Husserl, Jung e Matte Blanco

Tratto, con qualche variazione, da G. Antonelli, Schizzi genealogici psicofilosofici, in Giornale Storico del Centro Studi di Psicologia e Letteratura, 6, Giovanni Fioriti Editore, Roma, aprile 2008

Testo 1

I Prolegomeni a una logica pura, di Husserl, sono pubblicati nel 1900. Precedono le Ricerche Logiche, la cui pubblicazione risale al 1900-1901. Foucault nota la coincidenza delle due pubblicazioni, di Freud e di Husserl, e aggiunge che sarebbe utile insistere su di essa, dal momento che si tratta di “un duplice sforzo dell”uomo per rientrare in possesso dei propri significati a partire dall’atto stesso della significazione”. Sta di fatto, comunque, che Freud e Husserl s’ignorano. Buona parte dei Prolegomeni e delle Ricerche Logiche è dedicata a una critica dello psicologismo, alla confutazione delle posizioni rappresentate, tra gli altri, da Stuart Mill (“la logica non è una scienza separata dalla psicologia”, “nella misura in cui la logica è una scienza, essa è una parte o un ramo della psicologia) e Lipps (“la logica è una disciplina particolare della psicologia”). Lo smontaggio dello psicologismo operato da Husserl sarà oggetto (non esclusivo) di un corso di lezioni tenuto da Heidegger nel semestre invernale 1925-26. Nella circostanza Heidegger sosterrà che la carenza fondamentale dello psicologismo sta nell’aver mancato la differenza nell’essere (la diversificazione fondamentale nell’essere dell’ente), nel non aver riconosciuto che la logica è costruita su un fondamento ontologico. Questo rilievo critico, ovviamente, non ha come oggetto il solo psicologismo, ma si estende alla psicologia in quanto tale. Di ciò si rende ovviamente conto Heidegger, il quale non esita ad affermare che “la critica allo psicologismo deve essere critica alla psicologia”. Perché? Perché “nessuno oggi può dire si può dire che cosa sia la psicologia”. Nessuno, presumibilmente, inclusi Husserl e Heidegger. La psicologia non ha ontologia, non poggia, non ha, non fa fondamento. Si sospende nell’aria, a mezz’aria, tra la terra dell’inesistenza intenzionale dell’oggetto (come aveva detto Brentano) e il cielo dell’intenzionalità, tra reale e ideale. La psicologia che non ha ontologia dove poggia? Può sostanziarsi, cioè trovare fondamento nella sola aria, come si direbbe sulla scia presocratica? Questa medietà dello psichico viene ripensata da Heidegger alla luce del concetto di intenzionalità: lo psichico è la relazione tra il reale e l’ideale. La filosofia manca l’aria in cui si tratta di questo divenire, per dirlo à la Jung, ciò che accade nel mezzo? Proprio dopo aver affermato il traslare della critica allo psicologismo in critica alla psicologia Heidegger fa questione della disperazione dei filosofi. Se la contiguità vale un’associazione, allora quella disperazione lambisce un resto mancato dai filosofi, un resto che ha a che vedere con lo psichico, con l’attraversamento della psiche, col fatto che nessuno oggi possa dire che cosa sia la psicologia, col costituirsi di questa, agli occhi del filosofo, quale oggetto bizzarro (così come, dirà Assoun, la filosofia si costituisce quale oggetto bizzarro agli occhi di Freud). Né Husserl né Heidegger prendono per tempo in considerazione la psicoanalisi. La quale provvederà a fornire una risposta alla presa di posizione di Husserl nei confronti dello psicologismo con indubbio ritardo ma con inequivocabile decisione quando nel 1975 Matte Blanco pubblicherà il suo capolavoro “psicofilosofico” L’inconscio come sistemi infiniti. Saggio sulla bi-logica. E ciò rimane vero anche se Husserl si trova citato espressamente soltanto una volta in tutto il ponderoso volume dello psicoanalista cileno. Matte Blanco va, nella circostanza, alla caccia di un luogo husserliano che possa conciliarsi con il proprio impianto teorico. Nel luogo husserliano reperito dallo psicoanalista cileno si tratta della sola cosa che i sostenitori dello psicologismo riuscirebbero a provare e cioè che la psicologia co-partecipa al processo di fondazione della logica. Matte Blanco di rimando sostiene che essendo noi esseri spazio-temporali “siamo incapaci di sviluppare una logica in cui non partecipino in qualche modo i concetti di spazio e di tempo”.

Testo 2

La posizione di Spinoza assomiglia a quella di Crisippo quando definiva l’immaginazione diàkenos helkysmós, una “vuota attrazione”, vuota come una battaglia di ombre, vuota perché si produce nell’anima senza che vi sia alcun oggetto reale, alcuna res, a produrla. E, ripetono, Crisippo e Spinoza (e Descartes), la posizione cristiana che, in tema di immaginazione, è imperante. Il recupero dell’immaginazione è in parte sotterraneo (alchimia), in parte letterario/filosofico (i romantici e i filosofi idealisti), in parte (decisiva) psicologico (non Freud, però, ma Jung). Jung parlerebbe dello scarto tra realtà come Realität e realtà come Wirklichkeit (ciò che ha un effetto su di noi, a prescindere dal suo essere “res”). In modo comparabile a Jung, e con largo anticipo su di lui, Husserl aveva scritto nella quinta delle Ricerche Logiche che vi può essere nella coscienza un vissuto senza che l’oggetto esista e cioè: “intendere l’oggetto è un vissuto, ma l’oggetto stesso può essere meramente presunto e in realtà non sussistere affatto”. A una delle origini della Wirklichkeit di Jung si colloca dunque l’ascesi fenomenologica, vale a dire l’esercizio mortale del sospendere la Realität. Analogamente, in Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica (1913), Husserl scriverà che alla coscienza assoluta o trascendentalmente pura è assurdo attribuire un carattere di Realität. L’afferramento intuitivo di un’essenza, afferma nell’Introduzione, non implica affatto la posizione di una qualunque esistenza individuale. “Se per un miracolo psicologico” scrive Husserl “la libera finzione dovesse condurci a immaginare cose di specie assolutamente nuova, per esempio dati sensibili che non si sono presentati né potranno mai presentarsi in nessuna esperienza, non per questo sarebbe alterata la datità originaria dell’essenza corrispondente: anche se i dati immaginari non sono e non saranno mai dati reali”. L’epoché di Husserl sospende insomma le res costituenti quella che Jung nomina come Realität e che egli contrappone alla Wirklichkeit. In altri termini non c’è, non si fa psicoterapia senza sospensione. Non si fa psicoterapia senza sospensione di Realität. Si tratta qui di un movimento contro natura. Si tratta qui di quel punto debole della natura umana denunciato da Kant e ricordato da Heidegger nel corso tenuto a Friburgo nel semestre invernale 1929-1930. Il punto debole è fatto della stessa sostanza dell’abitudine denunciata da Coleridge e Ferenczi e che viene ridefinito da Heidegger come quella naturale comodità in forza della quale l’intelletto si ribella alla trasformazione. E, però, ciò di cui tratta la filosofia, dice Heidegger, “si dischiude in generale solamente a partire da una trasformazione dell’esserci”. In questa trasformazione dell’esserci ne va di una richiesta insostenibile per l’uomo, la richiesta per cui il rapporto sussistente con la morte divenga per lui una condizione permanente. Analogamente, fare coscienza costituisce per Jung un processo aristocratico e, appunto, contro natura. In tale contronaturalità del fare coscienza, un assunto fondante di Jung, è da ravvisare una profonda comunanza tra psicologia analitica e fenomenologia. Psychotherapia naturaliter phaenomenologica. Nell’introduzione alle Ricerche Logiche Husserl l’aveva scritto in modo inequivocabile: “l’analisi fenomenologica esige un orientamento innaturale del pensiero e dell’intuizione”. È in virtù di questa equazione ascetico-fenomenologica della psicoanalisi e delle psicoterapie che più avanti faccio questione di una passe tra Freud e Sartre. Freud non avrebbe mai potuto affermare, come fa Sartre, che la coscienza è vuoto totale (per di più con un Io che le è trascendente). Affine alla, anticipatrice della, posizione di Jung su realtà e effettività (realtà psichica) e sul suo concetto di “immagine di Dio”, appare Feuerbach. In uno splendido passo dell’Essenza del Cristianesimo l’esistenza di Dio (di per sé una credenza primitiva) viene equiparata, molto à la Blake, alla potenza dell’immaginazione. “Nell’immaginazione” scrive Feuerbach “l’esistenza di Dio produce effetti sensibili, si dimostra effettivamente una potenza; l’immaginazione fa sì che l’essere dotato di questa esistenza sensibile si manifesti in apparizione.”

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Giorgio Antonelli