a cura di Alessandro Martina
Syd Barrett è un’altra delle figlie di Lewis Carroll. Esattamente come Alice, sperimenta il sogno senza paura per le categorie della realtà che, come tanti Caronte, impediscono alle persone ‘normali’ di varcare il confine, lanciarsi tra le fiamme, bruciare all’inferno.
In una delle sue canzoni più famose, assume il ruolo di narratore e ci racconta dell’inconscio di Emily. La canzone comincia con un fallimento; Emily prova a fare qualcosa senza successo, qualcosa le sfugge. A che cosa fallisce Emily? Evidentemente fallisce nell’essere se stessa, se il passo successivo sarà quella di “prendere in prestito i sogni di qualcuno fino a domani.”
L’inconscio non è di nostra proprietà; è un posto in cui siamo mischiati ad altri. Segue delle regole differenti. Emily deve prendere in prestito i sogni di qualcun altro, esattamente come Alice, che in Attraverso lo specchio si convince di essere parte del sogno del Re.
Emily scivola nel sogno di qualcun altro perché fallisce nel compito di essere se stessa, cosi prende in prestito i sogni di qualcun altro fino a domani. Ma non c’è un domani.
A Barrett piace giocare coi paradossi. Il suo suggerimento è quello di essere qualcun altro fino a domani pur sapendo che non c’è un domani. Anche questo ricorda un passaggio divertente di “Attraverso lo specchio” in cui la Regina dice pressapoco cosi:
avremo marmellata domani e marmellata ieri, ma mai oggi.
L’inconscio proietta se stesso in una dimensione temporale in cui il presente è impossibile da vivere (rappresentando il tentativo fallito di essere noi stessi) mentre il futuro è semplicemente non-esistente. Infatti senza un’identità che ha successo nel rappresentare se stessa nel presente, non si può dare nessun futuro.
La seconda strofa risulta essere invece la conseguenza diretta di un passato che non conosciamo. Emily piange in questo momento, nell’immediato; ma quello che la porta a piangere è già accaduto nel passato “soon after dark”. Questo passato la tiene imprigionata in un meccanismo che non conosciamo. E passato è velato. Lei guarda fra li alberi, lei vede qualcosa che le procura dispiacere.
Gazing through trees in sorrow hardly a sound till tomorrow
Qualcosa di non raggiungibile, una parola non pronunciabile, inudibile. Tutto viene lasciato a desiderare. Lei è in una selva oscura, chiaramente sinonimo di errare e di errore, nell’immaginario letterario inglese come in quello italiano. L’ultimo verso è rivelatorio. Emily mette un abito che raggiunge il suolo. E il fantasma di stessa, non ha mai raggiunto la realtà, è solo un fantasma, un desiderio di sé. Indossa un lunga gown che tocca il suolo: è un fantasma o un hippie (fantasma del capitalismo).
Put on a gown that touches the ground
L’abito lambisce la terra, e questo sta a simboleggiare la sua fantasmagorica connessione con il mondo della natura, la sua umiltà, la sua persistenza naturale, tutta terrestre.
E un fantasma. Non ha futuro se non infinito, non ha un passato se non indefinito. Si trova fuori dal tempo cronologico. Fluttua in un fiume; azione che simboleggia l’indefinita mutabilità del presente. Lei non è qui e non lì. Lei non sfiora la terra come tutte le persone ordinarie; lei fluttua come i morti. Il ritornello distorce la nostra idea di tempo.
Barrett adesso canta quella che potrebbe essere la soluzione ai problemi della ragazza; la incoraggia a perdere (lose) o allargare (loose) la sua mente. Questo della parole omofoniche è un classico scherzo alla Lewis Carroll. Naturalmente, non sappiamo quanto voluto da Barrett stesso. In ogni caso, perdere o allargare gli orizzonti della propria mente, è l’unica cosa da fare. Il ritornella continua e “giochi liberi a maggio” [free games on May] è un’altra frase paradossale, che ricorda molto gli amici meravigliosi di Alice in Wonderland.
Probabilmente, la bambina si chiederebbe perché i giochi non dovrebbero essere liberi? E perché dovrebbero essere liberi solo nel mese di maggio? E l’inconscio o la realtà a dettare le regole e mettere dei confini alle nostre azioni?
Molte sono le questioni che si aprono a partire da questo refrain. Quali sono i giochi che allargano o fanno perdere la testa? Sono legati al tempo? Hanno qualcosa a che fare con l’eterno presente in cui Emily sembra confinata? Vediamo cosa dice dopo. L’ultimo verso è un comando, dice “guarda Emily giocare”. [see Emily play].
Quindi, infine, una forma di riconciliazione è avvenuta. La ragazza allarga-perde la sua mente e gioca. Certo, non sappiamo se questo accade, accadrà o è già accaduto. Non possiamo svelare il suo inconscio; l’ultima immagine che abbiamo di lei ci mostra una ragazza, o una donna, galleggiare in un fiume. Forse trascinata dalla corrente, forse fluttuando su di essa.
In ogni caso siamo incoraggiati a vedere Emily giocare e questa volta lo sguardo è il nostro. Questo passaggio è cruciale. Non offre un lieto fine; propone, invece, un possibile godimento: vedere Emily giocare.
La prospettiva si è spostata su di noi, sul nostro guardare qualcuno giocare, dopo aver aperto la sua mente o prima di essersi persa completamente. Guardare la ragazza giocare. Ciò che conta quando si parla di temporalità, è il cambio di prospettiva, la distanza spaziale come contraltare di quella temporale, come modo di superare gli ostacoli posti dal tempo. Adesso siamo noi i protagonisti della canzone, siamo noi che guardiamo lei giocare. In qualche modo l’incantesimo si è rotto; si è frantumata la prospettiva temporale dal passato indefinito e doloroso.
La distanza operata dal nostro sguardo ha posto un punto alla fluttuazione infinita dei significanti che propagano le loro catene nella libertà e nell’arbitrio dell’inconscio. Lo sguardo, attraverso la distanza che inaugura, dona soggettività all’altro. Tre punti sono qui da sottolineare: la prospettiva temporale assume una dimensione ed un senso spaziale attraverso lo sguardo dell’altro che fonda la distanza come l’identità personale. In secondo luogo, è sempre un terzo elemento a fungere da raccordo e a rendere possibile la soggettività.
Infine, questo è un processo che descrive la nascita di una soggettività e non presuppone reciprocità. Gli altri elementi del triangolo debbono cercare altri raccordi per fondarsi come soggetto. Non vi è un rapporto soggetto-oggetto; al suo posto abbiamo la voce (Syd Barrett) lo spettatore (i nostri occhi che vedono Emily) ed Emily (il soggetto). Voce, occhi, soggetto devono rimanere separati e distanti per costituire un agglomerato che abbia un senso. E non si tratta di un senso dato per sempre, ma legato alla presenza in contemporanea di tre elementi costitutivi che fungono da raccordi creativi alla soggettività stessa.
Rimane insoluto un altro enigma: chi è che guarda Emily? Siamo noi spettatori o, è invece, un terzo presente sulla scena; il quale farebbe di noi solo la quarta parete del teatro in atto?
E se invece fossimo noi gli spettatori di Emily, che tipo di spettatori saremmo? Estetici in quanto ascoltiamo le parole di Barrett o intellettuali poiché con la forza della mente immaginiamo una Emily che non vediamo?
Che Barrett conoscesse bene Carroll credo sia scontato. In un’altra canzone, intitolata Jugband blues si chiede “cosa è un sogno esattamente? E cosa è esattamente uno scherzo?”. Le due questioni non potrebbero essere più in sintonia con le domande fondamentali che si pone Carroll nel suo capolavoro. In entrambi i casi, si gioca, in tutto e per tutto, con l’inconscio e con le sue prospettive temporali, le quali sono parziali proprio come gli oggetti ai quali si riferiscono.
Autore: Alessandro Martina (martina2@wisc.edu)
Salentino, ha vissuto molti anni a Bologna, dove ha conseguito la laurea in filosofia morale con una tesi su Cervantes. Prima di trasferirsi in America a studiare linguistica e SLA, ha insegnato lingua italiana in Inghilterra, alla Manchester Metropolitan University.
Attualmente è dottorando in letteratura italiana all’Università del Wisconsin-Madison. Interessato alle questioni linguistiche e alla filosofia del linguaggio, si occupa di ricercare le fonti latine nell’opera di Machiavelli.