Franco Fornari, Coinema e icona, Nuova proposta per una psicoanalisi dell’arte, Il Saggiatore, 1979.
a cura di Antonella Giurgola
Nell’introduzione di F. Menna viene anticipata la linea verso cui si muove la proposta di Fornari e cioè l’ambivalenza dell’arte, questa compresenza di uno stato diurno e di uno notturno appartenente al linguaggio, immaginario e reale, che l’autore descrive come una marcia a delfino: un movimento del giorno e della notte, che permette all’espressione artistica del susseguirsi fluido dall’una all’altra parte di questa superficie. In questa Marcia a delfino degli aspetti dicotomici dell’arte, ad un certo punto si passerebbe attraverso una soglia di confine che separa e subito riunisce il sopra e il sotto, lo stato diurno e lo stato notturno del linguaggio, e che permetterebbe di realizzare un equilibrio tra queste, ma che caratterizzerebbe anche il luogo del tragico.
A partire da questo duplice statuto dell’arte, come del discorso umano, entrano in gioco il piano dell’arbitrarietà del segno ( linguaggio lessicale – operativo iconico ) e il piano delle motivazioni profonde, dell’inconscio ( linguaggio affettivo – coinemico ). Fornari indica col termine coinema le strutture elementari, le più piccole unità di significato degli affetti.
Il segno pittorico sarebbe così motivato e sovradeterminato da referenze affettive arcaiche, che all’interno della forma e del colore da possbilità di distinzione dell’àpeiron, cioè della condizione primordiale della realtà in cui tutti gli elementi non si distinguono ma appartengono ad un unico stato indefinito: l’àpeiron è l’Archè, il principio di tutte le cose.
Si tratta dunque di unità elementari del significato emotivo e affettivo, intese come pre – immagini che vanno aldilà della storia, della nascita, che non hanno tempo, ma che possono afferire a svariati linguaggi che riuniti formano un unico linguaggio universale, che acquista un suono di profondità.
Così la produzione di segni si muove verso l’infinito.
In riferimento alla teoria Psicoanalitica, il linguaggio iconico parte necessariamente dal sogno.
Perché il sogno possa diventare linguaggio, cioè possa essere raccontato, è necessario che il sognatore sia sveglio.
Freud ha mostrato che il sogno, come il linguaggio notturno, acquista senso in quanto viene collegato al linguaggio diurno; ma a questo proposito vale la pena di prendere in considerazione il contrario, e cioè: se non ci fosse il collegamento col linguaggio notturno, il linguaggio diurno non perderebbe forse gran parte del suo significato?.
Il collegamento sogno-veglia avviene di solito attraverso il ricordo, ed il ricordo al tempo stesso è generato da un desiderio, il desiderio a sua volta da un affetto.
A questo punto, la produzione del segno pittorico sarebbe riferibile alla riproduzione di una esperienza “sognata”.
L’interpretazione del segno/sogno è senza tempo.
Il sogno viene vissuto da colui che lo genera come una scena senza tempo; il sognatore non lo vive come qualcosa che per lui sta al posto di qualcos’altro o come una scena che ne rappresenta un’altra.
Finchè il sogno è sognato non può essere “segno” perché ancora non è divenuto rappresentazione. Non può essere segno perché non rimandando a qualcos’altro non può instaurare una relazione significativa.
In analogia, quando l’artista è nel quadro, cioè nel momento in cui viene prodotto il segno, la sua produzione non può essere segno perché ancora non fa riferimento ad una sua più intima rappresentazione, o relazione rappresentativa.
Allora anche il quadro andrà compreso da sveglio ( Processo Primario).
Fino a quel momento, finché ancora è sognato, rimane un’allucinazione.
La rappresentazione non è una imitazione di qualcosa, ma funzione della realizzazione del desiderio.
L’idea che l’arte sia collegata ai processi penosi è evidente rispetto alla presenza, in letteratura, di diverse esperienze penose collegate alla biografia dei pittori.
Ma se la cura si incammina verso la produzione di segni ( e quindi il passaggio dal ricordo all’oblìo è il momento patogeno), allora la rappresentazione di quel ricordo rimosso è il momento terapeutico.
Ma l’uomo può reagire al fatto penoso (incubo) in due modi: rappresentandolo o negandolo. Quindi nell’uomo esiste sia la tendenza a produrre segni per trasformare e rendere rappresentabile qualcosa, sia la tendenza a negare la produzione di segni negando la più attuale realtà.
Questa ipotesi potrebbe essere utile per spiegarsi come mai l’ispirazione artistica non è mai controllata e costante ? E cioè, potrebbe spiegare il motivo per cui l’artista oscilla tra momenti di piena creatività a momenti di totale inattività?
Le emozioni sono un fatto naturale.
La capacità di trasformare le emozioni umane in emozioni estetiche richiede una particolare sensibilità rispetto al rapporto tra linguaggio coinemico naturale e linguaggio culturale. Questa particolare relazione ha la funzione di dare nome alle emozioni in un processo che, lungo un continuum, parte dalla relazione tra forma e sostanza dell’espressione alla relazione tra forma e sostanza del contenuto.
Il quadro diverrebbe l’occasione per esorcizzare i conflitti con gli stessi strumenti utilizzati per evocarli, proprio perché il significato coinemico non può prescindere dal suo significante iconico.