UNA RIFLESSIONE SUL DESIDERIO E I CONDIZIONAMENTI CHE GOVERNANO LE RELAZIONI TRA MASCHILE E FEMMINILE.
La tragedia in sintesi a fondo pagina *
Ippolito, la tragedia di Euripide (450 a.C.) in scena al teatro al Teatro Greco di Siracusa, offre una lente attraverso la quale esplorare le tensioni tra legge e desiderio, tra individuo e società, tra moralità e passione. E solleva riflessioni che, ancora oggi, sono di grande attualità tra Ananke, la forza del destino e Hamartia, la natura umana del senso di colpa.
Euripide descrive una condizione arcaica della relazione tra donne e uomini. È la sottovalutazione del femminile, che rappresenta un tratto intrinseco del tradimento o del rifiuto compiuto dal maschile. L’uomo tradisce, disprezza o allontana senza tenere in debita considerazione le ripercussioni di ogni gesto. E sottovaluta le reazioni della donna. La sua caparbia presunzione virile e la sua assurda e obsoleta sottovalutazione del femminile, a volte, accende una rabbia feroce. Un’emozione forte, alimentata dal fatto che la donna, nel momento in cui viene rifiutata, si sente distrutta all’interno, rinnegata nella sua dimensione più sacra. Il valore del suo Essere viene annichilito e percepisce che il suo Sé, il canto dell’anima si spegne in un rantolo di dolore.
Secondo il paradigma psicoanalitico, la tragedia di Ippolito e Fedra può essere interpretata come una rappresentazione delle dinamiche del desiderio, del tabù e della colpa. Fedra incarna l’archetipo del desiderio proibito e la lotta interiore tra le pulsioni istintive e le norme sociali e morali. La sua ossessione per Ippolito trascende la ragione e la pone in un vortice di emozioni contrastanti. Questo desiderio inconfessabile la porta a lottare internamente tra passione e morale, evidenziando la sua vulnerabilità e umanità.
Desiderio! Mai parola può meglio descrivere l’emozione che travolge Fedra.
Etimologicamente deriva dalla composizione della particella privativa “de” con il termine latino sidus, sideris (al plurale sidera), che significa stella. Dunque, “desidera”, è la “condizione in cui sono assenti le stelle”. È la mancanza della luce dove il buio cala nella notte senza amore. Non si può dimenticare che Teseo suo marito, l’eroe ateniese che sconfisse il Minotauro, è un individuo anaffettivo il cui fine giustifica il mezzo. Arianna figlia di Minosse e sorella di Asterion, il mostruoso Minotauro, lo aiuta nell’impresa. Ma Teseo compiuta l’impresa, l’abbandona a morte certa nella deserta isola di Naxos, pur di non portarla con sé ad Atene. Ed è anche colui che, sempre nel viaggio di ritorno verso Atene, dimentica di alare le vele bianche della vittoria e di rimuovere le vele nere issate in segno di lutto. Alla loro vista il padre Egeo, immagina che anche Teseo sia perito e si toglie la vita gettandosi dalla rupe, in quel mare che prederà il suo nome. L’infatuazione di Fedra per Ippolito può essere vista come una manifestazione dell’Inconscio, che sfida l’ordine simbolico rappresentato dalla figura paterna di Teseo. Un innamoramento che diviene ossessione e che trascende la ragione trascinandola in un vortice di emozioni contrastanti. Questo desiderio inconfessabile la porta a lottare internamente tra passione e morale. Ed emerge la vulnerabilità della sua essenza femminile. Fedra è consapevole del carattere inaccettabile del suo amore per Ippolito che genera in lei un profondo senso di colpa. È un percorso di sofferenza interiore caratterizzato da momenti di estrema angoscia e disperazione. La sua incapacità di sfuggire al proprio desiderio la rende una figura tragica, imprigionata dalle passioni.
La posizione di Fedra come moglie di Teseo aggiunge un ulteriore complesso alla sua personalità. La consapevolezza del ruolo pubblico e delle aspettative sociali amplifica il suo conflitto interiore. Il timore del giudizio, della vergogna, come somma di tutti i giudizi ricevuti e ricevibili, l’onta del disonore se venisse scoperta nel suo desiderio indicibile la spingerebbero verso scelte estreme. E Fedra diviene un simbolo dell’ineluttabilità del destino. Nonostante la sua lotta interiore e i tentativi di sfuggire alle proprie passioni, è inevitabilmente condotta verso un destino di sofferenza e distruzione. La sua morte, spesso rappresentata come un suicidio, è l’apice di una tragedia personale, che sottolinea il tema della ineluttabilità di Ananke.
Ed ecco che per poter risolvere il conflitto interno e le conseguenze sociali del suo amore proibito, Fedra ricorre alla manipolazione e all’inganno. Il femminile rifiutato, non riconosciuto e che si sente tradito, non solo fantastica la sua strategia di vendetta, ma la mette in atto con tutti i mezzi possibili. E così Fedra accusa falsamente Ippolito di averla corteggiata, scatenando una catena di eventi che porterà alla morte di quel giovane uomo, oggetto del suo desiderio non soddisfatto. È un atto estremo mosso dalla disperazione che rivela la complessità nel carattere femminile, dove la fragilità, o meglio la delicatezza emotiva, può intrecciarsi con momenti di estrema determinazione.
La reazione al mancato riconoscimento può essere varia. Alcune donne precipitano nella disperazione lasciandosene fagocitare. A volte, coloro che si deprimono e possono anche giungere al suicidio, proprio come Fedra, ma anche figure mitiche quali Didone, rifiutata da Enea o Cleopatra.
Ma la tragedia di Euripide conferma un’altra costante arcaica dell’animo umano: far del male a chi ci ha tradito per non poterci sottrarre all’impulso dell’agire. Reagire in modo estremo e determinato pur nella consapevolezza che ciò significa far del male anche a sé stessi. L’impulso all’azione è troppo forte.
È un modello di comportamento che ogni essere umano può sperimentare su sé stesso, in modo più o meno latente e con gradi diversi di intensità. Ed è forse questa la ragione per cui tragedie come quella di Fedra o di Medea ci coinvolgono ancora oggi.
Sebbene ognuno di noi possa a proprio modo ritenersi una persona istruita, provvista di cultura e di buon senso, nel momento in cui si verifica ciò che potremmo definire un “attacco alla nostra dimensione emozionale” – come il rifiuto, il mancato riconoscimento o il tradimento – allora tutto sembra poter essere rimesso in discussione. E così diventiamo imprevedibili e a volte distruttivi.
Quando ci sentiamo feriti, oltraggiati, umiliati ecco che emergono gli aspetti deteriori del nostro carattere che abitano la nostra Ombra, come amava definirla Carl Gustav Jung. Nel momento in cui la nostra Ombra, invece di seguirci costantemente, prende il sopravvento e si erge sopra di noi, ecco che gli altri stentano a riconoscerci e noi stessi non sappiamo più chi siamo. Entriamo nel buio dell’Ombra, nel suo lato più oscuro, diventiamo ciechi, e come se fossimo accecati dal desiderio di vendetta e agiamo senza valutare il calibro delle nostre azioni.
E non ci sentiremo mai più appagati perché l’’essere traditi o rifiutati significa non solo essere feriti in ciò che per noi è più importante – il rapporto con la persona che amiamo – ma, soprattutto, perché ci sentiamo rinnegati nella nostra dimensione dell’Essere, nella nostra essenza. È una lacerazione del tessuto dell’anima.
La furia di Medea non si placa con l’assassinio di Glauce, futura sposa del suo amato Giasone, con la quale l’aveva tradita. Ma, il suo dolore si amplifica sino uccidere i suoi stessi figli, nati dal legame con Giasone. Medea appare come una creatura mostruosa ma, a una lettura più attenta, risulta essere solo vittima del suo mal d’amore, travolta dalla tragedia generata dalla sua sete di vendetta.
Nel personaggio di Medea colpisce la qualità dell’azione tragica, dove l’agire tende a correlarsi strettamente con il soffrire. L’infanticidio, l’atto orrendo da lei stessa compiuto ha come obiettivo la punizione dell’infedeltà di Giasone e nello stesso tempo, come madre, Medea coinvolge direttamente anche sé stessa, colpendo il frutto stesso della sua esistenza. La logica del sentimento è completamente diversa da quella della razionalità, e persino quando sfocia in atti criminali, siamo più portati a tollerare e perdonare di quanto non facciamo in occasione di altri crimini, dettati dalla mera violenza. È importante riflettere su questi aspetti soprattutto perché essi ci permettono di comprendere fino a che punto la passione possa indurci a farci perdere la ragione. Dinanzi ai delitti commessi in nome dell’amore, è inutile scandalizzarsi, come inutile sarà cercare di capire cosa possa avere spinto una persona a tanto. Non è possibile razionalizzare un evento di per sé irrazionale, perché ciò significherebbe impegnarsi in una ricerca senza fine. Se è la delusione amorosa la ragione per cui qualcuno ammette di aver “perso la testa”, non c’è spiegazione che tenga, perché le ragioni del cuore sono sempre inafferrabili.
E Ippolito? Il figlio di Teseo e della regina delle Amazzoni? Devoto alla dea Artemide rappresenta l’aderenza rigida ai principi morali e l’impossibilità di accettare la complessità del desiderio femminile, simbolizzati da Afrodite.
La dinamica con Fedra, la matrigna che si innamora di lui, può essere vista attraverso la lente del complesso di Edipo. Fedra rappresenta un oggetto di desiderio proibito e il suo amore non corrisposto e la tragedia che ne consegue riflettono le tensioni e i conflitti irrisolti tipici delle relazioni edipiche.
Il rifiuto da parte di Ippolito del desiderio sessuale può essere interpretato come un esempio di rimozione, dove le pulsioni del sesso vengono inconsciamente respinte, perché considerate inaccettabili. Si manifesta un super-io che domina e reprime le parti istintuali della psiche.
Questo rifiuto potrebbe anche essere visto come un tentativo di sublimazione, dove l’energia libidica viene canalizzata verso attività accettabili socialmente, nel suo caso, la caccia e la devozione religiosa. E il rifiuto delle passioni e la dedizione alla purezza possono essere visti come un tentativo di trovare un significato autentico nella sua stessa esistenza. Tuttavia, questa ricerca di autenticità lo isola dagli altri e lo porta alla tragedia, sottolineando la tensione esistenziale tra libertà individuale e le relazioni umane.
Fatale per Ippolito è la sottovalutazione dell’energia femminile. Se ne accorgerà solo quando lei, ormai esasperata per il suo rifiuto ha già avviato la sua terribile vendetta.
Nella drammaticità estremizzata delle reazioni del femminile si cela la sua forza più grande. Taluni descrivono Ippolito come il simbolo dell’innocenza ingiustamente perseguitata dai malintesi e dai pregiudizi.
Ippolito ovviamente non ha colpa nel suo rifiuto. Ma ha una grave responsabilità. Ippolito è alla costante ricerca dell’autenticità dell’essenza della vita. Ma la sua rigidità morale e il suo rifiuto per le passioni lo conducono inevitabilmente alla catastrofe.
L’aspirazione alla purezza si scontra con la realtà del desiderio umano.
L’anima delle donne è così delicata. Ma si può rivelare anche così feroce. Gli esseri femminili sono le dee che le incarnano. Per questo devono essere onorate e mai rifiutate, altrimenti si adirano e diventano malattia. L’epilogo in tragedia è ineluttabile.
Claudio K. Gallone (Analista Filosofo SABOF)
Ippolito è il figlio di Teseo, re di Atene, e dell’amazzone Antiope, è un giovane devoto ad Artemide, dea della caccia e della verginità, e rifiuta il culto di Afrodite, dea dell’amore. Afrodite, offesa dall’indifferenza di Ippolito verso di lei, decide di vendicarsi e fa sì che Fedra, sua matrigna e seconda moglie di Teseo, si innamori perdutamente del giovane.
Fedra è straziata dal suo amore proibito per Ippolito. Cerca di resistere ai suoi sentimenti, ma la passione la consuma. La sua nutrice, preoccupata per la salute di Fedra, scopre il segreto e, sperando di alleviare le sofferenze della padrona, rivela i sentimenti di Fedra a Ippolito. Il giovane, disgustato si sente oltraggiato e respinge le avances minacciando di rivelare tutto a Teseo.
Fedra, temendo la vergogna e la rovina, si suicida lasciando una lettera in cui accusa falsamente Ippolito di aver cercato di sedurla. Teseo, trovata la lettera, è furioso e maledice Ippolito, invocando Poseidone, dio del mare, perché punisca suo figlio. Poseidone, in risposta, invia un mostro marino che spaventa i cavalli del carro di Ippolito, causando un incidente mortale.
Ippolito, gravemente ferito, viene riportato al palazzo. Artemide appare, rivelando la verità a Teseo e lamentando l’ingiustizia subita dal suo devoto seguace. Teseo, sconvolto dal rimorso, chiede perdono al figlio morente, che glielo concede prima di spirare. Artemide promette vendetta contro Afrodite per la morte di Ippolito e decreta che Ippolito sarà ricordato e onorato nei riti sacri.
CKG