Aldo Carotenuto, Milano, Bompiani, 2001
L’interesse crescente da parte dell’uomo nei confronti di generi letterari per così dire ‘inquietanti’, surreali, fantastici, è di per sé innegabile. E la Fantascienza non solo non fa eccezione, ma rappresenta anzi un formidabile polo attrattivo per le fantasie, i sogni e gli incubi di noi protagonisti del terzo millennio.
L’astuzia della Fantascienza consiste nel mettere in scena contenuti che calamitano l’attenzione del lettore o dello spettatore attingendo direttamente dal suo inconscio. E’ il nostro mondo interno il serbatoio privilegiato al quale la Science Fiction ama attingere per rifornirsi di nuove idee e per scovare le tematiche più seducenti da affrontare. E la nostra mente sembra voler subire il fascino dell’inquietante senza opporvi alcuna resistenza, ama lasciarsene catturare e, per quanto ciò possa apparire strano, appare bisognosa di contenuti minacciosi o improbabili, come se questi potessero nutrirla e rigenerarla. Ma quando la mente appare bramosa di nutrirsi di fantasie di questo tipo, la psicologia del profondo non può esimersi dall’entrare in scena e spiegare le ragioni più autentiche di un simile fenomeno.
La Fantascienza è utile all’uomo nella misura in cui affronta alcune delle sue difficoltà esorcizzandone le paure più profonde, ma ciò che sorprende è l’invidiabile disinvoltura con la quale porta a termine questo compito. Nella Scienze Fiction i nostri incubi più segreti acquistano un nome, gli spettri della nostra anima un volto, mentre tutti i dubbi dell’umanità trovano risposte o si concretizzano in un futuro finalmente plausibile, concreto.
L’ultima Medusa mira a interrogarsi profondamente sulle motivazioni psicologiche sottese all’interesse, all’odio o alla passione nei confronti della Fantascienza, riuscendo altresì a cogliere i limiti di un genere letterario che per antonomasia propone il fascino dell’illimitato.