Rank, Freud e la madre cattiva

Adattato da Giorgio Antonelli, Al di là della psicoanalisi. Otto Rank, Lithos, Roma, 2008

È in virtù del suo viaggiare che Rank ha potuto fare il formidabile incontro con la formidabile Anaïs Nin, la quale andò a trovarlo, dopo averlo letto, discusso e variamente fantasticato, al suo indirizzo parigino di Boulevard Suchet il 7 novembre 1933. A ridosso di quello che Anaïs Nin ha potuto, in piena legittimità, chiamare «incantesimo psicoanalitico», vanno registrate, in tema di liberazione, le parole che ebbe a dirle una volta Rank: «In precedenza mi sono negato la vita, o mi è stata negata – dapprima dai miei genitori, poi da Freud, poi da mia moglie». Parole che forse avrebbe potuto pronunciare anche Ferenczi, ma senza il conforto d’una sia pure tardiva liberazione. E se, in fin dei conti, Rank ha potuto avere, per un fecondo, punto di tempo, la sua Anaïs Nin, Ferenczi non è stato in grado di affermare il proprio desiderio nei confronti di Elma Pàlos, sposandone la madre su dettato di Freud, obbedendo al desiderio di Freud e cedendo, dunque, sul proprio. Anche in questo rimanendo figlio. Figlio di sua moglie e figlio di Freud.

Freud il padre, il sessualmente confinato, l’agorafobo, non sopporta che i figli abbandonino l’Europa. Accetta, certo, che si muovano quando è anche lui a muoversi, come in occasione del «pestifero» viaggio negli Stati Uniti con Jung e Ferenczi. Non sopporta, però, che Rank se ne vada per conto suo negli Stati Uniti e non manca di stigmatizzare questa sua propensione americana a più riprese. Rank gli appare come un commesso viaggiatore, uno che, abbreviando i tempi dell’analisi, vuole fare soldi velocemente. Non ammette insomma, Freud, che Rank diventi potente. Non sopporta, Freud, le separazioni, laddove Rank ritiene che la vita sia una sequela di separazioni.

Perché Freud non sopporta che Rank abbandoni Vienna? Perché Vienna è la madre. Di Rank che si è stabilito all’estero Freud dirà, a suo modo conseguentemente, che occorre seppellirlo. Non si abbandona impunemente la madre. O, meglio, la si può abbandonare quando muore. Ai funerali della madre, morta nel 1930, Freud, in effetti, non è presente. In una lettera inviata a Jones il 15 settembre di quell’anno, nel descrivere le proprie reazioni alla morte della madre, Freud scrive di aver sentito «un aumento di libertà personale». L’affermazione può essere letta alla luce di quanto Rank aveva detto su Freud in una delle sue conferenze americane tenute nell’autunno del 1926. Die schlechte Mutter hat er nie gesehen, Freud non ha mai visto la madre cattiva. Per Rank, in effetti, è dalle parti di quella madre cattiva che si origina il Super-Io ed è, concordemente, preedipica l’origine del complesso di castrazione. Non senza motivo, dunque si sarebbe in seguito lamentato del fatto che Melanie Klein non lo aveva mai menzionato a riguardo.

Analogamente nessuno dei colleghi di Freud ha mai preso in esame le relazioni di Freud con la madre. Nessuno a eccezione di Ferenczi. Il quale, nel suo Diario Clinico, cerca di trovare una risposta traumatica al perché Freud abbia abbandonato la sua iniziale teoria della seduzione infantile sostituendola con il complesso d’Edipo. Perché, in altri termini, Freud è così androfilicamente incline a sacrificare le sue pazienti in favore dei suoi pazienti? L’ipotesi formulata da Ferenczi è che Freud abbia sempre nutrito nei confronti della sessualità spontanea della donna una ripugnanza personale e abbia concordemente idealizzato la madre. Secondo lo psicoanalista ungherese Freud indietreggerebbe «di fronte all’impegno di avere una madre sessualmente esigente e di doverla soddisfare». Si potrebbe tuttavia pensare che, appunto nel suo confinarsi sessualmente, nella sua ritrosa relazione col viaggio, Freud l’abbia soddisfatta.

Dal canto suo, e in modi che armonizzano ampiamente con le ipotesi di Ferenczi, Rank sostiene che la paura del padre funge da maschera della castrazione originaria, quella inferta dalla madre, la separazione. Il figlio proietterebbe sulla figura del padre, col risultato di averne paura, una potenza che ha altre origini, una potenza che è origine. Ferenczi su questo punto appare forse più evasivo. Nel suo Diario annota che Freud, al momento di formulare la sua teoria della castrazione, non ha voluto saperne del trauma della propria castrazione infantile. Questo per Ferenczi significa che Freud è il dio castrante, e cioè il solo che non deve essere analizzato. Per Rank significa ancora altro: non ha voluto vedere, Freud, la madre che castra, sua madre che lo castra.

Se non ha visto la madre che lo castra, Freud ha comunque visto, in tenera età, la madre nuda. A Fliess dà ad intendere che la visione ha avuto luogo in un’età compresa tra i due e i due anni e mezzo. Sappiamo in realtà che in quell’occasione Freud doveva avere quattro anni. Scrive dunque Freud che tra i due anni e i due anni e mezzo d’età si era risvegliata in lui «la libido verso matrem» e aggiunge: «l’occasione deve essere stata un viaggio che feci con lei da Lipsia a Vienna, durante il quale dormimmo assieme e in cui io ebbi certamente l’opportunità di vederla nudam». A parte possibili, interessanti considerazioni che la retrodatazione e l’attenuazione latina dei termini cruciali dell’evento (matrem nudam) pure imporrebbero (Freud a quarant’anni sente ancora il bisogno di difendersi dalla madre nuda), va qui sottolineato il fatto che la matrem nudam il futuro padre della psicoanalisi l’ha vista in occasione di un viaggio.

In relazione a quanto precede ci si deve chiedere a quale ipotesi o racconto possa condurre l’associazione viaggio-nudità. In un saggio del 1910, uno scritto che come il suo autore confessa a Ferenczi, non vale nulla, Freud sostiene la tesi secondo cui un’erotizzazione della funzione visiva induce nel soggetto isterico, per autopunizione, un disturbo funzionale degli organi visivi. Si tratta qui di una sorta di legge del taglione («poiché volevi abusare del tuo organo visivo per un cattivo piacere sensuale, ben ti sta e non vedi niente del tutto»), legge ben rappresentata nelle favole, nei miti, nelle leggende. È appunto una leggenda che Freud prende brevemente in esame per esemplificare il proprio assunto, la leggenda di Lady Godiva. Di tutti gli abitanti che, per facilitarne il compito di cavalcare nuda alla luce del giorno, sbarrano le finestre delle loro case per non vederla, soltanto uno la guarda ed è punito con la cecità.

Rank riassume la posizione freudiana sulla rimozione della scopofilia in un suo scritto del 1911 dedicato alla nudità e riporta la leggenda di Lady Godiva comparandola con gli analoghi miti di Tiresia, Edipo, Fenice, Orione, Erimanto etc.. La tesi, più che prevedibile, ma non per questo meno interessante nel contesto del nostro racconto, è che l’accecamento sta per la castrazione, e si tratta di un nesso che, come precisa in una nota Rank, è ancora vivo oggi nell’inconscio. L’associazione viaggio-nudità conduce per questa via, attraverso il nesso nudità-accecamento-castrazione, a quello che qui più c’interessa: il nesso viaggio-castrazione. Tale nesso riguarda sia l’atteggiamento di Freud nei confronti del proprio viaggiare, sia il suo modo di vivere il viaggiare dell’altro. In altri termini Freud deve aver vissuto i viaggi dell’altro, e cioè le separazioni dell’altro, come altrettante castrazioni di sé.

Anche a Freud, comunque, alla fine della sua vita, otto anni dopo la morte della madre, toccò in sorte di stabilirsi definitivamente, sia pure per un breve periodo, all’estero, in Inghilterra, non negli Stati Uniti. Se però è vero che il padre della psicoanalisi si stabilì a Londra, dopo aver preso la tormentata decisione di lasciare Vienna, ormai in mano ai nazisti, non è meno vero che in un certo senso, diciamo pure in un senso simbolico, Freud quel viaggio non lo ha mai fatto. Sappiamo che la partenza ebbe luogo, di sabato, il 4 giugno 1938, e tuttavia nella Chronik, il suo diario privato, Freud segnò come giorno di partenza sabato 3 giugno. Se il giorno sabato 3 giugno 1938, di fatto, non esiste, allora Freud, almeno il Freud raccontato dal proprio lapsus, a differenza di Rank, non è mai riuscito veramente a lasciare la madre Vienna.

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Giorgio Antonelli