Trascrizione dell’intervista ad Aldo Carotenuto curata da Sergio Benvenuto,
regia di Lucio Cocchia (1996)
FREUD e JUNG: STORIA DI UN EQUIVOCO
Parlando di Jung è sempre necessario, diciamo, dissipare dei dubbi, degli equivoci, per esempio Jung non è mai stato allievo di Freud e da un certo punto di vista non è stato neanche un rivale, almeno è quello che io penso. Non è stato allievo perché Jung cominciò molto presto a leggere una delle opere fondamentali di Freud, in particolar modo l’interpretazione dei sogni e ne rimase molto colpito e scrisse a Freud appunto della grande impressione che quest’opera gli aveva fatto, d’altra parte Jung aveva cominciato a lavorare già da molto tempo in un ospedale psichiatrico, forse a differenza di Freud, e aveva avuto grande esperienza proprio con i malati gravi, diciamo quelli che adesso noi chiamiamo schizofrenici e rimase colpito dal contributo di Freud, proprio perché Freud cercava di andare un pochino alla radice di quelli che sono i comportamenti umani e d’altra parte Jung aveva già, in un certo senso, maturata un’esperienza attraverso un test, chiamato il test di associazione attraverso il quale così contando il tempo con il quale una persona rispondeva ad una parola, lui aveva capito che quel tempo molto dilatato corrispondeva ad una difficoltà della persona stessa e questo lui lo chiamò appunto complesso e quello che lui scopriva attraverso il test associativo era abbastanza coerente con quello che andava dicendo Freud. Quindi non allievo ma io direi piuttosto un collaboratore.
Ovviamente nella nostra cultura, Freud, non solo per il fatto di essere venuto prima, ma per la grandissima diciamo dimensione della sua scoperta, una scoperta che in fondo era già stata in un certo senso preceduta da quei grandi diciamo personaggi del 700, io mi riferisco per esempio all’ipnosi, che avevano intuito l’esistenza di un mondo nascosto, naturalmente avevano dato delle spiegazioni molto diverse rispetto a Freud e successivamente rispetto a Jung, ma avevano già intuito molte cose. Freud interviene e capisce che è possibile delineare una nuova disposizione dell’animo umano, una disposizione che teneva conto non soltanto della coscienza, fatto importante perché della coscienza se te teneva conto sì, ma soprattutto nella psicologia accademica, ma soprattutto di altri aspetti della vita psichica. Aspetti della vita psichica non molto conoscibili, non conosciuti a cui lui dette il nome di inconscio.
Io preferisco usare il termine inconscio sempre come aggettivo, perché di per sé l’inconscio non esiste, ma noi con questo termine ovviamente ci riferiamo a una dimensione psicologica attraverso la quale noi capiamo un fatto: che non solo noi agiamo con una certa consapevolezza, ma nel momento stesso in cui agiamo probabilmente c’è una dimensione che ci guida, che nutre un pochino i nostri atteggiamenti. Quindi siamo inconsapevoli, come in questo momento per esempio noi abbiamo un cuore che batte, ma non ne siamo consapevoli, così probabilmente la nostra vita psichica si muove, non solo sotto la spinta di un’ intenzionalità, ma si muove anche sotto una spinta di forze che Freud ha voluto denominare forze inconsce. Sarà poi tutto il suo successivo lavoro e il successivo lavoro di Jung che darà a queste forze un loro nome, darà a queste forze una loro collocazione all’interno di quella splendida dimensione che è la dimensione psicologica.
Io parlo di Jung perché, non solo sono un esperto di Jung, ma perché Jung, diciamo mi affascina, potrei anche dire che mi è più simpatico, di quanto sia lo sforzo, di quanto sia lo studio che Freud ha portato avanti, ma questo però non significa la maggiore o minore importanza, significa soltanto che io nel mio lavoro mi muovo meglio con quanto ho appreso da Jung.
Non posso negare che altre persone, per esempio, potrebbero trovarsi molto bene con altre teorie, non solo quelle di Jung o di Freud, ma con altre persone. Però posso anche dire che non bisognerebbe mai equivocare perché almeno per un’ analista nel momento in cui lui si pone di fronte a un paziente, sì potrebbe anche dire io appartengo alla scuola freudiana junghiana o altre cose del genere, ma c’è una sottile menzogna in queste parole, perché quando ci si pone di fronte al proprio paziente si lavora soprattutto con se stessi, quindi per quanto conoscenza io possa avere, per quanti libri posso aver studiato, per quanta analisi io possa aver fatto, con questo o quell’altra persona, in definitiva sono sempre io che lavoro con il mio paziente.
JUNG E FREUD: DIFFERENZE DEGLI APPROCCI
Naturalmente mi viene sempre chiesto: ma qual è lo specifico di Jung? Ed è una domanda legittima, io non dimentico pero una frase che Jung dirà ad un certo punto nei suoi “Ricordi sogni e riflessioni” e si, proprio la frase da lui scritta dove dice che certo noi dobbiamo sapere tutto, dobbiamo conoscere a perfezione quanto detto da Freud e quanto detto da altri autori, ma poi dobbiamo dimenticare tutto. Allora io potrei dire che lo specifico di Jung, la tecnica di Jung è quella di non avere nessuna tecnica.
Io sono del parere che due analisti che hanno veramente molta, molta esperienza sono di per sé inconfondibili, perché l’esperienza stessa porta poi le persone, in questo caso specifico gli analisti, ad avere lo stesso comportamento. Ora ammettiamo che ci sia un’analista che abbia in riferimento, nella sua testa, abbia un riferimento a Jung, allora nella sua analisi dovrà dovrà prima così confrontarsi con una dimensione che da Jung è chiamata Persona. La Persona è un nome latino che viene da maschera, l’atteggiamento esterno che tutti noi abbiamo e che dobbiamo naturalmente utilizzare, che dobbiamo utilizzare nel mondo esterno. Io quando faccio il professore all’università, è chiaro che debbo assumere la maschera di professore; quando faccio gli esami assumo la maschera dell’esaminatore; oppure quando per esempio discuto le tesi ho un certo tipo di maschera, ho un certo tipo di atteggiamento. Ma il consiglio di Jung è interessante perché lui dice: “state attenti, una cosa è il ruolo che voi svolgete, la Persona che voi avete, e una cosa è quello che siete veramente, cioè state attenti a non identificarvi con queste immagini”. Allora sarebbe un pochino curioso che io avessi sempre lo stesso atteggiamento da professore, magari anche un pò noioso che ho durante le lezioni e io poi sono professore nello stesso momento in cui io vado a comprare, che so, un chilo di pomodori. Ecco quindi tecnicamente è molto importante che il paziente si renda conto di quanto si sia identificato con la sua immagine.
Successivamente per Jung è molto importante e io credo che sia poi fondamentale non solo nell’analisi junghiana, ma soprattutto in tutte le analisi che vano in profondità che un individuo abbia a che fare con certi aspetti molto nascosti della sua persona. Jung chiamerà questi aspetti Ombra, volendo indicare una dimensione che sempre tenuta un pochino fuori dagli aspetti evidenti della nostra via e che noi ci portiamo appresso continuamente e quanto più questa Ombra, questa dimensiona è nascosta, tanto più può prendere il sopravvento. Durante le lezioni io porto sempre degli esempi di carattere letterario e l’esempio più bello ci viene dalla letteratura, da Stevenson, con quel famoso, lungo racconto del dottor Jackyll e mr. Hyde. Tutti noi conosciamo il dottor Jackyl, era un medico molto importante nella Londra del tempo, era molto buono, aveva devoluto e stava devolvendo tutte le sue ricchezze per poter aiutare i poveri, così senza farli pagare, ma contemporaneamente lui era portatore di una dimensione molto violenta, arrogante, assassina ed è una dimensione della quale lui non era consapevole. Naturalmente non esistevano gli analisti, scherziamo naturalmente dicendo questo, cioè lui non aveva una comprensione di quello che stesse succedendo, l’unica cosa in cui lui si rendeva conto è che improvvisamente lui si trasformava, prima si trasformava attraverso la particolare pozione che beveva, successivamente poi questa trasformazione avviene… così gli prende la mano e noi sappiamo che nel romanzo di Stevenson, il dottor Jackyl viene ucciso da Mr. Hyde.
Ora in maniera del tutto analoga noi siamo portatori di un mr Hyde e ricordo che mr Hyde in inglese hyde significa nascondere, e allora è importante che nell’incontro che io faccio con il paziente emerga subito questa immagine, vedere dov’è che noi abbiamo l’ombra, quali sono nostri aspetti più problematici, gli aspetti dei quali noi ci vergogniamo, gli aspetti che noi teniamo nascosti ed io direi secondo la mia esperienza che quanto più questi aspetti sono nascosti, poi diventano importanti per noi, perché quella dimensione che noi critichiamo e che valutiamo, diciamo molto negativamente, può invece essere anche la fonte della nostra forza, ma come dire, noi diventiamo forti se noi smascheriamo questa forza, se noi la guardiamo negli occhi, se ci rendiamo conto della malvagità di cui noi siamo o potremmo essere responsabili. Ma in linea generale noi tendiamo a tenere nascosta questa immagine e quanto più noi la teniamo nascosta, tanto più questa immagine prende il sopravvento e ci distrugge, successivamente Jung poi ci parlerà di un altro aspetto molto importante.
Noi sappiamo tutti che cosa significa essere uomini ed essere donne, sappiamo tutti che cosa significa entrare in relazione l’uno con l’altro, ma forse non sappiamo che molte immagini che noi andiamo,così, cercando nella vita, diciamo il principe azzurro oppure la fatina dagli occhi azzurri ecc., sono in realtà immagini che ci portiamo dentro, sono immagini che noi abbiamo mutuato dalla nostra esperienza infantile, dalla nostra primissima esperienza, li dove abbiamo avuto rapporti, per esempio con nostra madre, adesso parlo in senso maschile e allora questa madre viene introiettata, diventa un’ immagine interna che guida la nostra ricerca di un anima gemella. Anche questo è del tutto inconscio ed è interessante per esempio vedere come situazioni nelle quali si sbaglia sempre, cioè si va a prendere sempre la stessa tipologia anche se si cambia una donna o se si cambia un uomo, secondo i casi, è sempre la stessa tipologia. E allora se io non me ne rendo conto e non opero, così, una certa correzione di questa forza interna, io per tutta la vita sbaglierò e successivamente, in questo grande processo di sviluppo, Jung ci parlerà poi di un immagine che dovrebbe essere, e si può dedurre da quello che abbiamo detto, un bilanciamento di tutta la nostra parte cosciente, consapevole, con la parte inconscia e questo bilanciamento poi permetterà all’individuo di raggiungere quella che Jung chiama totalità ma raggiungere significa non che poi alla fine noi possiamo essere contenti di questo raggiungimento, perché è un viaggio; io direi, per usare un termine che mi è caro, un tipo di viaggio romantico, cioè vale a dire per il quale non è tanto una meta, ma è il momento stesso del viaggio che è importante. E quindi si va verso, diciamo un obbiettivo, che non si raggiunge mai, nel quale questo bilanciamento tra parte conscia e inconscia è abbastanza coerente per dare alla nostra vita un senso di totalità.
INTROVERSIONE E ESTROVERSIONE
Jung potrebbe essere considerato un grande teorico della personalità, io vorrei ricordare che lui nel 1921 da alle stampe un famoso libro: “Tipi psicologici”. Ora io tra l’altro sono proprio professore di psicologia della personalità, sono sempre scettico di fronte ad ogni forma di classificazione, perché per nostra fortuna l’essere umano è talmente variabile, è talmente individuale che non può essere mai racchiuso in una formula, ma bisogna avere sempre una grande larghezza per poter comprendere una certa specificità. Comunque Jung fece questo tentativo in funzione del fatto che i tipi psicologici hanno un senso soltanto se noi capiamo a quale tipo apparteniamo e quindi tutto il nostro sforzo dovrebbe consistere nell’aumentare una serie di possibilità che sono rappresentative di tipi, in modo tale da giungere e mettere in moto quel processo da Jung denominato processo di individuazione. Debbo sottolineare che il processo di individuazione è proprio un specifico di Jung.
D’altra parte nella sua tipologia, Jung si era accorto che gli esseri umani possono comportarsi secondo due fondamentali tendenze, una di queste tendenze è quella di essere attratti proprio dal mondo esterno; si vive perché c’è un mondo di relazioni, un mondo di cose e allora l’essere fuori è da Jung denominato estroversione, per cui molti di noi la maggioranza del tempo la passano così, nella vita appunto di relazioni, di amicizie. E’ il mondo esterno che conta, conta avere una bella macchina, conta avere dei buoni amici, conta anche un successo nel lavoro e sono naturalmente cose importanti perché fanno parte del resto della nostra esperienza. Ma, qui c’è una ma, ci sono poi delle tipologie molto diverse: tutti noi conosciamo delle persone molto riservate che stanno sempre per conto loro, che a una festa da ballo preferiscono magari un concerto e sono quelle persone che Jung chiamerà introverse. Ora vorrei dire che la persona introversa è una persona che in un certo senso può fare a meno delle cose esterne, perché lui è nutrito appunto da una dimensione interna, cioè c’è un flusso interno di immagini che lo appaga, non ha bisogno ad esempio di guardare una partita di calcio, operazione nobile per chi lo fa, ma per una persona del genere, una persona cioè che è introversa, è più importante magari ascoltare il mondo della poesia, fare delle passeggiate solitarie. Io ricordo un famoso libro di Rousseau: “Le fantasticherie delle passeggiatore solitario”, ecco è molto più importante questo perché è un interiorità che grida, urla, si fa sentire e quindi ha bisogno in un certo senso di un colloquio e allora queste persone sono le persone introverse. Naturalmente si può capire che ad esempio molti artisti, molti artisti sono delle persone introverse perché poi l’arte noi la troviamo dentro di noi, non sta fuori di noi, sta dentro di noi, quindi la creiamo, la modelliamo e l’intenzione di Jung è, scrivendo questo libro, era quella proprio di far vedere come lo sforzo dell’uomo dovrebbe consistere nel poter raggiungere quell’aspetto tipologico nel quale è carente, cioè per Jung si nasce introversi o estroversi.
Adesso lasciamo da parte la lunga discussione: “l’ambiente conta o non conta”, io direi da un mio punto di vista che è chiaro, l’ambiente e l’eredità sono due cose insieme, non si possono dividere. Si ereditano gli occhi azzurri, si ereditano gli occhi neri, ma da un punto di vista psicologico le due cose non possono essere così delimitate. Ambiente ed eredità giocano un fattore importante e in maniera quasi parallela. Ma in questo caso, anche se si parte come persone estroverse, poi sarebbe necessario per una completezza della nostra processualità psicologica, poter sviluppare anche gli altri aspetti. Per cui ecco, si può capire bene: il libro tipi psicologici è un libro sull’individuazione, nel senso che permette alla persona di specificare sempre più il senso della sua vita psicologica, cercare di impadronirsi di altri aspetti di cui è apparentemente carente, io direi che Jung si riferisce più ad una rimozione degli altri aspetti, quindi riportarli alla coscienza e andare verso una dimensione attraverso la quale noi appunto raggiungiamo quel tipo di individuazione che è l’individuazione del nostre possibilità più creative e soprattutto più personali.
I SOGNI
Sono del parere che anche per il mondo dei sogni c’è stata una grande osmosi. Ripeto, se io dovessi sentire un’analista che ha, non so, settant’anni, che lavora da quarantacinque anni, interpretare un sogno se è veramente bravo ed amante del suo lavoro ovviamente, io penso che non riuscirei a capire se lui è di scuola junghiana o freudiana e questo perché l’evidenza stessa delle cose permette poi attraverso l’esperienza di dire e di utilizzare dei comportamenti che sono necessariamente analoghi. Ma se noi vogliamo parlare di una specificità, per esempio per Jung il contenuto stesso del sogno è già significativo, ma io debbo anche pensare: è chiaro io lavoro da tantissimi anni, lavoro da circa trentacinque anni, poi è chiaro che uno chiede al sognatore qualche informazione sul sogno, ma il sogno stesso però per Jung, rispetto a quello che poteva essere una formulazione freudiana ma che non esiste più, cioè non credo che un freudiano possa far finta che non esiste un certo tipo di aspetto, come uno junghiano naturalmente fa anche lui uso di quelle che si chiamano le libere associazioni, cioè vale a dire: c’è un aspetto del sogno e su questo aspetto si chiede al paziente nella maniera più libera possibile di associare delle idee. Allora queste due cose sono interdipendenti, ma lo specifico junghiano è quello di capire che il sogno, come dire, le sue stesse immagini sono rivelatrici di qualche cosa, non nascondono nulla e allora se io sogno certi tipi di immagini, hanno qualche significato perché le ho scelte io; noi dobbiamo pensare che il sogno e come si suol dire egoico perché allora il sogno l’ho fatto io, ma io sono il regista del sogno, sono lo sceneggiatore. Cioè il sogno lo faccio io e allora tutto il sogno in un modo o nell’altro si riferisce a me e in questo senso Jung fa quella divisione di sogno oggettivo o sogno soggettivo, interpretazione oggettiva o soggettiva volendo dire che c’è un’interpretazione oggettiva nel senso che se io sogno di una persona allora io debbo chiedermi ma chi è questa persona e allora parlando di questa persona è come se io parlassi realmente di quella persona e questa sarebbe l’interpretazione oggettiva, ma è in realtà è molto più proficuo, molto più importante che invece io capisca che il sogno si è soggettivo, cioè il sogno mi appartiene. Allora se io sogno delle immagini molto belle è bene che questa bellezza si rivolge a me, se io sogno di essere un persecutore nazista, che così che mette su un campo di concentramento, certo io non sono un nazista, io non ho nulla a che fare con il campi di concentramento, ma il fatto di aver fatto un sogno del genere è rivelatore di una dimensione mia interna sulla quale io debbo dialogare, debbo discutere, debbo cercare di capire che cosa ci fa questa immagine dentro di me. E allora io posso dire che il sogno è interessante perché è lo strumento attraverso il quale il paziente dialoga con se stesso. E ovvio che l’analista che per anni e anni ha sentito raccontare dei sogni, dico ha sentito raccontare, non dico che ha letto tanti libri sui sogni, perché la lettura dei libri sui sogni non significa niente. Allora viene fuori da questi sogni un profumo particolare e con opportune domande e con una discussione proprio di carattere dialettico, fra lui e il paziente, è capace di disvelare un mondo che altrimenti non sarebbe emerso. Io vorrei a questo proposito ricordare quei fenomeni che stanno succedendo specialmente in America, attraverso i quali… loro li chiamano appunto le false memorie oppure the lost memory così, ad un certo punto loro fanno così emergere dall’inconscio degli episodi brutali che magari una donna di sessant’anni in quel momento ha vissuto quando aveva due anni oppure tre mesi. Saranno cose vere, saranno cose false, non lo so. Ma il sogno ha questa capacità, di fare emergere dei contenuti che forse noi abbiamo dimenticato, il termine esatto sarebbe rimosso, ma è come se noi li avessimo dimenticati e allora perché abbiamo dimenticato che queste dimensioni, che cosa è successo, che cosa significa in fondo che io ho dimenticato dei rapporti molto duri che magari avevo quando ero bambino e allora significa il modo di interpretare che quelle esperienze erano così dolorose che io ho sentito il bisogno di allontanarle dalla mia vita e il momento le ho allontanate dalla mia via, io commetto uno sbaglio perché in realtà, è vero che le ho allontanate, ma non è che io le ho cancellate del tutto, perché loro operano dentro di me, nascostamente e allora molte volte l’origine del mio malessere, l’origine di un comportamento che non si spiega in nessun modo può avere la sua ragion d’essere nel fatto che certe esperienze della mia vita non maturate, non portate alla coscienza, noi diremmo non elaborate a sufficienza, continuano a far sentire il loro fastidio, continuano a far sentire la loro importanza. D’altra parte, almeno per quanto mi riguarda, io ho pubblicato due libri sull’argomento, ho pubblicato due libri che parlano di due pazienti diversi un uomo e una donna e faccio molto uso dei sogni, naturalmente e nello specifico junghiano per esempio il paziente scrive il suo sogno e allora è facile, almeno per quanto mi riguarda, che un analista junghiano abbia centinaia e centinaia di cartelline con centinaia e centinaia se non addirittura migliaia di sogni e sono interessanti perché io ho sempre pensato questo: ammettiamo che sia una persona che non vada mai in analisi, che però comincia a prendere nota dei suoi sogni e vada avanti per anni e anni. Bene se uno andasse a guardare quei sogni vedrebbe lo svolgersi della sua vita, cioè anche se la persona non è del tutto pratica, poi a furia di guardare i sogni, vedrebbe che c’è un percorso, che c’è una specie di evoluzione, ecco questo è proprio uno specifico di Jung, ma io non penso che un altro analista appartenente ad una scuola qualsiasi non possa fare lo stesso, anzi farà lo stesso e magari non lo dice. Io, in questo senso ribadisco l’idea che alla fine, alla fin fine, la cura che l’analista fa è una cura che viene da lui, cioè noi curiamo con noi stessi. E’ chiaro che abbiamo bisogno di punti di riferimento, è chiaro che io conosco tutto quello che ha scritto Jung, tutto quello che ha scritto Freud, adesso uso questi sue termini perché sono i più rappresentativi, ma si potrebbero usare tanti altri nomi intendiamoci. Ma poi alla fine io mi trovo solo di fronte al paziente, non ho la possibilità di ricorrere a quello che hanno detto, non posso andare alla biblioteca che ho qui dietro le mie spalle e prendere un libro per vedere che cosa dice Jung in un certo momento, è la mia esperienza, la mia capacità, direi la mia abilità terapeutica che in un rapporto molto profondo col paziente lo può portare verso la guarigione. D’altra parte Jung ha scritto un libro nel 46: “La psicologia del transfert”, e che cosa dice Jung in fondo? Jung dice qualcosa di estremamente importante, cioè la dimensione del rapporto diventa poi la dimensione fondamentale e questo perché? Perché ormai noi ci siamo accorti che la nostra vita psichica è scandita dai primi rapporti con i suoi genitori e non sempre questi rapporti sono felici e non sono felici non perché ci sia una cattiva volontà da parte delle persone più grandi di noi di offrirci esperienze negative, perché quello che conta è è il vissuto, quindi magari anche un aspetto molto positivo che ci viene presentato in realtà noi lo viviamo male. E allora in questo tipo di rapporto durante il quale io ricevo delle ferite che mi fanno male e che urlano, allora sarà necessario, perché quelle ferite guariscano, avere un altro rapporto. In altre parole e come se fosse una medicina omeopatica: se i rapporti mi hanno fatto star male sarà un rapporto che mi farà star bene. Ma che tipo di rapporto, è qui il punto. Non è un rapporto così, come può essere un amico, è un rapporto che in realtà va molto in profondità, per cui io posso dire che è difficile fare il lavoro dell’analista se non si è coinvolti dalla situazione, perché se non si è coinvolti non si crea quel rapporto che è alla base poi della guarigione psichica.
LA NEVROSI
Quando si usa il termine nevrosi, si possono intendere tante cose e naturalmente noi abbiamo così una dimensione di normalità che molte volte è una dimensione che deriva dalla storia, certe cose che adesso sono assolutamente normali, magari mille anni fa o duecento anni fa erano considerate patologiche. Prendiamo ad esempio le dimensioni emotive, prendiamo ad esempio le dimensioni della sessualità, ci sono delle situazioni di carattere sessuale nelle quali per esempio ho persone dello stesso sesso possono tra di loro generare un amore e sentire nella loro unione qualcosa di profondamente vero e importante. Se si pensa ora, che non molto tempo fa questa dimensione, cioè la dimensione diciamo dell’omosessualità, era una dimensione colpevole. Gli americani hanno un libro importante che esce ogni anno, nel quale vengono classificate tutte le malattie di carattere psicologico. Ora l’omosessualità per esempio era considerata fino a cinque anni fa una malattia vera e propria, curata in termini diciamo psichiatrici. Successivamente questa malattia è stata del tutto depennata. Allora che cos’è la nevrosi. La nevrosi è un grido di protesta della persona verso una situazione che lui sente contrastante con la sua vita. Questo è molto importante capirlo perché in questo modo noi non rendiamo patologico un comportamento, noi rendiamo invece un comportamento, attraverso una nuova modalità di vederlo, lo rendiamo in un certo senso molto individuale; cioè ci sono delle persone per le quali è necessario agire in un modo piuttosto che in un altro. Prendiamo ad esempio quelle persone che ad un certo punto decidono di non mangiare e sviluppano un certo tipo di malattia, la cosiddetta anoressia, però noi abbiamo avuto quella che è stata chiamata la santa anoressia, per cui molte delle donne nel passato erano addirittura delle sante e si consumavano nel non mangiare, mentre adesso non sono più sante ma sono delle malate che magari vengono curate in ospedale. Cioè vorrei far capire una cosa importante: la nevrosi è un disturbo della nostra personalità, ma prima di dire che questo disturbo è patologico, noi dovremmo intercederci su cosa è la normalità e molte volte noi siamo costretti a riconoscere che la normalità ha un valore storico nel senso che ciò che era normale quattrocento anni fa…adesso potremmo dire: “la cosa non ci interessa”. O meglio ancora ciò che era patologico duecento anni fa adesso non è più patologico. Io sarei del parere di dire che il nevrotico è la persona che anticipa di gran lunga un mondo nuovo è diverso per il quale sarebbe sarebbe necessario un valore completamente cambiato rispetto a questo. Ma siccome è solo allora lui diventa un visionario, diventa una persona che da fastidio e da questo punto di vista si capiscono l’esistenza dei manicomi, l’esistenza di persone che sono proprio pagate dallo stato per ricondurre a normalità delle persone che in realtà poi anormali non sono.
E in questo proposito io vorrei un momentino affrontare il problema dei cosiddetti psicofarmaci. Non bisogna negare naturalmente che ci sono dei momenti molto duri in cui bere una tazzina di caffè oppure prendere uno psicofarmaco è necessario perché abbiamo una necessità in quel momento, ma non si può pretendere che una persona che offre al mondo un suo disturbo, se questo disturbo non viene capito e non se ne afferra il grande messaggio psicologico, non si può pretendere che venga curata coi farmaci, perché più che curare, forse il farmaco non fa altro che attutire; è come togliere l’energia elettrica li dove c’è un cortocircuito, naturalmente il cortocircuito scompare, ma scompare tutta l’elettricità. Questo è un problema io direi molto grave e che richiede da parte di tutti noi un impegno; cioè la nevrosi è praticamente un disturbo della nostra personalità che va preso veramente con le molle perché quel disturbo indica soltanto che c’è, sia nella persona che nell’ambiente, un tentativo di protesta.
Non si può neanche immaginare quante persone venendo da me, e vengono portate come malate, poi attraverso il colloquio rivelano soltanto una formidabile protesta a situazioni che loro non accettano; però è molto più comodo purtroppo pensare che queste persone siamo malate in modo tale che l’equilibrio nella quale sono inserite non venga mai messo in discussione.
LA GUARIGIONE PSICHICA
Jung non promette nessuna guarigione e questo è uno dei punti più interessanti secondo me, anche rivoluzionari, perché la mentalità comune fa sì che una persona che sta male psicologicamente, andando da un analista richieda quest’analista diciamo lo stesso atteggiamento che uno richiederebbe a un medico. Se mi fa male un ginocchio, il medico deve intervenire e quale che sia il malanno più o meno lo fa passare. Ma la vita psichica è un pochino diversa, intanto non è che noi siamo malati come potrebbe essere malato il ginocchio oppure un unghia. Il momento del disturbo psicologico è un momento che coinvolge tutta la personalità. E allora l’opera fondamentale dell’analista, non è tanto di guarire, perché direi in maniera specifica la nevrosi non guarisce, ma è un capire esattamente i motivi di quel malessere perché in quel momento io che sono stato sempre bene a un certo punto comincio ad aver paura, il cosiddetto panico. Un signore cammina si gira indietro per vedere cosa c’è; a un certo punto è preso dal panico. Allora il problema, noi possiamo dire, il problema di questa persona non si può affrontare dandogli una pillola, ma che cosa succede nella sua vita. Allora non è tanto un problema di paura, ma è un problema di tutta la sua personalità e allora, per esempio, si può andare a vedere che lui in fondo per moltissimi anni ha mentito a se stesso accettando per esempio di svolgere un’ attività che non è per niente consona con la sua vita. E allora anni e anni che passano, improvvisamente avviene qualcosa e questo è interessante. Già in tutti i miti succede che all’eroe accade qualche cosa e questo accadimento travolge la sua vita, E allora il discorso di Jung e quindi il discorso io direi anche di tutti gli psicoterapeuti è quello di integrare nella totalità della psiche questo sintomo, questa difficoltà e quindi dirà Jung imparare ad accettare il dolore della nevrosi. Ora naturalmente non si può fraintendere e dire ma allora io starò male per la vita, è una cosa diversa perché se si deve procedere in avanti, allora deve crescere tutta la mia persona, perché la malattia psichica non è un aspetto singolo anche se naturalmente si presenta come qualcosa di singolo. La malattia psichica è qualcosa che si presenta e il suo superamento è una rivoluzione di tutta la mia esistenza, ecco perché fra l’altro il discorso di una terapia psicologica richiede molto tempo, richiede molto tempo nel rapporto, ma io potrei dire che richiede molto tempo nel rapporto che la persona ha con se stesso, perché il rapporto con l’analista è fondamentale, ma è più fondamentale quel processo psicologico che si mette in moto e che poi dovrà piano piano portare a certe conclusioni.
Quindi il concetto di nevrosi come disturbo della personalità, può essere visto come una contraddizione che improvvisamente emerge. Una contraddizione che si allontana da quella che è la normalità, perché ovviamente tutti possono prendere l’ascensore, se a un certo punto smetto di prendere l’ascensore perché ho paura e quella paura non è giustificata da nulla, mentre la paura di un serpente oppure di un leone che mi può assalire ha la sua giustificazione, allora io mi debbo chiedere ma perché ho paura? Allora è proprio questa domanda che mi fa comprendere come quella paura è li per aprire un varco, enorme. E nell’apertura di questo varco io posso vedere grandi cose, però a questo punto si richiede che tutta la mia vita venga messa in discussione.
Io non sono un fautore naturalmente che una persona si sente male, perché una persona se può vivere tranquilla tutta la sua vita e può non interrogarsi mai su se stessa, lo faccia per carità. Ma qualche volta capita, un esempio è Paolo che sulla via di Damasco andava a distruggere i cristiani, poi a un certo punto cade per terra e li capì che la sua vita sarebbe stata diversa, allora direi che questa caduta capita a tutti gli uomini, in maniera diversa naturalmente, ognuno ha qualcosa che gli capita, qualcosa che lo induce a pensare e allora quella induzione a pensare deve implicare una cosa fondamentale: le cose non possono più andare come prima, cioè lui non può continuare a essere quello che è, ecco perché poi fa paura. Uno è spaventato da questi momenti perché uno che per esempio ha condotto una vita matrimoniale che magari non aveva più nessun senso, improvvisamente comincia a star male, beh e allora se si deve interrogare e deve dare una risposta a quel suo malessere, deve mettere in discussione tante di quelle cose per cui io penso che veramente si abbia paura e bisogna essere diciamo molto sensibili a questi problemi. La vita è già tanto difficile, io mi ricordo che Freud diceva: la vita è addirittura insopportabile, ecco perché noi abbiamo bisogno di sostanze per esempio che ci inebriano la vita, abbiamo bisogno… lui parlava di illusioni che permettono a noi stessi di pensare che la nostra vita potrebbe essere anche diversa; lui le affermava queste cose e queste illusioni poi … si pensi ad esempio all’impegno politico, uno comincia comincia ad acquisire un’ideologia e questa ideologia lo aiuta, io vorrei essere ricordare il campi di concentramento molte volte quelli che riuscivano a resistere e a sopportare le pene inimmaginabili che quell’esperienza ha offerto all’umanità, erano poi le persone politiche quelle che comunque avevano un’ideologia, quelle persone che avevano di fronte a loro una progettualità e questa progettualità gli ha permesso poi di andare avanti nella vita e come dire…ed erano tesi verso qualcosa. Allora una persona che viene da me e che ha sviluppato un sintomo…quel sintomo di per se è insignificante; allora un altro direbbe prenda questo farmaco e questo sintomo scompare, ma sarebbe un tradimento perché quel sintomo vuol dire qualcosa
IL PROCESSO DI INDIVIDUAZIONE
Il processo di individuazione potrebbe essere proprio lo specifico della psicologia junghiana, potrebbe essere lo specifico della sua terapia. Noi per esempio parliamo con un linguaggio e questo linguaggio in linea generale noi l’abbiamo mutuato dalla nostra famiglia, dal nostro posto, dalla nostra città. Questo linguaggio ha una sua musicalità, ha una sua melodia per cui è possibile, non bisogna neanche essere molti esperti, comprendere subito non appena una persona apre bocca, se questa persona appartiene alla Campania, se appartiene invece alla Sicilia o se appartiene al Veneto. Ora la domanda così importante che ci dobbiamo fare è questa: quelle persone che parlano, io non parlo del dialetto ma della musicalità, che parlano con accento veneto , oppure siciliano o di un’altra regione, non hanno fatto nessuno sforzo ad apprendere questa musicalità. Per il fatto di vivere li, loro non possono che parlare con la musicalità veneta o siciliana e questo è molto evidente. Ma è meno evidente invece un altro fatto: è che noi come abbiamo assorbito questa musica del linguaggio abbiamo poi assorbito altre cose, per esempio gli atteggiamenti, abbiamo assorbito i valori psicologici della situazione che vivevamo in quella famiglia, in quella città, in quella nazione. La domanda di Jung è questa: ma è proprio vero che questi valori che io ho assunto sono i miei, sono i miei quelli proprio personali che sono in un certo senso legati alla mia vita? Oppure sono delle cose false di cui io mi sono appropriato, come mi sono appropriato ripeto della musicalità della mia lingua, del mio linguaggio. E allora alla luce di quanto ho detto si può capire che cos’è il processo di individuazione, è praticamente, via via, una differenziazione da valori esterni Jung chiamerà valori collettivi che appartengono un pochino a tutti, per poter poi ritrovare invece dei valori molto più autentici, veri e soprattutto fondamentali per la mia vita che Jung chiamerà appunto valori individuali. Tutti hanno dei valori individuali, ma quante sono le persone che fanno questo sforzo di riconoscere come sia necessario liberarsi invece dai valori collettivi che ci sommergono.
Quando per esempio io parlo con un mio paziente, molte volte io mi chiedo ma chi sta parlando? E’ proprio per me talmente ovvio che quello che sta dicendo non gli appartiene è proprio come dire, fuori fase, è stonato e allora dico chi sta parlando? Parlerà il padre, parlerà la madre, parleranno altre persone per lui. Lui naturalmente ha dovuto assimilare queste cose e quindi mi propone una serie di valori che non gli appartengono e allora quello che è interessante è che lentamente, molto lentamente tutto lo sforzo del nostro lavoro va proprio verso un processo che permetta all’individuo che fino a quel momento era stato un certo senso diviso, diventare unico, individuo significa non diviso, unico. Quindi una coerenza interna che permetta allo stesso individuo di essere finalmente padrone delle sue motivazioni, padrone dei suoi valori e soprattutto responsabile della sua vita. Perché poi il problema è tutto qui, noi viviamo un esistenza che è condizionata dagli altri. Ora molte volte il condizionamento degli altri può essere anche positivo, la nostra vita è una vita di individui che hanno rapporti, non possiamo fare a mento del resto del mondo, per carità; ma noi tanto possiamo essere quello che siamo se cediamo per un aspetto peculiare della nostra vita, perché poi è quello che è necessario avere per la nostra salvezza psichica, ma è anche vero che però questa differenziazione della quale noi poi diventiamo artefici, è quel tipo di differenziazione che fa paura. A me fa sempre piacere citare che le grandi persone che hanno lasciato l’impronta nella nostra vita molte volte hanno pagato questa forza e questa dimensione di unicità, pensiamo a Socrate che è uno di quei rappresentanti della storia del pensiero che ha pagato con la sua vita la sua dimensione originale; ma pensiamo più recentemente agli scienziati, pensiamo a Galileo che segue una strada, capisce che il mondo può essere compreso in termini completamente diversi da come si voleva comprendere il mondo. E allora lui rischia il rogo, rischia di essere torturato; cioè non c’è diciamo scienziato, non c’è persona che abbia portato nella vita una dimensione di novità che non abbia dovuto pagare un prezzo molto alto.
Vorrei proprio terminare parlando per esempio di Picasso. Picasso a un certo punto rompe l’immagine pittorica e ci offre un’immagine completamente diversa e crea proprio la pittura moderna. E Joyce a un certo punto rompe con la tradizione del vecchio romanzo e ci porta Ulisse e allora tutto diventa diverso, ma chiediamo a Picasso e chiediamo a Joyce quale prezzo hanno dovuto pagare.
Trascrizione di Alberto Perillo, Dottore in Psicologia