in Giornale Storico del Centro Studi di Psicologia e Letteratura, 15, Giovanni Fioriti Editore, Roma, 2012 – Estratto
‘Nomadi dello junghismo’, Trevi ed Hillman – quasi coetanei – hanno offerto il loro speciale contributo di interpretazione all’opera del maestro. Ma l’hanno retrocessa da subito in secondo piano rispetto ai contenuti delle loro argomentazioni. Il revisionismo dei due riformatori è stato ricco di citazioni junghiane quanto di ‘distorsioni’. Così come esplicitamente ammesso dallo psicoanalista americano, il quale in una intervista rivela che ‘si fa il proprio lavoro al meglio quando si prende qualcosa che ha già una sua precisa collocazione e la si distorce fino a darle un’inclinazione personale .’
Hillman e Trevi sono i talentuosi figli di un dio minore. Di un dio che ha perso autorevolezza; più brandito e ostentato che rispettato. Di un dio che ha scolorito la propria identità per acquistarne molte altre. Una in ciascuno di coloro che formalmente si richiamano alla sua opera. In definitiva l’appello a Jung è diventato un lasciapassare al portatore. Si è trasformato nella tecnica espositiva di un discorso psicologico ormai totalmente svincolato dalle sue premesse. Manipolativo, ma non per questo meno dotto, provocatorio e stimolante. E talvolta anche convincente!
Trevi e Hillman non sono più interessati al ‘vero’ Jung. Lo junghismo -si potrebbe dire- è diventato un genere letterario del tipo ‘lui ha scritto … io invece vi dimostro che …’; uno stile di dialogo socratico alla rovescia, in cui è il maestro ad essere ‘ripreso ’. Lo junghismo in definitiva si è trasformato in una splendida scatola ‘di marca’, vuota, in cui racchiudere e trasportare i propri personali gioielli.
L’attività di Hillman è divisibile in tre periodi. Quello clinico, quello archetipale e quello della finestra. Potrebbero essere chiamati da un punto di vista logistico come il momento europeo, il momento americano e quello, un po’ più velleitario, di cittadino del mondo. Il primo periodo comincia dopo la partecipazione alla Seconda Guerra Mondiale, dopo gli studi alla Sorbona e a Dublino e dopo un viaggio in India. Dal ’59 al ’69 Hillman copre la carica di Director of Studies presso l’Istituto di Zurigo. Diventa il Sultano alla Mecca dello junghismo.
Nella seconda fase – quella archetipale – Hillman lascia il vecchio continente e si trasferisce in America. Suolo su cui sente che è più necessaria la sua attività. Elabora una nuova religione della psiche. Ognuno scopra il proprio dio e il proprio mito: le patologie non vanno guarite ma ‘sguinzagliate’, perché ogni ‘elaborazione è spesso una repressione mascherata ’.
‘Il ritorno alla Grecia non è né storico, nel passato, né immaginario, ad una utopica Età dell’Oro che fu o può ancora ritornare. La Grecia al contrario ci offre una possibilità per correggere le nostre anime e la psicologia per mezzo di luoghi e persone immaginali ’. Perché ‘in terapia il problema non è come sono diventato così, ma cosa vuole da me il mio angelo ’.
Con un ‘atto di storicismo ardito’ Hillman poi collega il politeismo greco al neoplatonismo degli autori del Rinascimento Italiano, perché quel dispositivo gli ‘sembra più idoneo a rappresentare la ricchezza e la varietà delle passioni umane, impoverite dalla sobria monarchia del monoteismo’ .
Divulga quindi la sua visione deomorfa della psiche attraverso tre canali: a partire dal 1970 assume la direzione della casa editrice Spring Publications. La quale verrà trasferita da Zurigo a Dallas (Texas). Si dedica alla pubblicazione di best-sellers a diffusione planetaria: Saggio su Pan (1972), Il mito dell’analisi (1972), Il sogno e il mondo infero (1979), Il nuovo politeismo: la rinascita degli dei e delle dee (1981), Animali del sogno (1982), Le storie che curano: Freud, Jung, Adler (1983), Anima: anatomia di una nozione personificata (1985), La vaga fuga degli dei (1986). E infine suggella la fondazione della nuova corrente junghiana con l’avvio del Dallas Institute of Humanities and Culture, poco prima del proprio trasferimento a Thompson nel Connecticut.
Il terzo periodo della vita di Hillman inizia nel 1996 e termina con la sua morte nel 2011. Hillman lo ha definito come il passaggio ‘dal setting alla finestra’; dalle idee per la terapia alla terapia delle idee. ‘Non potrebbe essere che la psicologia, il lavorare su di sé, faccia parte della malattia e non della cura?’ Il quesito è contenuto in ‘Cento anni di psicoterapia e il mondo va sempre peggio ’, il libro che prepara la cesura con l’attività di analista.
‘Il terapeuta modella’ – volente o nolente – ‘lo scopo della terapia’ mentre ‘il mio scopo è l’eccentricità, che deriva dal concetto junghiano di individuazione. Dice Jung:’ Si diventa quello che si è ’. E l’attuale società lo impedisce. Ecco il cruccio di Hillman. Le organizzazioni economico-sociali dell’Occidente, compresa la religione, la politica e la psicoanalisi, collaborano a soffocare nell’individuo le esigenze dei suoi miti. Per questo l’analista deve alzarsi dalla sedia del suo studio e convertirsi in una cellula rivoluzionaria in nome della bellezza.
Dove ‘per rivoluzione io intendo rovesciare quel sistema che ci ha portato in analisi ’.
Abstract
“La vita mi ha sempre fatto pensare ad una pianta che vive del suo rizoma: la sua vera vita è invisibile, nascosta nel rizoma” dice Jung nei suoi ultimi giorni. La tesi del nostro contributo è che quel che resta dello junghismo si situi unicamente in questo snodo: nello spazio che ogni analista lascia per il germoglio delle risposte relative agli interrogativi ‘radicali’. Privatamente e nel setting. La recente scomparsa lo scorso anno dei due grandi maestri della scuola junghiana, nazionale ed internazionale, Mario Trevi (1924-2011) e James Hillman (1926-2011), sembra confermare questo passaggio. Trevi e Hillman sono agli antipodi. Assomigliano agli opposti inconciliabili di una sizigia. Logos vs eros, Io vs inconscio collettivo, idiocultura vs mitologia. Senex vs puer. Il loro pensiero psicoanalitico è stato etichettato come discorso ‘sulla psiche’, nel caso di Trevi, e discorso ‘della psiche’, riguardo ad Hillman. Più semplicemente Trevi e Hillman hanno promosso la stagione fenomenologica e la stagione archetipica dell’attuale junghismo, oltre alle due già esistenti: quella ortodossa e quella relazionale. La corrente fenomenologica è critica ed ermeneutica, cioè fondata sulle risorse della coscienza, della cultura e del linguaggio; la corrente archetipica è mitologica, estetica ed immaginale, cioè affascinata dalla onnipresenza degli dei. Dopo di loro è apparso chiaro che il riferimento a Jung è solo un pretesto per esprimere la propria legittima ma personalissima visione del mondo. Un esercizio di stile con un unico punto in comune: la connotazione ineffabile della psiche. Il rizoma, appunto, variamente inteso.