“Ci vuole più coraggio per dimenticare che per ricordare.”
Sören Kierkegaard
Arriva con uno sguardo spento, triste. Con lei ha il suo bambino di 13 mesi. Si siede davanti a me ed iniziamo a parlare in italiano, fa fatica e mi chiede di parlare in inglese. Mi racconta che è riuscita da poco ad inserire il suo bambino in un nido e che ha ricominciato a frequentare la scuola di italiano che aveva interrotto appena prima di partorire. E’ arrivata dal mare con il suo bambino ancora in grembo e con il compagno che ha sposato appena dopo la nascita del piccolo. Vivono in tre in una stanza mentre ha lasciato altri due bambini in Niger che non vede da un anno. Mi chiede di poter accedere alla farmacia gratuita del centro presso il quale sono volontaria, cerco di capire come mai non possa averli gratuitamente perché dovrebbe avere il Permesso di soggiorno, allora mi mostra un documento che dichiara il diniego della sua domanda di asilo. Dopo il diniego c’è l’espulsione in 30 giorni e nessuna tessera sanitaria. Il bambino ha dei sintomi di raffreddamento e lei ha bisogno di medicine.
Mi dice che il marito è ormai irregolare da anni e che vende i calzini per strada ma i soldi che guadagna sono insufficienti per poter provvedere alla loro sussistenza. Mi chiede dove poter avere dei pacchi viveri e così ci accordiamo con una collega per farla accedere all’emporio dell’organizzazione. Mi dice che vuole imparare l’italiano e poi lavorare. E’ un attimo, ci guardiamo, i suoi occhi si riempiono di lacrime e finalmente si permette il lusso di piangere un po’. Si nasconde e china il capo sulla scrivania.
Il mio corpo si alza senza che io lo comandi si va a sedere accanto a lei. Ci abbandoniamo ad un abbraccio intenso nel quale cerco solo di trasmetterle il mio essere lì per lei per sostenere, con un malcelato imbarazzo ed una consapevole finitudine, il suo dolore e la sua paura. Mi parla dei suoi bambini rimasti in Africa, del fatto che è stanca e che ha paura di non farcela.
Ci guardiamo ancora senza parlare. Dentro di me le dico che è forte, che se ha fatto tutta quella strada è perché dentro di lei c’è una forza più grande della disperazione. Cerco anche di dirglielo ma quello che sento più importante è non dire proprio nulla e lasciare che le emozioni siano libere di esprimersi.
Poi le spiego che è importante che segua la sua pratica per il ricorso in tribunale, che passo dopo passo le cose potrebbero cambiare e che un giorno questi momenti potrebbero essere solo un ricordo.
Quell’istante di niente e di esserci è stato tanto forte per me quanto liberatorio per lei e finalmente nel suo viso spunta un sorriso aperto e luminoso. La più bella emozione che mi sono portata a casa è stata quella di averla vista sorridere di aver sentito che quel breve incontro le aveva fatto lasciare lì un po’ del peso che aveva dentro.
Non voglio dire che possiamo essere altruisti con tutte le persone che ci chiedono l’elemosina o che ci vorrebbero vendere qualche mercanzia, siamo occidentali del neonato XII secolo e poco e per nulla ricordiamo quando ad essere bisognosi eravamo noi, mentre siamo concentrati nelle nostre fatiche e frustrazioni quotidiane. Non voglio dire che loro abbiano più bisogno di noi, purché sia vero perché sarebbe solo demagogia. Voglio solo dire che dovremmo avere più coraggio di guardare i loro visi quando li incontriamo per strada o quando ci avvicinano, perché dietro quei visi e dietro quegli sguardi ci sono storie, un mondo e situazioni esistenziali immense ed assurde che meritano almeno rispetto, silenzio e un saluto dignitoso.
Voglio solo dire che siamo persone tra persone, cattivi, buoni, persi e convinti, mescolati nel destino di vivere e sopravvivere.
Ho rivisto P. pochi giorni fa, quasi un anno dopo. Subito non ci siamo riconosciute (aveva un colloquio con un’altra collega per accedere all’emporio dell’organizzazione) ma poi i nostri sguardi si sono incrociati di nuovo e ci siamo riconosciute. E’ stato un momento magico, ci siamo abbracciate e strette ed in quell’abbraccio ci siamo ritrasmesse tutta l’energia che avevamo. A distanza di un anno mi è sembrata più serena e con una bella luce negli occhi.
Viviana Biadene
Viviana Biadene è professional counselor ad indirizzo olistico, art-counselor ed esperta di dinamiche familiari e di coppia. Lavora come volontaria presso il Centro di Ascolto per Stranieri di Caritas Roma, e collabora con diverse Associazioni ed Accademie di Roma dove tiene corsi e laboratori di espressione artistica per la crescita personale. Appassionata lettrice dei testi di Aldo Carotenuto, amica sostenitrice del CSPL. E’ pittrice acquarellista ed ha esposto a Roma in 3 collettive.
Indirizzo mail: viviana.biadene@libero.it