EDITORIALE
Alla radice di ogni nostra azione c’è, sempre, il tema della scelta. L’intera esistenza è determinata, e potremmo dire condizionata, dal dover scegliere e, anche quando decidiamo di non scegliere, in fondo abbiamo scelto. Operare scelte vuol dire risolvere conflitti, oppure conciliare opposti: scelte della mente, del cuore, delle opportunità, oppure della necessità.
Come si può vedere è un tema centrale della nostra vita, è un conflitto tra due aspetti, eventi, situazioni, che si incontrano e scontrano. Abbiamo due opzioni, agire oppure riflettere, poiché di fronte ad ogni ‘bivio’ si accende un antico conflitto. Tra ragione e istinto, impulso e controllo.
Ma ‘chi’ compie in noi la scelta? Spesso ci illudiamo di scegliere ‘in piena autonomia’, poiché qualcosa in noi ci dice che siamo nel ‘giusto’. Ma quanto siamo condizionati nelle scelte? Inoltre, ogni qualvolta dobbiamo scegliere attraversiamo quella fase della ‘crisi’ (dal greco: [krisis] scelta, da [krino] distinguere). Si impone con forza un cambiamento.
E’ il momento di Ananke, la necessità, è ’il momento della distinzione, della valutazione, e della direzione da prendere, e il verbo krino indica proprio questo passaggio: distinguere per arrivare ad una decisione che sia il più aderente possibile, non solo alla nostra concezione del mondo, della vita e dello sviluppo che abbiamo raggiunto, ma anche alle necessità del momento.
Abitualmente si pensa che il ‘luogo’ delle decisioni sia la mente, ovvero il pensiero razionale. In realtà molto più spesso le decisioni si prendono col cuore e perfino con l’intestino.
Nelle scelte governate dal sentimento, molte volte abbiamo sentito queste frasi: “Al cuor non si comanda” oppure “Il cuore ha le sue ragioni che la ragione non conosce”. In realtà accade che il cuore dice una cosa ma la testa un’altra, e non sappiamo cosa fare. Il cuore non conosce gli ‘effetti anticipati dell’azione’. La dimensione del ‘cuore’ è l’immediatezza.
Direttamente collegata al ritmo, alla ripetizione, all’attimo, alla sequenza aperto/chiuso (sistole/diastole). Quando diciamo ho avuto un tuffo al cuore, stiamo ‘sentendo’ la forza di qualcosa d’immediato che agisce in noi. Il cuore nelle due fasi, sistole e diastole, in realtà un’apertura ed una chiusura, obbedisce ad un ritmo che, in condizioni di normale funzionamento, si sussegue e si ripete per tutta la vita.
Al cuore abbiamo attribuito le qualità e la forza del sentire, un collegamento diretto con le emozioni e le passioni. Alla mente, invece, il ruolo di un pensiero che discrimina, valuta, ed ha la capacità di decidere; l’organizzazione del pensiero, e le collocazioni nella memoria, degli eventi vissuti, dell’ordine di sequenza temporale, e del significato che hanno assunto per noi, nel tempo.
Sembrerebbe una formidabile banca dati per decidere sulle azioni da compiere, e le direzioni da prendere. In questo senso, seguendo le regole date e le competenze acquisite, non dovremmo mai commettere errori, e invece, ogni volta, di fronte ad una scelta, entriamo in uno stato aurorale, che ci confonde.
A volte, riesce perfino ad arrestare ogni azione. Non sono sufficienti le valutazioni fatte o le esperienze vissute, inizia l’altalena del dubbio e la paura di sbagliare. Il sopraggiungere delle emozioni complica ulteriormente le cose: ora, se compito di una ragione che si oppone al libero sentire (arbitrio?), è controllare quelle emozioni, che all’improvviso sentiamo con forza prorompente occupare lo spazio delle nostre percezioni e sensazioni, compito del cuore è accettare e sperimentare quel libero sentire, correndo il rischio di cadere nell’errore o nella sofferenza.
Entrambe le dimensioni si pongono in quella dinamica che ci accompagna e ci condiziona durante tutta la vita: la dinamica della dualità. In fondo soltanto in due occasioni non scegliamo: la nascita e la morte. Poiché nascere non è un atto deliberato dalla nostra volontà: la nascita ‘ci accade’ ed avviene tramite un’espulsione: da dentro (il corpo della madre) a fuori (il mondo).
E’ l’inizio della dualità: da quel momento in poi, avvenuta la separazione dal corpo della madre, ci saranno due corpi, condizionati, e regolati, da due dimensioni: quella del tempo, e quella dello spazio. Assumiamo una forma fisica, un corpo di carne, ma, come ci suggerisce Jung,
‘Se siamo qualcosa, siamo Psiche’.
Il corpo di carne, ha una scadenza che non conosce. Ce lo ricorda il motto evangelico di Matteo (Mt 24, 44): “estote parati quia nescitis diem neque horam ..”. Anche per l’ora della morte non siamo noi a decidere: è la Natura, a decretare che quel ciclo vitale si è compiuto, anche se, nel caso della morte, in fondo, abbiamo una terribile opzione di scelta: il suicidio. Ovviamente non è questa la sede idonea ad aprire un discorso sul tema poiché concorrono, all’attuazione di quella scelta estrema, numerosi fattori che intervengono ed interferiscono.
Operare scelte, quindi sembra essere conditio sine qua non, della dimensione umana.
Queste brevi considerazioni per introdurre il lavoro di quanti hanno contribuito a rendere ricco questo numero, aiutando il lettore a spaziare in una molteplicità di letture, tramite le quali, il Giornale Storico di Psicologia e Letteratura, prosegue nella mission fortemente voluta dal suo fondatore, Aldo Carotenuto. Una nota doverosa: poiché nel numero precedente, per un disguido tecnico, non è stato possibile inserire l’articolo di Antonio Dorella, lo pubblichiamo volentieri adesso, insieme all’articolo che aveva scritto per questo numero.
Il Direttore
Amato Luciano Fargnoli