“Gli amici di Matt” – adattato dal testo “The Laramis Project” di Moises Kaufman – è andato recentemente in scena (con meritato successo) al Teatro Colosseo di Roma, per la regia di Marcello Cotugno, interpreti i giovani attori della Scuola delle Arti di Civitavecchia.
Lo spettacolo narra il brutale omicidio di Matthew Shepard, avvenuto a Laramis, nel Wyoming, nel 1998 e configura una riuscita prova di teatro civile e sociale.
L’omicidio del ragazzo gay Matthew Shepard, perpetrato da due ragazzini balordi nella tranquilla cittadina – considerata il gioiello della Prateria nel paese dei cowboy – diviene l’oggetto di una intervista / inchiesta che mette a nudo le anime e le ombre della provincia Americana.
Si dipana, man mano, un quadro scarno e allo stesso tempo complesso che evidenzia – attraverso il vissuto degli abitanti di Laramis – i contrasti, le lacerazioni, spesso il non senso, legati al tema della diversità.
Nel susseguirsi delle domande e delle risposte, lo spettatore riesce a intravedere la realtà essenzialmente omofobica che ha generato l’omicidio, al di là delle forzature interpretative e dei filtraggi operati dai media.
Il contesto scenografico è scarno: un ambiente scuro, nel quale tavoli, seggiole, oggetti quotidiani, fanno da cornice al luogo del delitto: uno steccato a croce.
Sullo sfondo, un grande schermo nel quale si susseguono immagini, quasi contrappunto onirico alle parole pronunciate.
La proposta è quella di una comprensione cercata, di una rivisitazione per non dimenticare; una riflessione sui fantasmi che ci abitano, capaci di portarci negli abissi del non senso così come, a volte, alle grandi altezze della compassione.
La regia di Marcello Cotugno, ancora una volta, combina gli elementi sopra detti in una riuscita prova di teatro documento, o docu- teatro.
Gli amici di Matt, facendoci addentrare nella dinamica psicologica e sociale che genera una morte insensata, bene si inserisce, e coerentemente, nella tematica prescelta da Cotugno.
Il tema della vita e della morte, lo abbiamo notato più volte, è il filone dal quale il regista via via attinge i suoi testi.
La ricerca di senso appare progressivamente come un ulteriore filo conduttore: nel continuo gioco tra vita e morte spesso vediamo smarrirsi il senso, talvolta lo recuperiamo faticosamente, sempre dobbiamo cercarlo.