- und Antwortspiel”, “gioco delle domande e delle risposte”. E’ il caso ad esempio della paziente il cui particolare stato di eccitazione durante la trance viene ricondotto, attraverso le domande e le risposte, a una confusione delle lingue occorsa tra la paziente bambina e il padre, le cui promesse di tenerezza erano state ingenuamente accolte come tali. “Viene riprodotta una scena” scrive Ferenczi “nella quale il padre prende la bambina sulle ginocchia e ne abusa nel vero senso della parola”. Non è agevole stabilire cosa effettivamente intenda Ferenczi quando scrive “viene riproposta una scena” (il testo tedesco dice “eine Szene wird reproduziert”). .
Il gioco delle domande e delle risposte appare comunque finalizzato al reperimento d’un ancoraggio reale, dato che il trauma è reale, al recupero, insomma, d’un ricordo rimosso, d’un brano di realtà, d’un frammento di dolore e di Io-dolore. Solo la trance, d’altronde, può consentire l’accesso a quel frammento. L’alternativa è secondo Ferenczi costituita dal sonno profondo.
La trance per altri versi corrisponde appunto a un sonno in cui si può comunicare con chi dorme, o a un sogno in cui si può parlare col sognatore. “Reproduziert” mi sembra possa, intanto, significare la pratica di raccontare il seguito del trauma oltre l’interruzione cui la coscienza si è trovata fino ad allora costretta, come ipnotizzata, con tutte le conseguenze del caso.
Il termine “scena” mi sembra possa esser riferito alla cifra di drammaticità col quale il recupero del ricordo avviene. E quando dico “drammaticità” mi riferisco a una possibile ripartizione dei ruoli che a un certo punto s’impone nel setting analitico. E’ appunto di questo che si tratta nella giocoanalisi. L’analista gioca insieme al paziente. Il gioco diventa il protagonista della relazione e la relazione, potremmo dire, s’assimila a gioco. Il caso addotto da Ferenczi del paziente che lo identificava con suo nonno, più volte citato nella letteratura psicoanalitica, è emblematico a riguardo, una sorta di mito psicoanalitico. Ferenczi racconta come all’improvviso questo suo paziente gli passasse un braccio intorno al collo e gli mormorasse all’orecchio: “Senti, nonno, ho paura che mi nasca un bambino”. Al che Ferenczi, invece di parlargli del transfert e simili, gli domandò anch’egli bisbigliando: “Beh, che cosa te lo fa pensare?”.
Se a questo punto ci si vuole interrogare sulla funzione dell’analista al cospetto della sopravvenuta estasi del paziente, si scoprirà come Ferenczi faccia più volte riferimento a una sua metafora guida, la metafora del ponte: “l’unico ponte tra il mondo reale e il paziente in stato di trance è la persona dell’analista il qualee, invece che a una semplice ripetizione gestuale ed emotiva, nel mezzo dell’emozione spinge il paziente a un lavoro intellettuale, sollecitandolo instancabilmente con le sue domande”.
E’ vero che la relazione s’assimila a gioco, ma per tutto il tempo di questa assimilazione (che è un modo dell’amore) l’analista rimane ponte tra il gioco e la possibilità di analizzare cosa sta avvenendo. Da una parte, dunque, l’analista è dentro la scena prodottasi in seguito alla trance, il che comporta l’assunzione d’un determinato ruolo, la capacità di giocare col paziente e, soprattutto, la capacità di giocare col bambino nel paziente (capacità che si concretizza ad esempio nella formulazione di domande che il bambino è in grado di comprendere, pena l’interruzione del gioco), dall’altra egli guarda il gioco dipanarsi e lo sottopone ad analisi.
Tale doppia funzionabilità dell’analista (duplicità ben resa dalla metafora del ponte) è resa necessaria dal fatto che l’immersione catartica nel vissuto implica una sofferenza non sostenuta da una comprensione. Il paziente soffre, ripete il trauma, lo porta allo scoperto del setting, lo manifesta, ma non lo comprende. Al momento del risveglio dalla trance, scrive Ferenczi, “scompare l’evidenza immediata”.
Si tratta qui, a ben vedere della stessa situazione cui consente di approdare la funzione traumatolitica del sogno, la quale si traduce ad esempio nel tentativo operato dalla personalità frammentata di riunire parti di sé. Ora, la personalità riesce soltanto a conseguire un livello ostensivo e non uno riflessivo. In altri termini: “invece di comprendersi … può mettere in evidenza solo in modo indiretto e simbolico i contenuti che la riguardano e di cui lei è inconsapevole”.
Si tratta allora di far rivivere i processi legati agli oggetti, ma spogliati del loro sentimento soggettivo e, insomma, di far traslare l’uso del trauma nella ripetizione dall’evento vissuto al ricordo. Ciò comporta, ovviamente, una ripetizione della ripetizione, e il riproporsi della sofferenza. L’analista, essendo ponte, partecipa a un capo di esso alla sofferenza, ma dall’altro non deve lasciarsene impressionare. Sarebbe un errore procedere alla sua precoce interruzione.
L’analista come ponte, come medium, non può accontentarsi, dunque, di assistere alla ripetizione traumatica da parte del paziente, non può fermarsi al vissuto, all’Erlebnis che vede dispiegarsi davanti a sé. Egli pone domande tese a “ottenere importanti ragguagli su parti della personalità che avevano subito un processo di scissione”. Si potrebbe dire che il ponte s’assimili a quel “tatto” cui Ferenczi fa più volte riferimento e sul quale ha intrattenuto una polemica con Freud.
Ferenczi ricorda come sia stata una sua paziente, O.S., a proporre di stimolare, durante la trance, “l’attività del pensiero con domande molto semplici”. Porre domande semplici è questione di tatto. Ferenczi è preoccupato di configurare una possibile gestione della trance in cui è entrato il paziente. La trance, scrive, va trattata con il massimo tatto e la massima economia e adattamento possibili, là dove per “economia” egli fa riferimento all’oscillazione tra silenzio e interpretazione. “La massima economia nell’interpretazione” scrive Ferenczi “è una regola importante”.
A questo proposito va rilevato che sull’importanza conferita da Ferenczi al vissuto di ripetizione del trauma si sono ingenerati equivoci tali da far ritenere che la sua attività analitica si esaurisse nell’attuazione di tale pratica. In Ferenczi, come abbiamo visto, il ripetere non è assolutamente privilegiato rispetto al ricordare, ma ambedue, ripetere e ricordare, costituiscono presupposti irrinunciabili d’ogni valido trattamento psicoanalitico.