I doni dell’abbandono

in Giornale Storico del Centro Studi di Psicologia e Letteratura, n. 17 “Abbandoni”, Giovanni Fioriti Editore, Roma, 2013 – Estratto

Uno dei frammenti della mia esperienza di allievo di Aldo Carotenuto che mi ha lasciato ricordi tuttora vivi e pregnanti è la capacità che aveva, nel corso delle sue lezioni così come nelle conversazioni fuori dalle aule, di destabilizzare chi lo ascoltava attraverso alcune frasi ad effetto – dette volutamente e peraltro con un certo compiacimento – che ribaltavano le concezioni comuni, scardinando gli impliciti su cui il pensiero di ciascuno, senza saperlo, si poggia. Il risultato immediato, o almeno quello che io ricordo vivevo in quelle situazioni, era una sorta di disorientamento, che nell’immediato procurava onestamente anche non poca irritazione: il terreno franava sotto ai piedi, verità che sempre avevo appreso a considerare irriducibili, venivano criticate e poste al livello delle nostre menzogne più lunghe, per dirla con Nietzsche.
A ben vedere, questo fenomeno è quello che su larga scala ha accompagnato il personaggio Carotenuto, soprattutto a seguito di alcuni dei suoi scritti più controversi, basti ricordare su tutti “Amare-tradire. Quasi un’apologia del tradimento”. Questa caratteristica di Carotenuto, di proporre verità distanti dal sentire comune, di per sé è comunque abbastanza banale e più che rendergli merito potrebbe al contrario circoscrivergli un’aurea da santone, impregnato di narcisismo.
Se questi ricordi sono tuttora nello scenario della mia personalità è per il valore che essi hanno avuto alla prova del tempo, quando a distanza di anni sono riuscito a comprendere e rendere mio il significato intimo di molte delle cose che era solito dire e che io allora non capivo. Insomma, Carotenuto non era un santone per questa semplice ragione, dal sapore squisitamente junghiano: ciò che diceva era come un seme gettato su un terreno il più delle volte non pronto ad accoglierlo, ma che appena lo diventava, se lo diventava, attecchiva e fruttificava.
Il ricordo che anima questo scritto è il seguente. In una lezione Carotenuto disse una frase che suonava più o meno in questo modo: “La situazione per la quale si è di fronte a qualcuno implorandolo di non lasciarci, è una delle più belle della nostra esistenza, e ciascuno di voi deve augurarsi di
poterla vivere”.
Contrariamente a quanto d’abitudine ciascuno era abituato a sperare per se stesso e per gli altri, Carotenuto ci stava augurando di soffrire, di soffrire per la perdita di un oggetto amato, di soffrire il suo abbandono. Ci augurava quella sofferenza che, come lui stesso sottolineava spesso, è la più acuta che ci è dato patire.
Credo sia facile comprendere perché suonasse bizzarro questo messaggio, cresciuti come siamo nell’idea dell’amore preconfezionato, dotato di istruzioni per l’uso, in cui l’augurio è quello di vivere in maniera imperitura un sentimento che si presuppone debba essere immutabile ed eterno. Carotenuto ci augurava, al contrario, di vivere l’esperienza della fine, della sofferenza e dell’umiliazione.
Come affermato poc’anzi, mi ci sono voluti anni prima di riuscire a inscrivere nella mia vita il senso di quella frase, preso com’ero a quel tempo alle prime battute della mia “educazione sentimentale”. Ma anno dopo anno, esperienza dopo esperienza, abbandono dopo abbandono – ora carnefice, ora vittima – penso di aver compreso e fatto mio ciò che quella frase voleva in se recare e a comprendere che essa custodiva un valore che andava molto più lontano della situazione amorosa.
Gli abbandoni donano. Donano più di quanto il nostro carattere, volto all’omeostasi e alla ritenzione, ci consenta di concepire. Donano più di quanto la nostra cultura, tesa a educare l’individuo alla costruzione di certezze solide, ci permetta di considerare lecito. Perché, come sovente accade, la psiche si ripiega verso l’indagine di se stessa a partire dalla sofferenza, e nessuna sofferenza rende l’individuo così a contatto con se stesso come quella della perdita.

Condividi:
L'autore
Avatar photo
Alessandro Uselli
Specialista in Psicologia clinica e Psicoterapeuta. alessandro.uselli@gmail.com