Il bambino dentro. Un racconto sulle feconde, frenetiche e felici relazioni di Psiche e Tempo, in P. Volpe (a cura di), Prestami l’ora del tuo sentiero, vol 2°, Pescara, Samizdat, 1996 – Estratto
Nella più metafisica e, anzi, mistica e, ancora, “similpsicoanalitica” delle scienze, la fisica contemporanea, ha da qualche tempo conquistato un suo spazio, accanto ai principi dell’entropia e della negaentropia, il principio della sintropia. Per noi lo hanno pensato il grande matematico italiano Luigi Fantappié e i suoi allievi.
Il principio sintropico è molto vicino ad alcune concettualizzazioni filosofiche (la causa finale di Aristotele, ad esempio, l’armonia prestabilita di Leibniz), al Tao dei cinesi, ai raggi stellari di al-Kindi (e al pensiero astrologico in genere), al teleologismo e, soprattutto, alla sincronicità di Jung.
Ogni riferimento a una causa finale, come già faceva Aristotele, implica una certa inversione del tempo, così come la implica l’azione retroattiva del “telos” (lo scopo) sulle nostre azioni presenti. Sembra in questo caso che il futuro e il passato, già ampiamente relativizzati dai fisici in funzione del campo dell’osservatore, si scambino il ruolo come protagonisti d’un inconcepibile, per noi, passo di danza. E ciò avviene perché in quel campo, così relativizzato e così relativizzante, il reale osservatore è Psiche e noi siamo gli osservati. L’Io è il più guardato degli enti.
Adler ha considerato la vita psichica in questa ottica del telos e, infatti, se l’Io è il più guardato degli enti, ciò avviene perché nasce inferiore e aspira all’alto, allo spirito, al vento. Egli ha ritenuto, contro Freud, che soltanto in questa ottica l’esistere potesse avere un senso (ovvero noi potessimo conferirgli un senso).
Se l’entropia misura la tendenza al disordine in un sistema (ad es. la nostra psiche) e la negaentropia può essere intesa alla stregua d’una informazione che riporta ordine e, dunque, senso, la sintropia ci riserva un salto conoscitivo non indifferente, dal momento che sradica la nostra irriflessa fede nella linearità cronologica.
Il senso comune non esita a procedere dalla causa all’effetto come dal prima al dopo, per quanto Hume, uno degli antesignani, con Schopenhauer e Nietzsche, della rivoluzione portata dalla psicologia del profondo e, per comune riconoscimento, il più grande dei filosofi inglesi (sebbene scozzese di nascita), l’abbia sconfessata con ottimi (perché psicologici?) argomenti oltre due secoli e mezzo fa.
Ma il senso comune (sull’instabile fondamento del quale non pochi hanno tentato in tempi recenti di rifondare la psicologia e, prima ancora, la filosofia) non sembra poter concepire la possibilità d’una inversione della sequenza lineare del tempo.
Certo, nell’ottica d’una equiparazione psiche=coscienza (che gli psicologi del profondo hanno più volte contestato ai filosofi), tale sequenza appare, per così dire, come la più abitabile e, dunque, la più abituale.
Tuttavia, se si assume un punto di vista altro rispetto a quello del senso comune, e se si entra nella più ampia dimora che prevede uno scarto tra la coscienza e la psiche, allora diventa meno impervio concepire una diversa sequenza temporale. Secondo il principio della sintropia, infatti, ci si trova di fronte all’apparente paradosso che è il futuro a esercitare la propria influenza sul presente e sul passato.