in Giornale Storico del Centro Studi di Psicologia e Letteratura, 13, Giovanni Fioriti Editore, Roma, 2011 – Estratto
Lo psicoanalista che si occupa di cinema si domanda in tutta umiltà: perchè mi occupo di questo o quest’altro film? Perchè inseguo il tema del “doppio” o del serial-killer nel cinema? I film, come i romanzi, parlano di personaggi che vivono delle storie, qualche volta ispirandosi alla vita, altre volte creando esistenze e situazioni che la realtà stessa non ha ancora conosciuto. Sembra però che non vi sia migliore forza immaginativa di quella che scaturisce e si snoda nella apparente “quotidianità” del vivere. L’arte non trova migliore fonte di ispirazione che dalla vita, cucinata però con quel tocco personale che può trasformare ogni individuo in un essere creativo. È forse lo psicoanalista un critico cinematografico? Sì e no. Lo è nella stessa misura in cui un critico cinematografico è un po’ psicoanalista quando usa griglie del nostro mestiere per parlare di cinema. (Penso alla vena poliedrica di Guido Aristarco ed al suo saggio strepitoso su Sussurri e Grida di Bergman letto in chiave junghiana). È pacifico però che nessuno dei due si sognerà di rubare il mestiere all’altro. Ecco perchè, se vogliamo fare psicoanalisi ci rechiamo da uno psicoterapeuta, se vogliamo critica filmica acquistiamo riviste specializzate, recensioni presenti ormai su tutte le testate giornalistiche o ci rechiamo alle loro conferenze, e magari ai festival. Naturalmente gli appassionati e gli studiosi di cinema non cercano soltanto chiavi di lettura psicoanalitiche per capire, apprezzare o giudicare i film. Al contrario gli esperti dell’inconscio ed i cultori della “materia” psichica sono maggiormente intrigati dai significati reconditi o simbolici che appaiono nei film, curiosi come sono di scoprire meglio l’animo umano, con un intento che ci piace definire decisamente terapeutico. È storia nota, fin dai tempi di Freud, che l’analista si avvicina ad un’opera d’arte con lo scopo precipuo di rinvenire reperti che possano aiutarlo nel suo lavoro, con i suoi pazienti e con se stesso: come fruitore di un piacere estetico, ma anche come distributore e consigliere di film che aiutano a guarire ed a vivere. Se Wim Wenders ha scritto che il rock ha salvato la sua vita, credo sinceramente di poter affermare che il cinema ha contribuito e contribuisce a salvare molte vite anche per merito della recente scoperta della filmterapia, compresa la mia, salvata inizialmente dalla psicoanalisi, vissuta sempre come una entusiasmante avventura cinematografica. Ecco un’altra possibile definizione della filmterapia: prendere visione di tematiche specifiche affrontate da diversi artisti, con il desiderio e l’impegno di arricchire le proprie vedute. Con questa necessaria premessa mi occuperò “con occhio professionale”, di demoni e dei nel cinema.
Abstract
L’autore Amedeo Caruso, medico psicoterapeuta esperto di filmterapia e di bioetica, prende in esame quelli che secondo lui sono tra i più importanti film a carattere divino e diabolico cominciando da maestri quali Bergman, Bresson, Buñuel, Dreyer, Capra, Lubitch, Carné, per arrivare ai contemporanei Wenders, Besson, Beauvois, Groning, fino a Lars von Trier, alla cui pellicola dedica il discorso più lungo, perché perfetta e giusta per un lavoro psicoanalitico e filmterapeutico. In questo articolo vengono precisati i limiti dello psicoanalista rispetto al critico cinematografico, ma c’è una strizzata d’occhi psicoanalitica per ogni pellicola esaminata.