Tratto da G. Antonelli, Schizzi genealogici psicofilosofici, in Giornale Storico del Centro Studi di Psicologia e Letteratura, 6, Giovanni Fioriti Editore, Roma, aprile 2008
Il costrutto che scardina l’inconscio è quello derivato, via Brentano, da Husserl: l’intenzionalità. La coscienza è intenzionalità nel senso che è necessariamente coscienza di qualcosa. L’intenzionalità, non l’inconscio, costituisce la cifra dello psichico. Anche nel cosiddetto inconscio, comunque, scrive la terapeuta esistenziale Emmy van Deurzen-Smith
in Misteri quotidiani. Dimensioni esistenziali della psicoterapia, la vita psichica consiste della relazione con un oggetto, evento o esperienza. La differenza la fa il modo non riflessivo in cui quella relazione ha luogo. L’inconscio è decostruito a coscienza non riflessiva. In questa liquidazione dell’inconscio l’autrice fa riferimento esplicito a Husserl. La stessa coscienza non è che moderatamente cosciente per la maggior parte del tempo. Ciò che rimane veramente nascosto e oscuro sono i misteri della coscienza. Il che fa registrare ovviamente una forte ricaduta sulla conduzione della terapia. La psicoterapia esistenziale “non cerca di curare o di spiegare, semplicemente cerca “di esplorare, descrivere e chiarire”. Si tratta qui del declinarsi delle tre regole fenomenologiche: la regola della descrizione (descrivere, non spiegare), la regola dell’epoché (messa da parte dei pregiudizi/apertura) e la regola dell’orizzontalizzazione (sottrarre ogni singola descrizione a una gerarchia di significato). Un pre-giudizio nei confronti della psicoanalisi induce l’autrice a sostenere che Laing non è riuscito a sviluppare in pieno un approccio esistenziale a causa dei suoi trascorsi psicoanalitici (la supervisione con Winnicott). Riproducendo l’altro, imperante, refrain Deurzen-Smith sostiene che Laing ha confuso ontico e ontologico. Boss aveva riservato un’identica critica a Binswanger. Ogni filosofo può farlo, e per lo più lo fa, con ogni psicologo. Questo fare, tuttavia, solo immaginariamente può ritenersi un’ultima mossa. Una volta guadagnato l’accesso alla relazione, al numero due, al setting in cui il due invita il tre (il terzo stato) perché c’è un quarto, un sant’uomo, un sintomo (la morte, insomma), la presunta ultima mossa naufraga nell’origineadesso, ovvero nel nulla della coscienza che, anche assopita, anche oscurata, come diceva Husserl, se ne sta tutta aperta e tutta fertile. Tutta aperta e tutta fertile mentre là fuori, cioè beato nella propria trascendenza, l’Io innanzitutto e per lo più volta le spalle.