in Giornale Storico del Centro Studi di Psicologia e Letteratura, n. 17 “Abbandoni”, Giovanni Fioriti Editore, Roma, 2013 – Estratto
Cominciamo con una scena nello stile “Once upon a time”…
“..Un bambino di 12 anni esce correndo dalla scuola, intorno, come striduli uccelli festosi,i compagni e le compagne si salutano rimandando a domani. Di fronte, sull’altro lato della strada, suo padre, lo aspetta. Freddo, teso e torvo nel viso. Il bambino non sa leggere i volti e corre felice verso di lui con le braccia protese. Uno schiaffo, violento, diretto al viso, interrompe la sua corsa. Barcolla, il mondo appare e scompare, intorno una nebbiolina dissolve i volti e le voci dei compagni che si eclissano. L’unica cosa vivente è un tremendo batticuore e la guancia che brucia.. Il padre si volta e se ne va. Il bambino si guarda intorno ma non vede, sente soltanto le voci di alcuni compagni che gli stanno intorno, batticuore, nebbia nella mente, e un acuto dolore alla bocca dello stomaco. Continua a ripetersi ‘perché, perché, perché’ ?..Nel tragitto verso casa, le lacrime copiose che gli rigano il volto sembrano riprodurre le immagini frammentate che vedeva attraverso un tappo di bottiglia di vetro con la testa tagliata in mille sfaccettature. Tutte le cose apparivano multiple, caleidoscopiche. E tutti quelli che incontrava, sembrava avessero mille volti diversi.
Tornato a casa gli apre la porta sua madre che, senza dire una parola, abbassa lo sguardo e gli indica la stanza dove stava ad attenderlo il padre. Il bambino prende la rincorsa, il corridoio sembra più lungo del solito, ha il sangue alla testa, vorrebbe affrontarlo: lui è lì, seduto dietro al tavolo, con lo stesso sguardo indecifrabile, e gli mostra un tappo di vetro con lo stesso gesto repentino dello schiaffo di poco prima. Il bambino riconosce subito il tappo di vetro tutto sfaccettato, di una di quelle bottiglie da liquore che stavano nella credenza. Un vero e proprio prisma, che gli consentiva di guardare le cose in mille frammenti e luccichii di colore. Un giorno, lo aveva portato in classe per mostrare la sua scoperta ai compagni, ma l’insegnante glie lo aveva sequestrato e quella mattina lo aveva consegnato a suo padre come prova del mancato rendimento, dell’ incapacità di suo figlio a concentrarsi e, perfino di una difficoltà a stare in mezzo agli altri …”
Questa storia fa da cornice ad un quadro e mostra immediatamente la questione dell’abbandono in una delle sue declinazioni, quello dell’abbandonarsi, che è la base della fiducia primaria nei confronti dell’altro. Ma anche dell’abbandonare. Nella loro relazione si realizzano entrambe. In questo caso, nella scena c’è un figlio che si abbandona fiducioso nell’andare verso il padre, e un padre, che ‘colpisce’,‘si volta e se ne va’, tradendo questa fiducia, spezzandola con un gesto improvviso ed imprevedibile. Lo abbandona, infine, al suo dolore senza dare spiegazioni. In questa narrazione il figlio realizza la sua prima perdita adulta, il primo tradimento della fiducia primaria. In realtà aveva già subito una sorta di “ tradimento” quando attraverso la nascita aveva perduto quel luogo sicuro che è il corpo della madre, che lo aveva “abbandonato” gettandolo nel mondo. la consegna del bambino nelle braccia del mondo è un abbandono/tradimento inevitabile, anzi assolutamente necessario perché il bambino entri nella vita reale. Sembrerebbe quasi che all’abbandono sia legata la perdita della condizione di una “beatitudine primigenia”, ovvero quella sensazione di completezza e totalità che si sperimenta nella unione simbiotica col corpo della madre. Questo passaggio può spiegare l’altissima quota di angoscia che si sviluppa in ogni situazione in cui si sperimenta l’abbandono. È sempre come un tornare a quel primo inevitabile abbandono. Hillman, però, dice che “la fiducia primaria deve essere spezzata perché i rapporti evolvano, e inoltre che non è possibile crescere all’interno di essa”.1Dunque sembrerebbe che laddove c’è fiducia lì si annida la possibilità del tradimento.