Esegesi simbolica. Come Jung ha modificato il modo di leggere la Bibbia

in Giornale Storico del Centro Studi di Psicologia e Letteratura, 12, Giovanni Fioriti Editore, Roma, 2011 – Estratto

Durante un Seminario, nell’autunno del 1931, Jung domanda all’uditorio: ‘Conoscete lo schema della Città Celeste?’. Si riferisce alla struttura quaternaria della nuova Gerusalemme, descritta nell’Apocalisse. I partecipanti l’hanno messa in associazione con la ‘città bianca’ del sogno di un paziente, che il relatore ha portato come caso clinico. Una signora del pubblico risponde: ‘Non è forse un mandala?’. E Jung incalza: ‘Lo può dimostrare?’. La signora: ‘Ci sono i quattro fiumi’. Allora lo psicologo svizzero chiede una Bibbia. L’apre e legge il capitolo 21 dell’Apocalisse di Giovanni. Il testo conclusivo delle Sacre Scritture. E commenta: ‘È necessario leggere la Bibbia, altrimenti non capiremo mai la psicologia. La nostra psicologia, tutte le nostre vite, il nostro linguaggio e il nostro corredo d’immagini sono costruiti sulla Bibbia. ’

Una strana esortazione alla rilettura simbolica dei testi sacri della cristianità. Un ‘compito gigantesco’ che alcuni storici della psicologia hanno ipotizzato essere alla base di tutta la ricerca dello studioso svizzero. Un’esigenza legata alla presenza degli otto zii e del nonno materno, pastori protestanti. Ma ereditata in particolare dalla crisi di fede del padre. Anch’egli pastore d’anime, morto prematuramente e oggetto di robuste critiche da parte del figlio.

Per accertarsi dell’importanza della Bibbia in Jung – fa notare Rollins – basta sfogliare il General Index dell’Opera Omnia. Nell’elenco degli argomenti quasi quattro pagine sono dedicate ai link con la parola Cristo . Mentre all’indice delle opere citate, alla voce Bibbia si sviluppa una delle liste più lunghe. In essa sono menzionati 53 dei 66 libri del Vecchio e del Nuovo Testamento, oltre agli apocrifi. La citazione più ricorrente è il vangelo di Giovanni, lo stesso autore dell’Apocalisse. L’opera di cui Jung ha dato lettura. Giovanni non a caso è l’evangelista a maggiore influenza gnostica.

Vi sono inoltre 185 nomi di personaggi biblici, alcuni ripetuti più di una dozzina di volte. All’elenco vanno aggiunti numerosi padri della Chiesa e commentatori testamentari. Sono infine state calcolate circa 230 frasi ed espressioni bibliche, che appaiono negli scritti generalmente più di una volta: la perla di grande valore, la casa costruita sulla sabbia, il granello di senape, il tesoro nascosto nel terreno. Espressioni –in questo caso – prelevate da parabole evangeliche.

Il padre della psicologia analitica si è dunque avvalso prepotentemente degli scritti fondativi della cultura cristiana. E al contempo ha invitato i suoi allievi a servirsene.

Ma – pur accettando questa ipotesi di partenza – perché scrivere oggi un contributo sull’influenza di Jung nell’Esegesi Biblica? Egli certamente non ha fornito un sistema esegetico completo. Quale reale utilità dunque uno studio di questo genere apporta alla comprensione dell’eredità del padre della psicologia analitica? Perché insomma dovrebbe risultare interessante ad un convegno sul cinquantenario della morte di Jung un contributo riguardante il debito che la lettura odierna della Bibbia ha nei confronti dello psichiatra svizzero?

Il presente contributo indaga questi temi, attraverso quattro capitoli. Quattro sezioni di ricerca. Nella prima si analizza la situazione degli approcci e dei metodi esegetici alla luce di due fondamentali documenti cattolici: la Dei Verbum e l’Interpretazione della Bibbia nella Chiesa Cattolica. Ci si sofferma sul metodo storico-critico. E si fa riferimento alle accuse di astrattezza che alcuni esponenti dell’Esegesi Simbolica – Drewermann in particolare – hanno violentemente formulato contro il metodo ufficiale del Cattolicesimo. Nella seconda sessione si indaga l’Esegesi Simbolica, relativamente ai principi, agli strumenti, all’oggetto e ai confini del nuovo strumento esegetico. Il terzo capitolo tratta i rischi dell’Esegesi Simbolica. E in particolare riguarda i due rischi di psicologismo in cui può incorrere una applicazione troppo superficiale e aggressiva. Il riduttivismo di stampo freudiano e la ipermitologizzazione di matrice junghiana. Entrambi irrispettosi della ‘cosa del testo’, per dirla à la Ricoeur . Ma anche il rischio di sconfinamento nel campo teologico. Rischio al quale sono dovute la maggior parte delle incomprensione di Jung con i suoi interlocutori in abito talare.

Nella quarta sezione infine si avviano le conclusioni sullo stato dell’arte. L’Esegesi Simbolica è stata ufficializzata da vent’anni nel novero delle tecniche esegetiche. Il ‘compito gigantesco’ è diventato alla fine un concreto progetto di studio.

Abstract

Jung si è dedicato ampiamente alla lettura degli scritti fondativi della religione cristiana. Lo testimonia il numero delle citazioni bibliche nelle sue opere. Al contempo egli ha invitato a servirsi del materiale testamentario, in nome di una maggiore familiarità con i simboli storici del processo individuativo. Ma perché scrivere oggi un contributo sull’influenza di Jung nell’Esegesi Biblica? Egli certamente non ha fornito un sistema esegetico completo. Quale reale utilità dunque uno studio di questo genere apporta alla comprensione dell’eredità del maestro zurighese? Il rapporto con la dimensione religiosa da parte di Jung appare talora motivo di disagio per gli odierni epigoni della psicologia analitica. Ne è un esempio il comprensibile imbarazzo che ha ultimamente accolto l’uscita dell’edizione italiana del Liber novus, il Libro Rosso. Insomma perché rispolverare un tema come quello del rapporto fra Psicologia e Religione per il quale l’attuale tendenza fenomenologica e interpersonale della psicologia analitica non sembrano entusiasmarsi? E ancora: quale relazione con l’attuale pratica clinica può avere un argomento di nicchia, che si interessi ai risultati dell’ermeneutica simbolica applicata ai testi biblici? Un impegno esegetico, peraltro, che i biblisti cattolici hanno accolto con maggior cautela degli studiosi protestanti. In una sola domanda: perché dovrebbe risultare interessante ad un convegno sul cinquantenario della morte di Jung un contributo riguardante il debito che la lettura odierna della Bibbia ha nei confronti del maestro zurighese? Il presente contributo affronta questi interrogativi che, a nostro giudizio, toccano l’identità della cultura dell’Occidente cristiano. Il lavoro è diviso in quattro capitoli. Nel primo si analizza la situazione degli approcci e dei metodi esegetici alla luce di due fondamentali documenti cattolici: la Dei Verbum e l’Interpretazione della Bibbia nella Chiesa Cattolica. Ci si sofferma sul metodo storico-critico. E si fa riferimento alle accuse di astrattezza che alcuni esponenti dell’Esegesi Simbolica – Drewermann in particolare – le hanno formulato. Nella seconda sessione si indaga l’Esegesi Simbolica attraverso quattro tesi, relative ai principi, agli strumenti, all’oggetto e alla sua origine. Il terzo capitolo riguarda i rischi di psicologismo in cui può incorrere una Esegesi Simbolica troppo aggressiva. In particolare il riduttivismo di stampo freudiano e la ipermitologizzazione di matrice junghiana. Entrambi irrispettosi della ‘cosa del testo’ o ‘mondo del testo’, per dirla à la Ricoeur . Nella quarta sezione infine si avviano le conclusioni personali sul tema.

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L'autore
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Antonio Dorella