John Kerr,Un metodo molto pericoloso. La storia di Jung, Freud e Sabina

John Kerr, Un metodo molto pericoloso. La storia di Jung, Freud e Sabina, Milano, Frassinelli, 1997
Traduzione italiana a cura di Tiziana Vistarini. Frassinelli, 1996 (pp. 674, £ 42.000). La prefazione è di Aldo Carotenuto. Al testo fa seguito un nutrito «Saggio bibliografico».

L’espressione «un metodo pericoloso» appartiene al filosofo pragmatista e psicologo William James e, oltre a qualificare la teoria dei sogni e il simbolismo secondo Freud, ci dice qualcosa dell’approccio dell’autore alle tematiche affrontate. Il taglio del lavoro è storico (secondo Kerr la psicoanalisi continuerebbe a mostrare un irragionevole disinteresse per la sua storia), ricostruttivo, ha per oggetto la nascita della psicoanalisi a partire dalle origini e a continuare con la vicenda che vede avvinti Freud, Jung e Sabina Spielrein. Si avvale di una ragguardevole mole di documenti, ivi compreso il «Diario della trasformazione» di Sabina Spielrein, riscoperto da Mireille Cifali e pubblicato in traduzione francese nel 1983. Il lavoro di Kerr che, a detta dell’autore, si occupa della «costellazione di miti e mezze verità», e si caratterizza come «una storia di fantasmi insolitamente macabra» (p. 15), può essere letto a vari livelli. Uno di questi riguarda l’immagine di Jung che ne emerge.

Jung è emotivamente instabile. «Non era della fedeltà teoria di Jung che [Freud] avrebbe dovuto preoccuparsi; il problema era la stabilità emotiva di Jung» (p. 180).

Jung è uno che si balocca con le idee. Avrebbe iniziato a un certo punto a «baloccarsi con l’idea di introdurre una versione cristianizzata della psicoanalisi» (p.10) Anche la concezione prospettica viene ridotta alla stregua d’un giocattolo. «Jung iniziò a baloccarsi con un’interpretazione riveduta dell’inconscio, un’interpretazione che evidenziava le sue potenzialità prospettiche» (pp. 259-9).

Jung ha aderito all’antisemitismo. Dopo la sua storia d’amore ebrea (un buon numero di considerazioni sono riservate al «complesso dell’ebrea», ovvero al «complesso della stella»), e l’attrazione per l’ebraicità della psicoanalisi (storia e attrazione sono spiegate come una sorta di compensazione per esser rimasto Jung senza chiesa nel tentativo di emanciparsi «dalla religione che aveva evidentemente portato suo padre al fallimento»), lo psicologo svizzero avrebbe a un certo punto aderito «senza indugio a posizioni che non possono non essere considerate antisemite» (p. 160).

Jung è un pettegolo. La vecchiaia di Jung è ciarliera. Il vecchio zurighese non può fare a meno di spiattellare a interlocutori non selezionati storie private risalenti al suo sodalizio con Freud. E’ il caso, soprattutto, della relazione intima intrattenuta da Freud con la cognata rivelata a John Billinsky, professore di psicologia, oltre che a Carl Meier e Tony Wolff.

Questo e molto altro ancora si può trovare nel lavoro di Kerr, un lavoro che va affiancato, da una parte, a quello di Noll sulla nascita del culto carismatico di Jung, dall’altra, alla più recente e, anch’essa demistificante, biografia di Lynn e, infine, al saggio di Eissler (1993) segnalato qui di seguito. Quanto alle origini della psicoanalisi si possono segnalare, tra le certezze conquistate dall’autore, quella che vuole la biblioteca di Freud essere la vera fonte delle sue idee. «E’ ora chiaro che la vera fonte delle idee di Freud fu la sua biblioteca» (p. 7). Ci si potrebbe chiedere, allora, che ne sia dell’autoanalisi. La risposta di Kerr non lascia adito a dubbi: è un «mito ausiliario» (p. 7). La tesi portante dell’autore è che la psicoanalisi discenda dal «pernicioso silenzio» sul sessuale (i loro segreti sessuali), sul religioso (ebraismo contro arianesimo) e sul teorico che Freud e Jung cominciarono a osservare, sia nei propri, rispettivi, confronti sia in quelli di chiunque altro, allorché le tre questioni «si fecero disperatamente intrecciate» (p. 608).

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Giorgio Antonelli