Wilhelm Reich, passeggero della Nebuchadnezzar

in Giornale Storico di Psicologia Dinamica, 57, Roma, Di Renzo Editore, 2005 – Estratto

In Matrix le macchine hanno bisogno di far “dormire” gli uomini per tenerli sotto controllo e a volte sono costrette a liquefare i morti affinché nutrano i vivi per via endovenosa. In un modo o nell’altro ciò che viene impedito è la possibilità di accesso a qualcosa di vitale, per mezzo della quale l’uomo esprime se stesso, la propria personalità e la propria stessa essenza, qualcosa attraverso cui l’uomo vive. Uomini messi sotto controllo, quindi, impediti di esprimersi, uomini “morti”, che ricordano il “normopata”, il “mortovivo”, “l’uomo normale” di J. A. Gaiarsa, uomini schiavi, ma schiavi di cosa?

Dentro la caverna, immobili, costretti a guardare soltanto davanti a sé, come racconta Platone nel suo celebre mito, uomini incatenati possono vedere solo ombre, ombre che riflettono sulla parete della caverna la sagoma di oggetti che si trovano dietro le loro spalle e sono illuminati da un fuoco ancora più distante. Questi uomini incatenati dentro la caverna pensano che le ombre rappresentino tutta la realtà.

Sulla scia di Platone, Kant sostiene che noi possiamo conoscere il mondo fenomenico degli oggetti e le loro correlazioni causali, ma non possiamo conoscere le cose in se stesse che sono il fondamento di ciò che percepiamo. Abbiamo quindi delle conoscenze valide solo per quel che riguarda il nostro modo di percepire ciò che appare, ma non possiamo sapere nulla di ciò che prescinde dal nostro modo di percepire. Dal mito della caverna, contenuto nella Repubblica di Platone, al velo leggerissimo, che c’impedisce di “vedere” un oltre, descritto da William James, dalla danza dell’illusione di Maya al genio maligno e ingannatore di Cartesio, dalla trappola di Reich alla ruota dei pensieri collettivi di Gaiarsa o alla prigionia dell’ego descritta dagli psicologi transpersonali, tutti noi possiamo essere prigionieri di matrix.

Il film dei fratelli Wachowski ci ammonisce a non credere in ciò che si vede, c’invita a porre in dubbio ogni cosa, ciò che si percepisce come realtà. Tutto questo potrebbe essere facilmente definito come una condizione paranoica, una follia vera e propria. Se non è reale quello che noi crediamo sia reale, sani e pazzi potrebbero scambiarsi i ruoli.

Se la cultura ufficiale (matrix) rappresenta il nostro modo condiviso di essere nel mondo, allora la controcultura (la nave Nebuchadnezzar), ne denuncia i limiti e le contraddizioni e assume il ruolo di “un’avanguardia idealista e radicale”, secondo quanto afferma Nicola Davide Angerame a proposito delle controculture. Le parole d’ordine della controcultura sono: “lasciarsi andare” e scardinare le porte chiuse di un pensiero controllato e organizzato dall’alto, proprio come avviene in matrix, parole, queste, che hanno segnato la nascita, a partire dagli anni sessanta, di una nuova etica e una nuova morale, basate sulla libertà di pensiero. L’individuo viene chiamato a cercare se stesso, a cercare i propri valori, senza lasciarsi condizionare da una visione del mondo preconfezionata. Il film dei fratelli Wachowski ripropone questo invito ad un viaggio individuale che potrebbe anche diventare un viaggio collettivo, il cui fine è quello di cogliere la parte più umana di se stessi, affinché assuma il proprio compito esistenziale. Ken Wilber così descrive l’esperienza “transpersonale” del superamento dei confini dell’ego, del “risveglio” ad un nuovo modo di vedere e di sentire: “È come se si -svegliasse da un lungo sonno confuso per scoprire ciò che sapeva fin dall’inizio: egli, il sé separato non esiste e il suo vero sé, il Tutto, non è mai nato e mai morirà.”

Nell’ultimo decennio il problema della realtà è riemerso in ambito letterario nella rivalutazione di autori come Philip K. Dick, che ricercava una vera realtà, nascosta dietro le apparenze e, nel cinema, in pellicole come Dark City di Alex Proyas e The Truman Show di Peter Weir che descrivono mondi abitati da persone che vengono deliberatamente tenute all’oscuro dell’artificialità della propria esistenza, mondi artefatti e illusori, mondi dai quali si vuole fuggire e nei quali il protagonista lotta eroicamente per la propria liberazione. In questi film vengono descritte la lotta e la fuga da tali mondi, mondi nei quali l’artificiosità è prodotta dalla manipolazione della realtà a opera del potere: politico, economico, psicologico e d’informazione.

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Virginia Salles