Adattato da: Giorgio Antonelli, Il mare di Ferenczi. La storia, il pensiero, la vita di un maestro della psicoanalisi, Roma, Di Renzo Editore, 1996. Nuova edizione Alpes Italia, 2014.
Reich era il tipo di analista che non si sarebbe mai potuto definire “passivo”. Non casualmente era un grande estimatore di Ferenczi. Allo stesso modo dello psicoanalista ungherese, Reich contestava Abraham perché affermava che occorrevano anni per comprendere una depressione cronica. E lo contestava perché Abraham riteneva l’“analisi passiva” l’unica possibile. Ricordava come i suoi colleghi “passivi” scherzassero spesso sulla sonnolenza che li prendeva durante le ore di analisi, quando i pazienti non associavano per ore intere. Alcuni di loro erano persino giunti a teorizzare, con buona dose di ipocrisia, che l’atteggiamento da mantenere in questi casi, la tecnica perfetta, consisteva nel serbare un’identica cifra di silenzio. Reich aveva applicato la tecnica passiva, ma senza ottenere risultati tangibili. Forse anche i suoi colleghi non avevano ottenuto risultati con la loro passività, ma Reich lo riconosceva e pensò di cambiar tecnica. Più tardi avrebbe capito (o creduto di capire) che le affermazioni dei suoi colleghi erano false. Quanto a Freud, Reich ritiene che il padre della psicoanalisi aveva sperato di poter procedere applicando la sua “sicura psicoterapia causale”, ma che accortosi del proprio errore aveva subito una cocente delusione.
Reich riconobbe per tempo a Ferenczi e Rank di aver superato l’impasse della tecnica passiva con l’attribuire una maggiore importanza all’analisi della situazione transferale. Mentre nell’analisi passiva classica vigeva la regola di analizzare il transfert solo quando esso era divenuto una resistenza, Ferenczi e Rank sottolineano la necessità di analizzare costantemente la situazione transferenziale, anche quando non è diventata una resistenza, ad esempio enucleando fin dove è possibile la situazione transferenziale anche da ogni sogno. Essi vogliono così giungere all’analisi del vissuto soprattutto per il tramite del transfert.
Reich sosteneva che i tabù psicoanalitici (ad esempio la regola secondo cui l’analista, senza essere visto e senza essere visibile, doveva rimanere un “foglio bianco”, ovvero, possiamo aggiungere, uno specchio) costituivano un rinforzo dei tabù nevrotici dei malati in campo sessuale. Un altro tabù era quello che confinava l’attività del paziente al “solo ricordare” con esclusione del fare. “Ero d’accordo con Ferenczi nel rifiutare questo metodo. Naturalmente il malato doveva poter “fare qualcosa”. Ferenczi ebbe delle difficoltà con l’Associazione psicoanalitica perché egli, seguendo una giusta intuizione, lasciava giocare i pazienti come bambini. Da parte mia tentavo in tutti i modi di liberare i malati dalla loro rigidezza caratteriale” .
Il nome che Reich dava alla “analisi passiva” e alla situazione di impasse in cui si trovava sprofondata, a suo giudizio, la tecnica psicoanalitica era ricalcato su Marx e suonava “miseria della terapia”. Ferenczi, secondo Reich, si rese perfettamente conto della miseria terapeutica ed ebbe l’indubbio merito, di cercare per primo una soluzione sul piano somatico. Reich riteneva dunque che la tecnica attiva sviluppata da Ferenczi aveva la sua vera scaturigine in una riscoperta del corpo. Essa, in effetti, agiva secondo Reich sugli stati di tensione somatica.
Reich, molto più benevolo di Fenichel nei confronti di Ferenczi e Rank, e che comunque ha dato una valutazione positiva, relativamente alla carica innovativa in esso contenuta, del loro lavoro comune, ha però stigmatizzato il fatto che i due psicoanalisti, col porre in primo piano l’agire del paziente (la tecnica attiva mira appunto a questo, all’agire del paziente) e la sua interpretazione, sembrano relegare in secondo piano il ricordare. La tecnica attiva, d’altro canto, aveva avuto il merito agli occhi di Reich di aver preso in considerazione l’aspetto dinamico del trattamento, una volta constata l’inadeguatezza di quello topico. Concentrandosi sull’agire, infatti, Ferenczi e Rank dimostravano di aver compreso che il semplice trasferimento di una rappresentazione dall’inconscio al conscio (in ciò consiste il punto di vista topico) non è assolutamente sufficiente per la guarigione. Tuttavia, incalza Reich, neanche il punto di vista dinamico lo è. L’abreazione di un affetto collegato a un ricordo, infatti, procura miglioramenti soltanto provvisori. In altri termini la tecnica attiva è anch’essa insufficiente da un punto di vista terapeutico.