Traduzione italiana a cura di Paola Donfrancesco e Milka Ventura. Bergamo, Moretti & Vitali, 1996. Contiene una utile «bibliografia italiana» delle opere di Hillman.
Si tratta di quattro contributi («Sul bisogno del fondamento», «La certezza mitica», «Una cosmologia per l’anima», «Dallo specchio alla finestra») concepiti tra il 1982 e il 1988, e originariamente pubblicati tra il 1988 e il 1990, seguiti da una appendice-manifesto che risale al 1970 e che reca il programmatico nonché interrogante titolo «Perché la psicologia archetipale?». In quest’ultimo contributo Hillman sottopone a critica le dizioni «psicologia junghiana» (il termine «junghiano» andrebbe usato, e in tal modo si regola Hillman, solo in riferimento a Jung), «psicologia complessa» (il termine «complesso» presenta l’inconveniente di richiamare limitative accezioni patologiche), «psicologia analitica» (localizza il problema della psiche nell’anima dell’individuo, si limita all’ambito della terapia e in esso fa rientrare ogni altra prospettiva di studio) e oppone ad esse «psicologia archetipale». Per quanto riguarda gli altri contributi il loro significato va forse colto nella ridefinizione ecopsicologica, egodecentrante, psicocosmologica che Hillman dà della famosa frase del poeta romantico John Keats «chiama pure questo mondo la valle del fare anima». Il grave errore, dettato dal narcisismo, autodenunciato da Hillman, consiste nell’aver ritenuto, a ridosso della frase del poeta romantico, che il mondo costituisse, per così dire, il «là fuori» utile per fare la nostra anima. Quel «nostra» va espunto, ovviamente. Non figura, del resto, nel testo originale. In luogo del «nostra» Hillman parla di «sua». L’anima in gioco è l’anima mundi. Transitiamo per essa, per essere utili, noi, a questa lei. Qui risiede anche il senso di quell’oltre che si recita nel titolo e che ricorda, per più d’un motivo, la polemica intercorsa tra Sartre e Heidegger intorno alla Lettera sull’umanismo del filosofo tedesco. Essendo utili, noi, all’anima del mondo, siamo anche utili alla «nostra» anima. Il mondo, diciamo anche così, funziona a ben vedere come un costante oppositore, ridefinitore del nostro narcisismo. Hillman propone una lettura che, a suo dire, suggerisce una vera libido d’oggetto al di là del narcisismo e rispolvera, a tale riguardo, la definizione che dell’amore ha dato Otto Fenichel, secondo il quale è possibile parlare d’amore soltanto quando «è impossibile la propria soddisfazione senza soddisfare anche l’oggetto» (p. 99). Oltre l’umanismo significa, insomma, anche un al di là del narcisismo. Hillman polemizza apertamente con la mania (siamo negli anni ottanta) per Kohut e l’archetipo del puer che domina la terapia «tenendo al sicuro i pazienti (e gli analisti) dal mondo». Al narcisismo, di Kohut, Kernberg e Lacan, al narcisismo di cui anche gli junghiani si sarebbero invaghiti, al narcisismo perso nello specchio, manca la finestra. E la finestra apre appunto sul mondo del fare anima.