Adattato da: G. Antonelli, Schizzi genealogici psicofilosofici, in Giornale Storico del Centro Studi di Psicologia e Letteratura, 6, Giovanni Fioriti Editore, Roma, aprile 2008
1894
William James pubblica un breve abstract della “Comunicazione Preliminare. Sul meccanismo psichico dei fenomeni isterici” di Freud e Breuer. Forse è lui, il filosofo pragmatista e psicologo, il primo americano ad accorgersi di Freud. Sarà ancora James a recensire la nuova letteratura sull’ipnotismo, a partire da quel Liébault presso il quale Freud aveva perfezionato la tecnica della suggestione ipnotica. Analogamente sarà James a sostenere l’interesse di James Jackson Putnam per la psicoterapia, prodromo dell’interesse per la psicoanalisi, di cui Putnam sarà un pioniere negli Stati Uniti. La corrispondenza “filosofica” tra James e Putnam si colloca a una delle origini del discorso filosofico che questi cercherà d’introdurre, senza apparente successo, all’interno del circolo psicoanalitico.
1906
Sulla rivista americana Journal of Abnormal Psychology Putnam pubblica un articolo dedicato alla psicoanalisi. Presumibilmente è il primo in lingua inglese.
1910
In una lettera inviata a Putnam il 27 settembre Jones oppone, nello stile di Freud (un altro Freud refrain), la propria posizione empirica alla filosofia. Una persona sana può benissimo fare a meno della filosofia. Sospetta fortemente, Jones, che tutte le filosofie siano raffinate e intellettualizzate proiezioni di complessi personali. Sulle problematiche ultime possiamo essere illuminati soltanto da pensatori che abbiano preventivamente fatto autoanalisi. Non ogni filosofo, avrebbe ribadito Putnam in una lettera inviata il 2 settembre 1913, merita di essere definito nevrotico. È certo, al contrario, che l’habitus philosophandi consente di conseguire eccellenti risultati pratici. Nella diatriba che vede l’americano Putnam opposto al circolo degli psicoanalisti europei sembra di assistere a una riedizione dell’impossibile dialogo tra Spinoza e i suoi fastidiosi interlocutori Boxel e Blyenberg. Gli psicoanalisti non avrebbero seguito Putnam. Il quale può essere ragionevolmente annoverato tra i precursori della consulenza filosofica.
Il 6 ottobre, in una lettera inviata a Ferenczi, Freud commette il famigerato lapsus del superuomo. Interessante constatare come questo lapsus abbia luogo nel bel mezzo della (presumibilmente disturbante) controversia su filosofia e psicoanalisi suscitata da Putnam e che conoscerà uno dei suoi epiloghi l’anno successivo. Putnam ritiene (come avrebbe riferito qualche tempo dopo Jones a Freud) che gli psicoanalisti possono giustificare le proprie dottrine soltanto a condizione di essere qualcosa di superumano, something superhuman, l’alchemico filius philosophorum. Dovremmo essere tutti angeli, aggiunge con un tono che anche richiama Clemente Alessandrino. In una lettera indirizzata a Freud, inoltre, Putnam avrebbe analogamente sostenuto la necessità morale e logica che gli psicoanalisti diventino vollkommene Menschen, esseri umani compiuti. Parla anche, Putnam, di un millennio della perfezione che gli psicoanalisti devono raggiungere se vogliono far approdare i loro pazienti all’effettivo termine dell’analisi. A ridosso dell’equazione fulminante di Nietzsche si staglia qui, con altrettanta evidenza, il fulmine cristiano, anche nella sua versione millenaristica, versione che aveva goduto di un grande seguito nell’Inghilterra di Cromwell e Milton per poi approdare, partorendo mille sequele, su suolo americano, il suolo di una nuova religione che nominalizza il cristianesimo non diversamente da come l’aveva nominalizzato Eckhart e, anche, il suolo di Putnam, che tenta invano di convertire l’europeo Freud alla filosofia.
1911
Il Congresso internazionale di psicoanalisi svoltosi a Weimar è aperto da una relazione di Putnam intitolata L’importanza della filosofia nello sviluppo futuro della psicoanalisi. Nella sua Vita e opere di Freud, Jones commenta così l’intervento di Putnam: “La sua appassionata apologia dell’introduzione della filosofia nella psicoanalisi – solo, però, nella concezione hegeliana che egli seguiva – non incontrò tuttavia gran favore, dato che la maggior parte di noi non vedeva la necessità di adottare un sistema particolare”. Jones riporta anche il commento di Freud: “La filosofia di Putnam mi ricorda certi centri ornamentali da tavola: tutti li ammirano, ma nessuno li tocca”. In termini analoghi si sarebbe rivolto Freud in una lettera inviata a Putnam il 28 marzo dell’anno successivo. “Lei” scrive Freud rivolgendosi a Putnam “fa sembrare la psicoanalisi molto più nobile e bella”. Assoun scriverà, in Freud, la filosofia e i filosofi (1976), che Hegel “è, per Freud, l’incarnazione stessa della speculazione nel senso peggiore del termine”. L’avversione di Freud sarà condivisa da Jung. I conti con Hegel, in ambito psicodinamico, li farà (o inizierà a fare) Lacan. Ricoeur, dal canto suo, rileggerà Freud anche alla luce di Hegel (oltre che della fenomenologia).
1912
Ferenczi pubblica Filosofia e psicoanalisi, un commento all’articolo di Putnam. Si riconosce, lo psicoanalista ungherese, privo di formazione filosofica, ma rivendica l’assunto secondo cui gran parte della metafisica può esprimersi in termini di psicologia (la metapsicologia di Freud) e ricorda l’analogia parziale, stabilita da Freud, tra formazione di un sistema filosofico e formazione di un sistema paranoico (ancora il patorefrain). Per il resto la critica della filosofia, e dunque la sconfessione delle tesi avanzate da Putnam, è chiara: i sistemi filosofici, come le religioni, sono opere d’arte, appartengono a una categoria diversa da quella della scienza, scienza alla quale invece appartiene la psicoanalisi.
1915
Intervento di Putnam all’“Associazione Psicopatologica Americana”, il 5 maggio, sul tema “La necessità della metafisica”. “La filosofia e la metafisica” afferma nella circostanza Putnam “sono gli unici mezzi con cui la materia essenziale di molte tendenze può essere studiata e di cui la psicoanalisi descrive soltanto le trasformazioni”. La chiusa è degna di nota: “Dobbiamo affidarci come medici ad armi letali e a responsabilità letali, e nell’utilizzarle dovremmo essere adeguatamente tormentati dalle nostre coscienze se ci accadesse di far torto sia al nostro addestramento scientifico, sia a quello filosofico”.
Il 19 maggio Putnam invia una lettera a Freud nella quale muove un’obiezione di fondo alla psicoanalisi. Tre anni prima aveva espresso il desiderio che Freud un giorno si sarebbe trovato d’accordo con lui sulla necessità di una metafisica della psicoanalisi, una metafisica fondata sui Greci, su Hegel. Noi psicoanalisti, continuava, dovremmo diventare vollkommene Menschen, esseri umani compiuti. Solo a questa condizione, argomentava Putnam, si possono condurre i pazienti a fare una psicoanalisi completa. Tre anni dopo Putnam rileva che un gran numero di psicoanalisti è stato analizzato e, tuttavia, è ben lontano dal soddisfare quella condizione. Analoga critica avrebbero rivolto, con toni diversi, Ferenczi e Rank. Il primo avrebbe sostenuto che non esiste un analista che possa dire di aver terminato la propria analisi (il che significa: non esistono analisi terminate). Il secondo avrebbe reagito al rimprovero di Freud (secondo il quale Rank non avrebbe scritto l’eretico Trauma della nascita se si fosse sottoposto a un’analisi) affermando che, a giudicare dagli analisti analizzati (con riferimento polemico ai fratelli rivali Abraham e Jones), è molto meglio non essere stato analizzato. La risposta di Freud a Putnam arriva il 7 giugno. Perché chi è analizzato dovrebbe essere migliore? L’analisi promuove l’integrazione, non la bontà. Il veterotestamentario (prima che neotestamentario) ama il prossimo tuo come te stesso è da sempre guardato con sospetto nei quartieri psicoanalitici che più direttamente fanno riferimento alla lezione di Freud. Per non parlare poi dell’interpretazione à la Jung data da Neumann, il quale rileggeva il “te stesso” come ombra, con conseguenze indecidibili in ambito etico. Diversamente da Socrate e da Putnam, Freud non crede che i vizi originino nell’ignoranza. Un mese dopo Freud riconduce la secessione di Jung alla sua conversione etica, alla sua rinascita e, anche, in modi non esplicitati, a Bergson, filosofo ben presente nello scambio epistolare tra Putnam e James.
1918
In Vie della terapia psicoanalitica (1918) Freud scrive di non poter accogliere la richiesta di Putnam di mettere la psicoanalisi al servizio di una determinata concezione filosofica “e imporla al malato per nobilitare il suo spirito”. “Oserei dire” continua Freud “che a ben vedere questo sarebbe soltanto un atto di violenza, ancorché dissimulato dalle più nobili intenzioni”.