in Giornale Storico di Psicologia Dinamica, 54, Roma, Di Renzo Editore, 2003 – Estratto
La tesi freudiana secondo cui i sogni sarebbero esaudimenti mascherati di desideri rimossi, specie se presa alla lettera, può tuttavia far passare sotto silenzio il fatto che a desiderare, per Freud, non è soltanto Eros ma anche Thanatos. Il sogno diventa così un possibile luogo dei soddisfacimenti di Thanatos. Non soltanto sarebbe il sogno, come pure è stato affermato, un soggiorno di Dio, sarebbe anche il soggiorno di Thanatos. Di notte diventeremmo il ponte, la passe dei suoi soddisfacimenti. Ma non è soltanto questo il punto. Contrastando la tesi freudiana, e criticato dai freudiani, Angel Garma ha ipotizzato che gli unici fattori genetici del sogno, ovvero originatori dell’esperienza allucinatoria di chi sogna, sarebbero le situazioni traumatiche. Al momento di dormire l’Io non è in grado di sostenere i contenuti rimossi, ovvero di opporre validamente alle loro cariche le proprie indebolite controcariche. In base a questo scarto, a questa impossibilità dell’Io di padroneggiare la situazione, la rimozione (ovvero la difesa dell’Io) non regge e si creerebbe una situazione traumatica. Ad essa, nell’impossibilità di reagire altrimenti, si risponde con la scissione. Trauma significa, appunto, ferita, divisione in due e, aggiungiamo, anche in tre, in quattro. Garma contesta che tale tesi si trovi in Freud, sebbene c’è chi si è dichiarato pronto a sostenerlo (Robert Fliess) a partire dalle tesi esposte dal padre della psicoanalisi in Al di là del principio di piacere.
Forse ha ragione Garma, ma nel senso che la derivazione del suo assunto è presumibilmente da rinvenire in Rank e Ferenczi. Il maestro ungherese, in particolare, aveva a suo tempo esposto una concezione traumatolitica del sogno in una splendida annotazione del 26/3/1931. Annotazione breve e che, comunque, Ferenczi riteneva costituire una revisione dell’assunto freudiano secondo cui la funzione del sogno sarebbe quella della soddisfazione di un desiderio rimosso, ovvero «la trasformazione di un resto diurno spiacevole che turba il sonno». Quando però si analizza la consistenza di quei resti diurni, si scopre che essi non sono altro che sintomi che ripetono traumi. Il sogno viene allora concepito da Ferenczi come traumatolitico, ovvero come un tentativo di dare una soluzione migliore ad eventi traumatici.
In realtà, secondo Ferenczi, è come se sognassimo due sogni: nel primo viviamo un’esperienza puramente emotiva, priva cioè di contenuti ideativi (sogno primario), nel secondo (sogno secondario, sogno di deformazione) il trauma accederebbe a una prospettiva di soluzione. Se non fosse così, se non fosse deformato, distorto in senso ottimistico (in virtù del prodursi di quella che Ferenczi chiama «scissione narcisistica»), il sogno non accederebbe alla coscienza. Il sogno primario corrisponde a un sogno senza immagine, privo di scena onirica. Ora, se è senza immagine, è qualcosa di simile a un derivato della morte. Il senza immagine per eccellenza è del resto Ade, l’invisibile. Ferenczi non ne ha parlato, a dire il vero, in questi termini. E, comunque, non è mancato chi ha voluto spiegare il sonno e il sogno nei termini di un conflitto tra pulsione di morte e pulsione di vita. Il sonno equivarrebbe a una morte vivificata dai sogni, laddove la morte meriterebbe la definizione di un sonno senza sogni, appunto. Ma anche la ripetizione, potremmo dire, è uno dei volti della morte. E, allora, l’aspetto di ripetizione del sogno primario di Ferenczi può essere interpretato come l’insistente entrare della morte nella vita.
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Nel lavoro del sogno proposto da Ferenczi si tratta di rivivere, ripetere la passività a suo tempo imposta dal trauma. Se c’è, come lo chiama Ferenczi, un fine terapeutico dell’analisi del sogno (dal momento che l’eccesso di sapere dell’analista è una resistenza all’analisi e l’interpretazione è, per così dire, soltanto propedeutica alla reale analisi del sogno, quella che deve confrontarsi con l’odio), esso consisterà nel rendere accessibili le impressioni sensoriali con l’aiuto di una trance profonda. Profonda nel senso di una regressione al di là del sogno secondario e intesa a far rivivere, ripetere, nel luogo dell’analisi, gli avvenimenti traumatici. Si tratta qui per alcuni versi della possibilità di sperimentare, a partire dal sogno, la morte in analisi e dunque del modulo analitico della rinascita (così presente nei lavori di Rank, oltre che di Jung), un modulo che sarei portato a definire artemideo, in omaggio alla dea che aiutò la madre Latona a partorire Apollo. In omaggio etimologico a quell’essere la dea una che taglia al momento giusto. E non importa se l’etimologia, implicita nel nome, non è scientifica, dal momento che comunque mira a un sapere e, dunque, a una morte.
Per altri versi Ferenczi, se ripensato nell’interstizio analitico che lo separa da Freud e da Jung, consente di tipologizzare gli analisti del sogno in centripeti e centrifughi. Tale tipologizzazione potrebbe essere ripensata, anche, alla luce delle junghiane, generalissime, categorie introverso e estroverso. E ciò a maggior ragione se si pone mente al fatto che, in occasione della conferenza tenuta al congresso psicoanalitico di Monaco nel 1913 sulla questione dei tipi psicologici, lo stesso Jung definì la differenza tra la teoria di Freud e quella di Adler in termini di, rispettivamente, «aspirazione centrifuga al piacere nell’oggetto» e «aspirazione centripeta al soggetto».
Nel caso del sogno, tuttavia, la dicotomia centrifugo/centripeto appare più appropriata. Tanto più che non mi sembra affatto pacifico che un analista estroverso adotti, nei confronti delle immagini oniriche, un atteggiamento centrifugo, né che un analista introverso adotti un atteggiamento centripeto. Del resto noi possiamo pensare al sogno come a un fuori o come a un dentro o come ad ambedue i luoghi in momenti diversi.
L’analista centrifugo tende a privilegiare le libere associazioni e l’interpretazione, l’analista centripeto sta sull’immagine del sogno, con l’immagine del sogno, non cede la propria presa su di essa e, nel far ciò, tende a privilegiare l’esperienza piuttosto che l’interpretazione, si muove nel qui e ora e non lascia al paziente di scostarsi dal qui e ora.
In questa inedita tipologizzazione starebbero coi centrifughi Freud e la maggior parte dei freudiani, centripeti sarebbero invece Ferenczi (e i suoi derivati ipnoterapeutici), Jung, gli psicoterapeuti gestaltisti e, anche, Bion. Il quale ultimo, sia detto per inciso, mi sembra un incognito e presumibilmente inconsapevole continuatore del discorso ferencziano. Incognito e inconsapevole dal momento che la psicoanalisi ufficiale sembra aver dimenticato che Melanie Klein è stata iniziata alla psicoanalisi dal maestro ungherese prima che da Abraham. Si respira una forte aria di continuità tra le annotazioni di Ferenczi sopra riportate sulla funzione traumatolitica del sogno e le cogitations di Bion sul «lavoro-del-sogno» pubblicate postume e che riguardano un periodo compreso tra il 1958 e il 1978, l’anno immediatamente precedente alla morte dello psicoanalista angloindiano.
Nella stessa prospettiva possono essere inserite le considerazioni che la kleiniana Hanna Segal muove sulla funzione dei sogni. La teoria classica freudiana presuppone secondo la Segal che ci sia un Io relativamente forte. Se infatti Freud definisce il sogno come soddisfacimento di un desiderio rimosso, si deve ritenere che sia questo Io relativamente forte a rimuovere. La rimozione è insomma funzione della forza dell’Io. Tale capacità di rimuovere, però, implica anche quella di rielaborare e simbolizzare. Ciò in perfetta consonanza con l’equazione stabilita tra rimosso e simbolizzato, dal momento che soltanto ciò che è rimosso, come afferma Jones, richiede il simbolo. Questo tuttavia non è sempre il caso. Non lo è ad esempio se i pazienti-sognatori sono psicotici, borderline, psicopatici. Nel caso in cui sia predominante l’identificazione proiettiva, L’Io vive in regime di confusione con l’oggetto. Dal momento che Hanna Segal ritiene che il simbolo sia una creazione dell’Io, ne consegue che simbolo e oggetto diventano una cosa sola dando origine a quello che l’autrice chiama pensiero concreto. Perché il simbolo ridiventi rappresentazione e cessi l’identità occorre elaborare la posizione depressiva, ovvero accettare il dolore che viene dalla separazione dall’oggetto. Il rimosso diventa qui il dolore e il simbolo il precipitato, la deriva, il trascinamento di un processo di lutto.
Ciò non vale, come s’è detto, in tutti casi. Dove il meccanismo predominante è l’identificazione proiettiva (elaborazione kleiniana dell’idea di Freud di una estroflessione originaria della pulsione di morte), la funzione assolta dal sogno (che dovrebbe consistere nel contenimento e nell’elaborazione dell’angoscia) diventa quella di evacuare, come feci, come urina, parti sgradite del Sé, ovvero frammenti di dolore. Il che avviene assai caratteristicamente con quei pazienti i quali inondano l’analista di sogni in un modo che si rivela distruttivo per l’analisi. Ciò che va sottolineato nell’assunto della Segal è che parlare di angoscia significa comunque parlare di estroflessione originaria della pulsione di morte. Se la pulsione di morte esce, per così dire allo scoperto, lo fa come angoscia. Il sogno, in questa prospettiva, provvede a contenere ed elaborare questo precipitato della pulsione della morte che è l’angoscia, là dove per elaborare può essere legittimamente inteso un saper abitare la morte.
Volendo ridefinire quanto precede nella prospettiva di quegli dèi che dall’origine informano gli stili degli analisti si potrebbe affermare che l’analista centrifugo opera nella prospettiva di Apollo, mantiene le distanze, e anche le distanze dall’immagine. Traduce l’immagine e tradurre l’immagine significa tenerla a distanza, tenersene a distanza, portarla altrove. Il sogno è, per così dire, una sua creazione, un oggetto di contemplazione, sta fuori. L’analista centripeto opera nella prospettiva di Dioniso e, come sappiamo da Eraclito, Dioniso è uno con Ade. Lavorare nella prospettiva di Dioniso significa controtransferare il sogno, ovvero, come direbbe Bion, sognare l’analisi (e l’analisi del sogno) mentre l’analisi (e l’analisi del sogno) avviene.