Uomini che uccidono donne

in Giornale Storico del Centro Studi di Psicologia e Letteratura, 14, Giovanni Fioriti Editore, Roma, 2012 – Estratto

l’uomo arriva al suo impossibile appuntamento con l’eterno femminino, all’insostenibile rendez-vous con le Madri, in preda a una quadruplice ferita che per lo più non sa portare dentro. Dopo quelle inferte da Copernico (la terra non è al centro dell’universo), Darwin (l’uomo discende dalla scimmia) e Freud (l’uomo non è padrone a casa sua), Ferenczi ha concepito una quarta ferita che ha a che vedere con l’intelligenza. L’intelligenza non è una proprietà dell’uomo. L’intelligenza si rinnova e si rigenera attraverso il ritmico fluire dell’Io nell’universo. Soltanto l’universo è onnisciente e perciò intelligente. Lo psicoanalista ungherese ipotizza l’esistenza di una quarta ferita narcisistica anche in relazione alla trasmissione del pensiero attuata da persone sofferenti. Ne consegue che la rigenerazione dell’intelligenza va posta in relazione col principio femminile.

Esiste anche una quinta ferita sulla quale Ferenczi avrebbe potuto dire non poco a partire dalla propria concezione della genitalità. La quinta ferita riguarda un modo strutturalmente diverso di accedere al godimento da parte delle donne e degli uomini. Anche in questo caso può sembrare paradossale che l’uccidere donne rinvenga nell’accesso al godimento una sua ragione seminale. Intanto va detto che nessuno dei godimenti, maschile e femminile, va a tutto l’altro. Non ci troviamo neanche qui in presenza di complementi, di incastri, di oggetti che turano falle. Ogni falla è infinita e si bea della sua infinità: una bocca spalancata che è angoscia per il principio maschile.

Proprio sul piano del godimento il femminile ci si mostra meno soggetto del maschile all’angoscia. Lo sapeva Tiresia, interrogato dagli dèi, e lo ripete Lacan. Alla donna, dice, non manca niente. Il suo “è”, aggiungo io, eccede l’“ha” del maschile, elicitando in esso l’angoscia di non avere. In altri termini: l’essere (il conciliare) del femminile esercita una pressione pressoché insostenibile sull’avere (l’affermare) del maschile.

Il godimento non è mai tutto, non vuole saperne di soggiacere a quel principio di conciliazione che Ferenczi legge come proprio del femminile. Per questo, dice Lacan, la donna non è tutta. Non è tutta perché il suo godimento è dell’ordine dell’infinito. Il volto di Dio, dice cabalisticamente orientato, è sostenuto dal godimento femminile. Anche qui si dà ferita e anche qui lontanamente riposano radici dell’uccidere donne.

Abstract

Gli uomini che uccidono donne sono figli di donne. Nell’uccisione delle donne parrebbe dunque circolarmente celebrarsi un mistero del femminile. Un mistero che ha non poco a che vedere col mito della Genesi secondo cui Eva, la prima donna, sarebbe nata da una costola di Adamo, il primo uomo. Già a suo tempo Rank aveva ribaltato il mito sostenendo che ci troviamo al cospetto di una madre Eva e di un figlio Adamo e, dunque, anche, di un incesto alle origini della storia dell’umanità. Come si arrivi di qui all’uccisione maschile delle donne costituisce l’oggetto del presente articolo, nel quale la posta in gioco è un’eccedenza del desiderio femminile rispetto alla costitutiva incapacità o noluntas del maschile di abbracciarlo. Uccidere donne può significare l’estremo agito che immaginariamente consente a un uomo di venir a capo dell’insostenibilità di questa eccedenza.

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L'autore
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Giorgio Antonelli