Adattato da Giorgio Antonelli, Al di là della psicoanalisi. Otto Rank, Lithos, Roma, 2008
E’ stato Stanislav Grof ad aver invece riconosciuto in Rank, pienamente rivalutandolo, una delle fonti certe, insieme alla triade Jung-Assagioli-Maslow, della psicologia transpersonale. È in particolare il Rank de Il trauma della nascita, libro definito senza mezzi termini d’avanguardia, e che la psicoanalisi, attraverso Rado, aveva stigmatizzato come un assurdo scientifico, a costituire oggetto d’interesse per l’approccio transpersonale.
“Otto Rank” scrive Grof “lanciò una sfida alla teoria sessuale di Freud sulla nevrosi spostando l’attenzione sul trauma della nascita quale fattore eziologico. Nella sua teoria i sintomi nevrotici rappresentano tentativi di esteriorizzare e integrare questo shock emotivo e biologico fondamentale della vita umana. Di conseguenza non ci si può aspettare che la nevrosi guarisca realmente a meno che il cliente non affronti tale evento nella situazione terapeutica. In considerazione della natura di questo trauma la terapia verbale ha scarso valore e deve essere sostituita dall’esperienza diretta”.
Grof ritiene dunque, e si tratta di un motivo sul quale insiste in più luoghi della propria opera, che la terapia verbale abbia una scarsa incidenza terapeutica, la parola in particolare non può raggiungere le radici perinatali e transpersonali. Analogamente, nei suoi mercoledì viennesi, alle origini dunque del suo percorso analitico, Rank, come s’è già visto, non soltanto aveva stigmatizzato il linguaggio teorico della psicoanalisi, ma era giunto a mettere in dubbio l’incidenza, l’efficacia del suo linguaggio interpretante. Contro Stekel, che riteneva feconde di effetti terapeutici le (proprie) interpretazioni, Rank sosteneva che la parola, in analisi, la parola che l’analista rimanda al paziente, non può avere un effetto profondo.
Nelle parole di Rank, e anche in questo connotare l’epocalità del proprio tentativo terapeutico, appare più che prefigurata quella che Grof avrebbe chiamato la mente olotropica. Per Grof, si tratta, in termini perfettamente rankiani di “rivivere il trauma della nascita”. Quegli stessi sintomi di cui il paziente chiede la sparizione sono, nella sua ottica, anche in questo caso in linea con gli assunti di Rank, “un tentativo dell’organismo di liberare se stesso da antiche impressioni traumatiche, di guarirsi”. I sintomi sono allo stesso tempo il dolore e l’opportunità, l’apertura, l’apertura del corpo al mondo dal quale si sente separato. La procedura terapeutica indicata da Grof dunque, in ragione di quanto precede, appare solo in apparenza paradossale. L’efficacia della terapia, ciò che la può rendere reale, felice di effetti, sta dalla parte dell’attivazione e dell’intensificazione temporanea dei sintomi. Si tratta qui di un principio cardine del processo terapeutico concepito da Grof. Prospettiva, questa che accomuna Rank e Grof, presente anche nella elaborazione di Ferenczi, il quale sosteneva la necessità di non interrompere precocemente la sofferenza
Quello che Maslow sostiene in Motivation and Personality, pubblicato nel 1954, stigmatizzando il fatto che la psicologia ha registrato i maggiori successi dalla parte del negativo degli esseri umani e non da quella delle loro potenzialità e aspirazioni, Rank non soltanto l’avrebbe sottoscritto, ma lo ha anche a più riprese scritto egli stesso. Molto dell’impianto di Will Therapy è basato su questi presupposti, diciamo così, pre-maslowiani. Rank sostiene di aver sempre approcciato la psicoanalisi e, gli esseri umani alla luce della psicoanalisi, non a partire dai nevrotici, ma considerando il tipo produttivo, creativo. Anche per quel che riguarda il nevrotico, Rank ribadisce di avervi sempre visto l’Io positivo, laddove la teoria freudiana ha al contrario enfatizzato l’Io negativo anche nell’uomo medio e in quello superiore (l’artista). “Il mio tentativo” scrive Rank “è di mostrare nel nevrotico il sovraumano, la scintilla divina”. La psicoanalisi, sostiene ancora nel suo ultimo e postumo libro Rank portando il proprio discorso alle estreme conseguenze, non accetta la natura umana e ciò a dispetto di quella terminologia naturalistica di cui pure fa ampio uso. Una linea che da Rank, passando per Maslow, arrivi alla psicologia transpersonale appare in questo senso del tutto plausibile.