Ma gli uomini vogliono la verità?

Tratto da Giorgio Anotnelli, “Psicoanalisi e concezione del mondo” in Sapere il deserto. Sulla concezione psicoanalitica del mondo, Roma, Di Renzo Editore, 1994

Ma gli uomini vogliono la verità? Di fronte alle speranze messianiche almeno parzialmente nutrite da Freud nei termini che abbiamo brevemente considerato (e la cui cifra è costituita dall’indefinito rimando operato nei confronti del sistema), Lacan propone un’inversione totale. Gli uomini non vogliono la verità, vogliono l’illusione. I nevrotici amano la loro nevrosi, s’ancorano ad essa, vogliono guarire e al tempo stesso temono la libertà dalla nevrosi (come anche aveva avuto modo si sottolineare Reich in Psicologia di massa del fascismo ). Vogliono dunque esattamente quello che loro offre la religione. Offerta che li conferma nella loro resistenza alla verità e nella ripetizione della loro servitù. E’ per questo, è in ragione di tanta offerta, che la Chiesa appare destinata a vincere. “Elles vont gagner” (“vinceranno loro”) sembra abbia detto Lacan in occasione d’una sua visita a Roma e alla vista delle cupole della città cattolica. Dunque, la psicoanalisi è un’illusione. E in qualche modo già mirava ad analoghe conclusioni di Lacan, ma da una diversa, forse opposta, prospettiva, il Ferenczi del Diario Clinico, critico del “nichilismo terapeutico” di Freud e pronto a denunciare la tendenza d’una certa psicoanalisi a impedire, anziché favorire la crescita di chi ad essa si rivolge. Con Lacan la psicoanalisi esprime al massimo grado il proprio essere, costitutivamente, una nuova concezione del mondo e, allo stesso tempo, un fallimento. Un fallimento nel momento stesso di costituirsi come radicale alternativa ai saperi immaginari dell’occidente, i saperi della religione e della filosofia. Cosa mette in gioco, infatti, la concezione del mondo della psicoanalisi? Mette in gioco un diverso modo del sapere e, conseguentemente, un diverso modo di affrontare la questione della coscienza e, legata a questa, la questione etica. Ma quale uomo aspira a un sapere così deradicante da portare in un deserto? Quale uomo può sostenere quell’etica del desiderio auspicata da Lacan? E, infine, a un sapere che risale alle cause prime, alle essenze e, dunque, alle assenze originarie, alla sparizione, non sono forse preferibili i saperi immaginari, illusori che l’occidente, forse animato da un’oscura quanto salvifica saggezza, ha fin qui nutrito? Su questo punto Jung era certamente più pragmatico di Freud e Freud più “idealista” di Jung. Jung popola il mondo là dove Freud fa il deserto. Riempie i vuoti l’uno dove l’altro dimostra l’illusorietà dei pieni.

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Giorgio Antonelli